La Francia di Macron, in zona grigia

“Quando il mare si ritirerà, non dovranno restare solo tristezza e desolazione”, ha detto Emmanuel Macron durante un seminario del governo, evocando il grigio panorama francese che affiora dalle emergenze del periodo pandemico. Il Presidente, con il nuovo governo costruito ad hoc la scorsa estate e affidato all’ignoto fedelissimo Jean Castex, puntava a stabilizzare la situazione del Paese incanalando dentro il perimetro del macronismo le forze sociali e le correnti di opinioni sufficienti a farsi rieleggere nel 2022, emarginando l’estrema destra e una sinistra disgregata. Ma oggi la spia del carburante politico segna rosso: Macron rischia di arrivare alla rielezione spompato, e non è un caso che i suoi avversari stiano cominciando a scaldare i motori.

Emmanuel Macron alla Conferenza pubblica sul clima, nel dicembre 2020

 

In giugno, quando il precedente capo del governo Edouard Philippe fu congedato soprattutto perché la sua popolarità stava oscurando quella del Presidente (da qui la scelta dell’obbediente burocrate Castex per sostituirlo), l’ottimismo diffuso dovuto alla fine della prima ondata poteva aver suggerito che la crisi sarebbe stata riassorbita in poco tempo. A inizio 2021 invece le tinte del quadro sono molto più fosche. Il PIL francese nei dodici mesi del 2020 si è contratto dell’8,3%, un dato in linea con quello dell’Europa mediterranea e molto lontano da quello della Germania e dei suoi vicini, che hanno segnato riduzioni tra il 3 e il 6%.

L’anno della pandemia ha però probabilmente visto emergere questioni socio-economiche già esistenti nel decennio precedente, e aggravatesi negli ultimi cinque anni: lo testimonia ad esempio il dato sulle nascite, al minimo storico nel 2020 dalla fine della seconda guerra mondiale, ben centomila in meno di un decennio fa (730 contro 832mila). Un calo, dice l’Insee, non dovuto al minor numero di donne in età fertile, ma al fatto che si fanno meno figli: il tasso di fecondità (benché tra i più alti d’Europa) è sceso negli ultimi dieci anni dal 2,04% all’1,84%. Altri segnali demografici preoccupanti: la speranza di vita alla nascita, non più in aumento da un quinquennio (prima della pandemia); e la mortalità infantile che dal 2005 a oggi è passata dall’essere molto al di sotto della media europea, al superarla.

Si tratta ben inteso di dati non sconvolgenti per un paese dell’Occidente, ma è il loro andamento tendenziale a fare supporre che qualcosa si sia rotto nei meccanismi sociali della Francia, un tempo solidi: d’altronde ne può essere una prova l’esplosione della conflittualità del periodo precedente al coronavirus, con i “gilet gialli” e le manifestazioni contro la riforma delle pensioni che senza quasi soluzione di continuità hanno riempito le strade (e i commissariati) per mesi, o meglio dire anni. E la cosa si è ripetuta anche nelle ultime settimane, contro la legge che impedirebbe ai media di mostrare immagini della polizia.

Nato sulla cresta dell’onda della sfiducia nei partiti tradizionali, e dunque sul mito delle “riforme”, il macronismo in effetti in quasi quattro anni non ne ha portata a casa nessuna di sostanziale, nonostante una maggioranza parlamentare all’inizio bulgara, benché poi sfarinatasi in una serie di gruppi di blocco. Quella delle pensioni, molto contestata, sembra destinata a finire in qualche vicolo cieco del parlamento. La legge sulla decentralizzazione, la riforma elettorale, la riforma dei sussidi sociali, la legge contro il “separatismo” (ossia la “secessione” dai valori della repubblica, per impedire il comunitarismo sociale insomma), la legge sul contrasto al cambiamento climatico, sono tutte ugualmente impantanate in una zona grigia da cui il Presidente, le correnti interne alla maggioranza e gli azionisti della ricandidatura di Macron – ovviamente appesantiti anche dall’impegno politico e dalla stanchezza sociale per il contrasto alla pandemia – non traggono forza per scuotere l’azione di governo.

