La Francia e la deterrenza estesa

Questo articolo è pubblicato sul numero 1-2025 di Aspenia

La questione della deterrenza nucleare è un argomento apparentemente escluso dal perimetro dell’Unione Europea. Nel 1956 ci fu un progetto di accordo tripartito tra Francia, Germania e Italia per dotarsi di armamenti nucleari prodotti in comune, ma alla fine non se ne fece nulla. Con l’avvento della V Repubblica e la presidenza De Gaulle, la Francia scelse una via autonoma, dotandosi dell’arma nucleare con il suo primo test atomico del febbraio 1960.

Anche il Regno Unito aveva seguito la stessa via, sviluppando però la deterrenza nucleare in collaborazione con gli Stati Uniti. Va rilevato che il Trattato di Lancaster House, firmato da Francia e Regno Unito nel 2010, comportava alcune clausole di cooperazione per le tecnologie nucleari militari, tuttora vigenti. A seguito di Brexit, la Francia è oggi l’unico Stato membro dell’UE a disporre della deterrenza nucleare.

Un sottomarino nucleare francese

 

IL TRIANGOLO RUSSIA-NATO-UE IN CHIAVE DI DETERRENZA. A partire dalla (seconda) invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia ha più volte agitato lo spauracchio della minaccia nucleare. Anche se bisogna relativizzare l’intensità di questa minaccia – se non altro perché è stata ribadita senza conseguenze pratiche – si tratta di un’ipotesi che non può essere scartata a priori e che richiede quindi una forma di preparazione.

Ventidue paesi dell’Unione Europea sono anche membri della NATO, e quindi affidano la risposta a eventuali minacce e la pianificazione strategica alla NATO. Tra l’altro, va ricordato che paesi come il Belgio, l’Italia, la Germania, i Paesi Bassi, ma anche la Turchia, pur non essendo dotati di una propria capacità nucleare militare, hanno sempre mantenuto una possibilità di condivisione della deterrenza nucleare con gli Stati Uniti, accettando lo stoccaggio di armi nucleari sul proprio suolo e adoperando bombardieri con capacità di carico di bombe o missili nucleari, in una logica di potenziale sostituzione dei mezzi statunitensi qualora fosse necessario.

La seconda amministrazione Trump, d’altro canto, ha subito espresso una posizione critica nei confronti dell’impegno statunitense per la difesa collettiva del continente europeo. Si tratta di un ragionamento mosso da una razionalità economico-finanziaria sul costo della difesa dell’Europa, a partire dalla constatazione di un saldo commerciale statunitense che è oggettivamente deficitario nei confronti dell’UE – una lettura che peraltro non prende in considerazione lo scambio di servizi, sbilanciato invece a favore degli Stati Uniti. Siamo quindi di fronte (nuovamente) a un’esplicita ipotesi di ritiro statunitense dalla NATO che, anche se può sembrare per certi versi più velleitaria che reale, deve essere presa in considerazione come un’eventualità che impone ai membri europei dell’alleanza di attrezzarsi e adeguarsi. Inoltre, le minacce proferite nei confronti della Danimarca (membro fondatore della NATO) nel contesto della rivendicazione statunitense di “comperare” la Groenlandia, aggiungono un notevole tasso di incertezza all’architettura di alleanza fra Stati Uniti e Europa.

 

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La guerra in Ucraina ha illustrato il ritorno della proiezione imperialista russa sul continente europeo, una visione che si pensava fosse ormai relegata al passato. Anche se un armistizio venisse raggiunto tra Mosca e Kiev, l’aggressione russa fa pesare sull’Unione Europea l’eventualità di minacce ulteriori, con una percezione nettissima da parte dei paesi più esposti, come Stati Baltici e Polonia. La questione della difesa collettiva dell’Unione Europea in generale, ma anche quella della necessità della deterrenza nucleare, è quindi tornata centrale.

È utile interrogarsi sull’evoluzione della dottrina nucleare francese per meglio inquadrare il problema della deterrenza nucleare europea.

