Il traguardo della neutralità carbonica potrebbe essere fissato nel 2050, o qualche decennio dopo, come chiedono India e Cina, ma in ogni caso poco cambierebbe negli elementi chiave dell’equazione energetica che il mondo deve risolvere.
Avremo bisogno per quella data di tantissima energia in più (gli scenari pronosticano percentuali diverse ma la direzione non cambia) per le centinaia di milioni di persone che non hanno ancora oggi accesso all’energia, per i due miliardi di nuovi abitanti della Terra che arriveranno nelle prossime tre decadi, e per i nuovi voraci consumatori di energia che stanno mutando radicalmente il panorama: data center e piattaforme di intelligenza artificiale. Su questo ultimo aspetto, relativamente recente nel dibattito, la reportistica di sostenibilità 2024 di Microsoft evidenzia come l’azienda abbia quasi raddoppiato il proprio consumo tra il 2020 e il 2023, una tendenza comune a Google e altri. Gli algoritmi che sostengono i modelli di intelligenza artificiale generativa sono da 100 a 1000 volte più affamati in termini energetici rispetto agli algoritmi che sostengono le ricerche tradizionali sui motori di ricerca. Abbiamo dichiarato poi – questa la promessa originale – di sostituire l’energia oggi fornita da fonti fossili (carbone, petrolio e gas), che è ancora circa l’80% del totale dei consumi mondiali.
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Comunque la si pensi sulla fattibilità di questa sfida, sul realismo di questi traguardi, è evidente che non basterà foderare la terra e i mari di pannelli solari e pale eoliche, ma che dovremo usare tutte le fonti e i vettori disponibili, che dovremo dare priorità a fonti energetiche sicure, pulite, programmabili e continue. Da qui, non da un polveroso dibattito ideologico da anni Ottanta, nasce la reintroduzione dell’energia nucleare nell’equazione energetica.
IL SANTO GRAAL DELL’ENERGIA. In altri articoli di questa rivista vengono esaminati i profili politici ed economici della fissione. Qua ci occuperemo invece della fusione, di un processo definito non a caso come il “Santo Graal” dell’energia. Nel farlo vorremmo evitare di alimentare una disputa nella disputa, quella che contrapporrebbe i sostenitori della fissione di terza o quarta generazione e appunto coloro che lavorano sulla fusione. I primi rimprovererebbero ai secondi che la fusione è un sogno troppo lontano, e che dichiarare pubblicamente questo obiettivo sottrae attenzione politica e investimenti dal nucleare possibile, quello appunto delle nuove generazioni di fissione.
Non spetta a noi stabilire se chi si dichiara politicamente entusiasta della fusione lo faccia per rinviare nel futuro responsabilità che con la fissione arriverebbero prima. Ci limitiamo a dire che – nonostante la diversità dei principi di fondo – il mondo nucleare si giova di una “staffetta tecnologica” che richiede, per alcuni materiali, il successo delle nuove generazioni di fissione per giungere prima alla fusione. Ogni divisione in tifoserie fa dunque perdere la partita a tutti.
Perché il “Santo Graal”? La fusione è l’energia che governa l’universo, il processo che alimenta stelle come il Sole. Consiste nell’unione di due atomi leggeri, come gli isotopi dell’idrogeno (il deuterio e il trizio sono i più studiati), che creano un elemento (ad esempio l’elio) più leggero della somma dei due atomi iniziali, una reazione che libera un’enorme quantità di energia. Il processo di fusione avviene nel Tokamak, un dispositivo a forma di ciambella progettato per confinare plasma ad altissime temperature (centinaia di milioni di gradi) tramite potenti campi magnetici. A quelle temperature non esiste ovviamente materiale concreto capace di contenere altrimenti il plasma. L’energia generata dalla reazione di fusione, sotto forma di calore, viene convertita in elettricità. Essa può essere distribuita nella rete esistente, rendendo la tecnologia della fusione assai vantaggiosa per l’integrazione con i sistemi energetici attuali e previsti, nonché un abbinamento ideale per le fonti rinnovabili intermittenti.
LE SFIDE TECNOLOGICHE. Per raggiungere l’obiettivo della fusione sono in fase di studio e sviluppo varie tecnologie: tra queste la fusione a confinamento magnetico risulta essere attualmente la soluzione più matura rispetto, ad esempio, alla fusione a confinamento inerziale.