A poco più di un anno dalle prossime presidenziali, Macron non può più sbandierare i risultati economici che aveva ottenuto, soprattutto la diminuzione della disoccupazione, perché la pandemia li ha spazzati via – anche se in realtà il 2019 si era già chiuso discretamente male, dato comune a molte aree dell’economia europea condizionate dalla guerra commerciale USA-Cina. E può rimanere a corto di tempo per ottenere altri risultati degni di nota. Mentre dolgono le ferite profonde inferte dalla pandemia, la Francia s’interroga su sé stessa, e sulle sue capacità di rilancio: potrebbe essere complesso per Macron presentarsi come il condottiero di un’eventuale rinascita se il suo quinquennato si concludesse con un pugno di mosche.

Sarà dunque necessario per il Presidente controllare la narrativa del post-pandemia per cercare di influenzare il comportamento dei francesi: “tutti gli adulti che lo desiderano saranno vaccinati per la fine dell’estate”, è stato promesso. “Meglio immaginare la movida spagnola – dicono dall’entourage del presidente riferendosi al periodo di ebbrezza sociale ed euforia culturale che caratterizzò la fine della dittatura franchista – che prefigurare il caos nelle strade”. Caos nelle strade che, per inciso, esplode in questo periodo in Spagna ogni fine settimana.

La scommessa più solida del Presidente resta ancora la logica politica che ha guidato il cambio di governo: liquidare la sinistra, considerata incapace di rappresentare un problema, e assorbire la destra a bocconi, sia includendo pezzi di potere gaullista e sarkozista dentro la “macronia”, sia ingaggiando dal governo quelle guerre culturali conservatrici, nazionaliste e populiste capaci di agganciare il grosso elettorato di Marine Le Pen, e di inchiodare la sinistra su battaglie identitarie lontane dalle questioni sociali più urgenti. Se gli avversari non sapranno organizzarsi in tempo, significherà che la zona grigia sta giocando a favore di Macron, congelando un quadro politico che consente al Presidente di occupare lo spazio decisivo al centro della politica francese: quello che basta per vincere le elezioni presidenziali, perché l’estrema destra e la sinistra non potranno saldare i loro voti in un’alternativa.

Anche il Paese, in effetti, è come congelato: il coprifuoco dalle 18 alle 6 del mattino, con tutti i locali pubblici chiusi, va avanti ormai da un mese e mezzo. Congelati sono i sondaggi, che indefettibilmente prevedono all’unisono: Emmanuel Macron contro Marine Le Pen al ballottaggio presidenziale del 2022. E’ in assoluto la soluzione preferita da Macron, che ritiene di non poter perdere contro la dirigente del “Rassemblement National” che sconfisse 66 a 34% al ballottaggio del 2017. Certo, fanno sapere a Parigi, ma guardate Churchill: ha vinto la Seconda guerra mondiale e poi gli inglesi gli hanno votato contro, perché lo identificavano con i tempi bui.

E chi rappresenterebbe un futuro luminoso, invece? Molto dipenderà dal risultato del primo turno, e da quanto questo potrebbe mobilitare l’elettorato in sostegno dell’uno o dell’altro candidato. Alle europee del 2019 furono i lepenisti a vincere, col 23,3%, un punto in più dei macronisti, mentre i Verdi erano la terza forza al 13%. Di fronte a una sinistra spezzettata tra verdi, radicali della France Insoumise, residui del Partito Socialista e altre varie ed eventuali, basta infatti poco più del 20% dei voti per accedere al ballottaggio presidenziale. Il verde Yannick Yadot e il radicale Jean-Luc Mélenchon non sembrano poter superare gli orticelli dei propri elettorati di riferimento. Chi vorrà tentare, con qualche chance in più, sarà la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, rieletta nel 2019 al secondo mandato alla guida della capitale di Francia.

Unico nome socialista dotato di eco nazionale e in grado di suscitare entusiasmi anche oltre i pochi elettori di un partito che non si è risollevato dai disastri del mandato di François Hollande e delle “razzie” macroniste tra i suoi quadri, Hidalgo deve però riallineare verdi e sinistra radicale dietro le sue bandiere, se vuole passare il primo turno. Ma i Verdi, dopo i buoni risultati nelle grandi città alle ultime amministrative, si sentono sulla cresta dell’onda, e il loro leader Yadot ha poca voglia di lasciare il posto a qualcun altro – anche se al Comune di Parigi l’alleanza socialisti-verdi-sinistra radicale è stata costruita con successo.

Anne Hidalgo in bicicletta per Parigi

 

Inoltre, e soprattutto, Hidalgo dovrebbe rivelarsi in grado spostare il focus politico-mediatico dai terreni più favorevoli alla destra, dove gravita stabilmente da anni, a quelli più propensi alla sinistra. Un exploit davvero difficile, nella Francia del 2021.

 

 

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