 

Il ruolo delle armi nucleari nella dottrina militare francese
Stando alle dichiarazioni ufficiali, le armi nucleari francesi rimangono non mirate in tempo di pace e non sono posizionate contro nessun paese in particolare, ma piuttosto sono destinate a essere utilizzate contro “qualsiasi Stato” a sostegno di un concetto di deterrenza nucleare generico.
La Francia considera strategiche tutte le proprie armi nucleari, che sono riservate alla difesa degli “interessi vitali” del paese. Questi ultimi comprendono “l’integrità del [suo] … territorio e la protezione della [sua] … popolazione”, ma “non possono essere limitati all’ambito nazionale, perché la Francia non concepisce la propria strategia di difesa isolatamente, anche nel campo nucleare”.
Tale punto di vista è stato posto in risalto nel 2020, quando il presidente Emmanuel Macron ha invitato i partner dell’Unione Europea a un “dialogo strategico… sul ruolo svolto dalla dissuasione nucleare francese nella nostra sicurezza collettiva”. Tuttavia, la proposta di una dimensione europea della dissuasione nucleare è controversa perché non è chiaro in che modo tale missione interagirebbe con le attuali pratiche di condivisione nucleare dell’Alleanza nordatlantica.
Nel 2022, un consigliere di Emmanuel Macron ha chiarito che la proposta di dialogo strategico europeo rimaneva attuale, ma nello specifico riguardava il collegamento tra “deterrenza nucleare e interessi europei”, non la “condivisione del deterrente”. Nell’aprile del 2024, Macron ha dichiarato che le armi nucleari francesi dovrebbero essere parte del dibattito sulla difesa europea.
A partire da una dichiarazione ufficiale dell’ottobre 2022, reiterata da Macron nel febbraio 2025, “gli interessi vitali della Francia […] non sarebbero in gioco in caso di un attacco balistico nucleare in Ucraina o nella regione”.
Più in generale, la Francia resta deliberatamente ambigua in merito alle circostanze in cui userebbe le proprie armi nucleari. Il paese si riserva il diritto di lanciare “un unico avvertimento nucleare”, lasciando intendere che potrebbe usare un’arma nucleare contro un bersaglio simbolico quale avviso a un potenziale avversario. Tuttavia, per quanto la dottrina francese preveda questo “avvertimento nucleare” come potenziale precursore dell’uso generico di armi nucleari, la politica tradizionale del paese in materia afferma che la Francia “non si impegnerà mai in una battaglia nucleare o in qualsiasi forma di risposta graduale”. Piuttosto, la dottrina francese insiste sul valore della deterrenza.
Fonte: SIPRI

 

LA DOTTRINA NUCLEARE FRANCESE FRA IMPOSTAZIONE UNILATERALE E DIMENSIONE ESTESA. La questione dell’uso potenziale dell’arsenale nucleare francese, nel contesto europeo, sta tornando in primo piano. È stata sollevata espressamente dal presidente Emmanuel Macron durante il suo discorso alla Sorbona nell’aprile 2024, quando il presidente francese si è dichiarato “pronto ad aprire il dibattito su una difesa europea che potrebbe anche includere […] le armi nucleari”, suscitando reazioni sorprese, come se fosse una novità assoluta. In realtà, va ricordato che la dottrina nucleare francese ha sempre considerato questa eventualità.

Nel 1964, il presidente De Gaulle aveva comunicato alla Germania e ai paesi del Benelux che la Francia considerava un attacco ai loro territori come una minaccia diretta, e quindi suscettibile di una risposta nucleare. Va sottolineata la sequenza: la Francia, in modo unilaterale, definisce una sua dottrina di impiego della forza nucleare nella quale “estende” la definizione di minaccia ai suoi alleati e vicini. Si tratta appunto di un meccanismo assolutamente unilaterale, anche perché non esistono né consultazioni né accordi con i paesi oggetto di questa estensione di garanzia nucleare da parte francese. La dottrina nucleare francese, quindi, corrisponde a una definizione degli “interessi vitali” francesi che non coincide con le frontiere del territorio nazionale.

Di fronte a queste dichiarazioni ufficiali, di solito gli alleati che beneficiano di questa eventuale copertura rimangono prudenti, anche perché non avendo chiesto nulla, non devono nemmeno rifiutare, con un silenzio che può anche rappresentare una forma di (quasi) assenso.

Il Libro Bianco della difesa del 1972 definiva l’uso della dissuasione nucleare francese come una protezione degli interessi vitali, estesi non solo al territorio nazionale, ma anche ai territori vicini e alleati. La visione francese è molto chiara: si tratta di una dissuasione condivisa, che si basa sulla vicinanza territoriale e sulle alleanze.