Le due principali sfide tecnologiche sono la produzione di energia netta positiva e la stabilità del confinamento. Nel primo caso si tratta di ottenere un guadagno netto fra l’energia necessaria per avviare e sostenere la fusione e quella ottenuta a valle del processo. Nel secondo, invece, occorre saper gestire potenti campi magnetici confinati da materiali superconduttori capaci di contenere il plasma e le sue infinite evoluzioni (e qui il contributo dell’Intelligenza artificiale sarà decisivo).
Seppure descritta in modo molto semplificato, la fusione rivela la sua completa distanza dalle tre paure che hanno frenato negli ultimi quarant’anni la diffusione del nucleare tradizionale: la radioattività del materiale fissile, il rischio di incidente (da errore umano, da cattiva manutenzione, da catastrofe naturale), la gestione delle scorie. Nella fusione, infatti, il materiale di partenza è acqua (meglio se acqua pesante), il processo si spenge da solo se si interrompe la sua alimentazione, il risultato è vapore acqueo che alimenta le turbine.
Come per ogni altra svolta tecnologica, le catene del valore globali sono destinate a evolversi in risposta alle sfide e alle opportunità. I materiali superconduttori, ad esempio, fondamentali per il funzionamento dei reattori a fusione, potrebbero stimolare nuovi sviluppi nelle industrie della nanotecnologia e soluzioni avanzate per la gestione del calore. La domanda di risorse critiche come le terre rare potrebbe incrementare significativamente. Il passaggio dai modelli sperimentali ai prototipi industriali, fino alla loro scalabilità commerciale, richiederà ancora ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, da sostenersi in collaborazione strategica fra aziende apripista, istituzioni di ricerca e governi, e necessiterà di ecosistemi industriali integrati in grado di supportare il suo sviluppo.
Sembra un paradosso: fin qui, nonostante l’Unione Europea goda di una posizione di leadership consolidata nel settore, certificata dalla propria competenza scientifica e da un export di tecnologie del settore superiore ai 1,6 miliardi di euro fra il 2018 e il 2022, il nostro continente si muove con grande lentezza rispetto a Stati Uniti e Cina, che affrontano ormai la fusione con una mentalità industriale e non più con sole finalità di ricerca.
LE STRATEGIE DEI PAESI PIÙ AVANZATI. Secondo il World Fusion Outlook pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’Emergia atomica (IAEA) nel 2024, si registrano più di 150 progetti di energia da fusione in tutto il mondo (+30% dal 2019). Diversi paesi stanno incorporando l’energia da fusione nelle proprie strategie a lungo termine, pur collocando il suo contributo effettivo solo dopo il 2040. Vediamo i casi più significativi.
Nel 2021, il Regno Unito ha presentato la sua prima strategia per l’energia da fusione, con l’obiettivo di sfruttare le competenze scientifiche del paese e commercializzare la tecnologia attraverso una collaborazione su scala globale. Nell’ottobre 2023, il governo ha presentato la fase successiva, il Fusion Futures Programme, che mira a sostenere lo sviluppo del settore e a rafforzare la leadership britannica: attraverso il progetto STEP (Spherical Tokamak for Energy Production), entro il 2040, il Regno Unito vuole lanciare il primo prototype fusion energy plant.
Negli Stati Uniti, nel 2022 la Casa Bianca ha annunciato il lancio della Bold Decadal Vision, una strategia decennale per la commercializzazione dell’energia di fusione. Nei mesi successivi sono state adottate misure legislative e finanziarie per attuare questa strategia. Più recentemente, durante la COP-28 a Dubai, l’allora inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, John Kerry, ha lanciato un piano di impegno internazionale per promuovere la fusione nucleare, sottolineando il suo potenziale come tecnologia a zero emissioni, fondamentale per combattere il cambiamento climatico. L’iniziativa è incentrata sull’avanzamento della ricerca e dello sviluppo, sulla risoluzione dei problemi della catena di approvvigionamento e sulla definizione di regolamenti e misure di sicurezza.
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L’energia da fusione compare nel marzo 2023 anche nel Net-Zero Industry Act, dove la Commissione Europea menziona questa tecnologia come una priorità per gli investimenti tecnologici del futuro. Del resto, la Germania, che ha sostanzialmente ultimato la chiusura delle proprie ultime centrali nucleari tradizionali, ha pubblicato un documento sulla ricerca in materia di fusione, annunciando importanti finanziamenti alle attività nazionali.