In effetti, anche all’interno della NATO, la dissuasione francese è stata valutata positivamente durante la guerra fredda, poiché complicava il calcolo strategico del nemico sovietico nello scenario europeo. La dissuasione francese, in quanto autonoma, non è mai stata formalmente allineata con i meccanismi NATO e poteva quindi lasciare spazio a una forma di incertezza nei confronti dell’URSS – e l’incertezza è sempre un vantaggio strategico.

L’estensione degli “interessi vitali” della Francia oltre i confini nazionali appare logica: la dinamica dell’integrazione europea, i trattati di alleanza militare (in particolare l’articolo 5 del Trattato nordatlantico) e l’impatto diretto che un attacco nucleare avrebbe nel contesto geografico europeo giustificano la posizione francese, che considera l’Europa come un’estensione del proprio territorio in termini di sicurezza.

Per decenni, quindi, la dottrina francese non ha suscitato particolari reazioni. Come già sottolineato, fra gli alleati si registrava l’evoluzione della dottrina francese, anche a proprio beneficio, ma ci si guardava bene dal commentare. Governi e Stati maggiori dei paesi europei conoscevano naturalmente la visione francese, che veniva discretamente apprezzata come una forma di garanzia in caso di conflitto globale, grazie all’affidabilità di un alleato e all’ulteriore incertezza strategica che la Francia creava. Ma ritenevano che non fosse né necessario né politicamente conveniente prendere posizioni in materia.

Nella maggior parte dei paesi europei, le opinioni pubbliche si sono sempre dimostrate contrarie all’arma nucleare. Possiamo ricordare il caso tedesco, dove si rileva una forte corrente opposta alle armi nucleari, anche a nome di un pacifismo globale. La stessa osservazione potrebbe essere fatta nel contesto italiano, dove si è spesso manifestata una forte corrente pacifista, con componenti sia nella sinistra che nel mondo cattolico, tradizionalmente opposta all’uso e alla produzione di armi nucleari (e di armi in genere). Questo spiega perché, in questi paesi, la questione della dissuasione nucleare rimane un tema difficile, se non impossibile, da maneggiare, perché politicamente troppo sensibile.

Nel corso del 2024, il presidente Macron ha sollevato un problema più specifico: quello della dissuasione nucleare all’interno della politica europea di sicurezza e difesa, il che implica una possibile condivisione dei meccanismi della deterrenza. La condivisione del “pulsante nucleare” potrebbe apparire quale conseguenza razionale di una dissuasione europea. Anche in questo caso, non c’è nulla di nuovo per la Francia, poiché già negli anni Novanta la Francia aveva proposto di superare il concetto di “dissuasione condivisa” per arrivare a una “dissuasione concertata”, ovvero a un coordinamento politico nell’uso delle armi nucleari. Questa proposta era stata avanzata sia dal presidente François Mitterrand che da Alain Juppé, allora ministro degli Esteri.

Tuttavia, è importante sottolineare che i partner europei non hanno mai mostrato un reale interesse per queste aperture francesi, e la questione del nucleare è rimasta un tabù nella maggior parte dei paesi membri.

Emmanuel Macron aveva riprovato a rilanciare questo dibattito già nel febbraio 2020, dichiarando la volontà della Francia di esaminare il ruolo della dissuasione nucleare francese nella sicurezza collettiva europea. All’epoca ci furono pochissime reazioni. In Germania, l’ex presidente di Airbus Tom Enders aveva dichiarato il suo interesse per questo dibattito, ma la sua era rimasta una voce isolata. In Italia ci furono pochissimi commenti e, nella ristretta cerchia degli esperti di non proliferazione nucleare, le velleità di Macron non stimolavano grandi riflessioni. Bisogna comunque ricordare che, al di là della delicatezza del tema, vi è anche una sostanziale diffidenza nei confronti della Francia, giudicata dagli altri Stati membri poco capace di una vera condivisione paritaria delle responsabilità.

Un test balistico francese del 2023

 

UN NUOVO INTERESSE EUROPEO PER LA DISSUASIONE? L’interesse suscitato dalle posizioni francesi del 2024, quindi, non è dovuto a novità particolari da parte di Parigi, che da più di trent’anni mantiene la stessa ufficiale apertura a forme di condivisione, ma dalla percezione della minaccia da parte dei governi europei, scossi dalle esplicite minacce nucleari lanciate dalla Russia nel contesto della guerra in Ucraina.

Assistiamo oggi a un riarmo complessivo a livello praticamente globale, che riguarda ormai anche l’Europa. Da questo punto di vista, possiamo ad esempio osservare come la Polonia, che spende il 5% del PIL per la difesa, stia sviluppando una capacità militare per conflitti ad alta intensità, soprattutto in chiave di dissuasione nei confronti della Russia.

In qualche modo, in Polonia, la minaccia nucleare viene ovviata dall’intensificazione delle capacità convenzionali. Per l’Unione Europea, la percezione di un alto livello di conflittualità è aumentata. Essa provoca non soltanto la necessità di riportare le capacità convenzionali in linea con le minacce imminenti, traendo le lezioni giuste dal conflitto in Ucraina, ma allo stesso tempo di attrezzarsi per forme ibride di attacco che possono spaziare dal tentativo di destabilizzazione politica agli attacchi cibernetici, fino al funzionamento delle reti energetiche.

All’interno di questa necessaria revisione strategica, è molto importante che l’Unione Europea possa, anche indirettamente, conservare delle capacità nucleari militari. Vi è comunque la sensazione diffusa che, se l’Ucraina non avesse rinunciato alle sue armi nucleari nel 1994, avrebbe avuto soglie di dissuasione diverse nei confronti della Russia. Nel contesto attuale, il presidio delle tecnologie nucleari e la loro credibilità costituiscono un vantaggio strategico che non va sottovalutato.

Va dunque riconosciuto alla Francia il merito di una visione strategica, che da decenni mantiene questa forma di garanzia militare, risultando tutt’altro che inutile nel contesto attuale. La componente strategica delle forze armate francesi è in corso di modernizzazione, con l’evoluzione del missile strategico M51 (lanciato dai sottomarini) e il futuro missile nucleare aerotrasportato ASN4G, che dovrebbe ridare incisività alla componente aerea della dissuasione. Nella situazione attuale, il fatto che la Francia mantenga una dissuasione credibile ed estendibile ai suoi alleati fa parte di un “pacchetto” di protezione dell’Europa e aggiunge anche una variabile diversa all’ombrello NATO, elemento che ieri come oggi non è banale.

Si può realisticamente pensare a qualcosa di diverso, ossia a una vera e propria europeizzazione della dissuasione nucleare basandosi sulle capacità francesi, ma anche, eventualmente, su un accordo militare con il Regno Unito? Sembra assai difficile, considerando le molte problematiche di una difesa europea che non è mai riuscita a far funzionare delle capacità operative veramente comuni (la brigata franco-tedesca non è mai stata impiegata in operazioni per divergenze sul mandato politico, la brigata alpina franco-italiana è rimasta sulla carta…).

La condivisione dei processi decisionali, ma anche il finanziamento o la cooperazione industriale per eventuali capacità condivise, saranno estremamente complicati, ammesso che ci fosse un consenso politico fra i paesi dell’Unione per dotarsi di una dissuasione comune. Si tratta quindi di un’ipotesi che non può essere percorsa se non in condizioni di forte pressione, come ad esempio un ritiro pressoché totale degli Stati Uniti dalla NATO, che spingerebbe gli europei a rivedere completamente le prospettive della difesa comune, finora considerata integrata nella NATO.

Tuttavia, già prendere atto della necessità di una robusta dissuasione francese a beneficio di tutti i membri dell’Unione potrebbe portare a una forma di sostegno politico nel nome di interessi comuni. Ad esempio, va tenuto in considerazione il peso che la dissuasione esercita nel bilancio della difesa francese, ma anche le necessità di sviluppo di tecnologie ancillari come la dimensione spaziale e cibernetica. Queste necessità di sviluppo creano anche opportunità di collaborazione per programmi futuri: punto che potrebbe connettersi all’attuale dibattito sulla difesa europea, che riguarda essenzialmente lo sviluppo di una capacità industriale.

Le prime dichiarazioni di Friedrich Merz, dopo la sua vittoria alle elezioni tedesche, rafforzano questa ipotesi, con il leader della CDU che si esprime esplicitamente a favore dell’estensione della protezione franco-britannica in materia nucleare. È in corso un’accelerazione della storia che mette decisamente sul tavolo questa ipotesi di allargamento dell’ombrello nucleare in Europa.

 


Questo articolo è pubblicato sul numero 1-2025 di Aspenia

 

 

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