Come è noto, l’Italia contribuisce al progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) con il proprio tessuto industriale, uno dei maggiori contributori al progetto, con commesse per quasi 2 miliardi di euro. Più recentemente il ministro Pichetto Fratin ha lanciato la PNNS (Piattaforma nazionale nucleare sostenibile) che include anche la fusione. L’attivismo italiano è stato testimoniato durante la presidenza del G7 con la creazione e convocazione del primo “Working group on Fusion energy” in collaborazione con l’IAEA.
Nel suo rapporto annuale, la Fusion Industry Association ha sottolineato che il settore ha attirato negli ultimi anni oltre 6 miliardi di dollari di investimenti privati, con ben 43 società operanti. Questo nuovo attivismo del mercato non nega e non svaluta il contributo pluridecennale della ricerca pura o dei grandi programmi internazionali ma, al contrario, dialoga con essi per cercare di passare a una dimensione industriale più focalizzata sui risultati e sui tempi di conseguimento.
ENI, UN RUOLO DI PUNTA. Eni ha puntato sulla fusione, diventando nel 2017 azionista strategico di Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out del Massachusetts Institute of Technology per l’applicazione industriale della fusione a confinamento magnetico. CFS è attualmente impegnata nella costruzione del primo reattore dimostrativo, chiamato SPARC, il cui completamento è previsto verso la seconda metà di questo decennio. L’obiettivo è dimostrare che il bilancio positivo di energia può essere raggiunto in un impianto a confinamento magnetico, dimostrazione utile alla successiva commercializzazione dell’energia. SPARC permetterà anche di studiare la gestione della potenza e la stabilità del plasma, la resistenza dei materiali nell’ambiente di fusione e l’apparato di iniezione del combustibile. SPARC farà quindi da banco di prova per lo sviluppo di ARC: la prima centrale elettrica a fusione su scala industriale in grado di immettere in rete elettricità con un processo a zero emissioni di CO₂, la cui realizzazione è prevista nei primi anni Trenta.
Eni partecipa inoltre al progetto DTT (Divertor Tokamak Test facility) di ENEA, per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina a fusione dedicata alla sperimentazione di componenti che dovranno gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione. Il progetto è in fase di realizzazione presso il Centro di Ricerche di Frascati (Roma) e costituirà uno tra i più grandi progetti scientifici mai realizzati in Italia.
Nel Regno Unito, da ultimo, Eni ha siglato una collaborazione strategica con la UKAEA (UK Atomic Energy Authority) su diversi temi, tra cui i materiali, il ciclo del combustibile, la diagnostica, la fisica e controllo del plasma e le operazioni di una centrale a fusione.
IL MOMENTO DELLA FUSIONE SI AVVICINA. È importante concludere sottolineando che gli sforzi degli scienziati e delle aziende private da soli non sono sufficienti a sbloccare completamente il potenziale della fusione. Le autorità di regolamentazione e i responsabili politici svolgono un ruolo altrettanto cruciale, creando un ambiente stabile e prevedibile per le imprese e gli investitori, rendendo i progetti bancabili. Regolamenti ben definiti e coerenti tra diversi paesi forniscono linee guida essenziali per garantire sicurezza e correttezza, riducendo i rischi e le incertezze, oltre a garantire un framework internazionale abilitante che consenta la realizzazione degli ingenti investimenti necessari per lo sviluppo di questa fonte energetica.
Chi è arrivato a leggere sin qui stava probabilmente aspettando la risposta alla domanda cruciale: “sì, ma quando sarà effettivamente disponibile questa energia del Santo Graal?”. Spero non rimanga deluso non trovando una data, una risposta certa. Dal mio punto di vista, che non è quello del tecnologo, posso solo sottolineare l’aumento progressivo della velocità con cui vengono superate le singole sfide tecnologiche e con la quale vengono raccolti i capitali necessari mediante la sottoscrizione da parte di fondi e personalità che non si dedicano in genere alla ricerca della pentola dell’oro alla fine dell’arcobaleno.
Visitando il gigantesco impianto di CFS a Devens, vicino a Boston, John Kerry ci disse più o meno così: “sono cresciuto sentendo parlare della fusione, e ogni volta il traguardo si spostava di 70 anni in avanti. È la prima volta, dopo una vita, che sento scienziati e aziende avvicinare ogni anno la data del traguardo. Le cose sono radicalmente cambiate in poco tempo”.
Questo articolo è pubblicato sul numero 1-2025 di Aspenia