Nella sua retorica politica, il primo ministro indiano Narendra Modi, appena riconfermato per un terzo mandato, parla di India come «potenza di risorse umane», ovvero di una fonte inesauribile tanto di braccia e gambe quanto di cervelli: l’immagine che offre si oppone in particolare alle società dei paesi economicamente più sviluppati, sempre più vecchie e sempre più desiderose di accorciare la loro settimana lavorativa.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2023, la popolazione dell’India ha superato il numero di 1,425 miliardi di abitanti, divenendo la maggiore del pianeta. Con un’età mediana di 29,8 anni, la società indiana è anche una delle più giovani al mondo, anzi, molto più giovane, per esempio, della società europea (44,5), della cinese (40,2) e della statunitense (38,9), ricordando che in statistica si intende per «mediana» quel valore di un insieme numerico che occupa il posto centrale, così, per esempio, se i termini sono 5, 7, 9, 10, 11, la mediana è 9, se i termini sono 5, 7, 9, 10, 11, 15, la mediana è qualunque numero compreso fra 9 e 10, per esempio 9,5.
La diaspora indiana in Europa
Il ministero degli Affari Esteri indiano riporta che i connazionali che vivono all’estero, incluse persone di cittadinanza diversa ma di origini indiane, ammontano a più di 35 milioni, costituendo così la più grande diaspora al mondo. Tralasciando gli emigrati indiani naturalizzati nei loro paesi di residenza, il numero di persone indiane residenti all’estero è ufficialmente di quasi 16 milioni di persone, che rimane numericamente ancora la più grande diaspora del mondo, pari a circa il 6% di tutte le persone immigrate.
È la penisola arabica che ospita il maggior numero di immigrati indiani, circa 9 milioni di persone, pari al 56% dell’intero flusso migratorio indiano, con in testa i paesi ospitanti degli Emirati Arabi Uniti (22,4%) e dell’Arabia Saudita (15,5%), equiparabili istituzionalmente a effettivi datori di lavoro. A seguire il Nord America con gli Stati Uniti (13,1%) e il Canada (6,4%).
Contrariamente a quanto si possa pensare, attualmente non è più il Regno Unito di sua Maestà Carlo III di Windsor la principale destinazione europea degli immigrati indiani – indiani con cittadinanza, dunque esclusi i naturalizzati (2,3%) – ma è il complesso della UE, con 866.745 residenti (5,5%). Al 1° gennaio 2023 è la Germania il paese UE che ospita il maggior numero di residenti indiani, circa 205.653, pari a circa un quarto dell’intera comunità indiana nell’Unione Europea, a seguire l’Italia con 167.333 residenti (20,4%) e l’Irlanda con 56.442 residenti (6,9%).
Il caso italiano
Nel caso specifico dell’Italia, che fino al 2021 era il Paese con la più vasta comunità indiana all’interno dell’Unione Europea, l’ultimo censimento permanente della popolazione elaborato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) indica che la quota di popolazione con nazionalità indiana sul territorio italiano è pari al 3,3% della popolazione straniera residente, ossia la settima comunità straniera in Italia per ampiezza.
In sole sei regioni risiede l’80% della comunità indiana, precisamente Lombardia con 50.159 residenti indiani pari al 30% dell’intera comunità indiana presente in Italia, seguita da Lazio (32.562; 19,5%), Emilia-Romagna (18.504; 11,1%), Veneto (18.119; 10,8%), Campania (8.628; 5,2%) e Toscana (6.411; 3,8%). La Città metropolitana di Roma accoglie la più grande comunità̀ indiana d’Italia: 18.039 persone. E’ seguita dalle province di Brescia (14.442), Latina (13.145) Bergamo (10.397) e Mantova (9.909).
La concentrazione delle diverse nazionalità su un determinato territorio è collegata principalmente al fenomeno noto come «catena migratoria» che porta le persone emigranti a raggiungere, nel paese di approdo, i connazionali già stabilizzativi. Ma anche la forza attrattiva dei diversi mercati del lavoro locali, e dei prevalenti settori di impiego, è causa di spostamento, ed è proprio il caso della comunità indiana, il cui inserimento occupazionale nelle aree dedite principalmente all’agricoltura e all’allevamento ha portato la comunità a concentrarsi nell’area bresciana e nell’area pontina. Si tratta per la maggioranza di indiani Sikh provenienti dal Punjab già dai primi anni Ottanta, arrivati con la prospettiva di rispondere alla locale domanda di lavoro.
Complessivamente, le aree del settore primario dell’agricoltura, della caccia e della pesca occupano la maggior parte dei residenti indiani in Italia (34,8%), seguite dalle aree dell’industria (32,8%), del commercio (16,1%), dei trasporti (8,6%) e dei servizi (7,7%).
Nello specifico, la comunità indiana in Italia si caratterizza per una forte presenza di giovani adulti, precisamente il 39% circa ha un’età compresa tra i 30 e i 44 anni (un’età che non è così giovanile, per l’India), a fronte del 31% rilevato sul complesso dei residenti non comunitari, e colpisce in particolare la forte incidenza tra gli uomini della fascia di età 35-39 anni, pari a più del 15%, a fronte dell’11,2% degli uomini provenienti da altri Paesi non comunitari.
La comunità indiana non fa rilevare nel complesso elevati livelli di istruzione, poiché la quota di occupati che hanno conseguito al massimo la licenza media è pari al 71% circa a fronte del 56,7% registrato sul totale dei non comunitari: è sfatato così il mito dell’immigrato indiano come (soltanto) un profilo ben istruito e tecnologizzato. Questa diaspora ha comunque saputo trovare una propria collocazione nel mercato del lavoro rispondendo alla domanda di lavoro in ambito agricolo carente di manodopera autoctona, ovvero in quegli ambienti del lavoro in cui è più ampia la richiesta di lavoro flessibile, poco qualificato, a bassa remunerazione e regolati in prevalenza da contratti a tempo determinato.
Limitatamente all’impresa individuale, essendo questa l’unica forma di impresa che consente di identificare la singola cittadinanza non comunitaria del titolare, per la Unioncamere i residenti indiani a guida di imprese individuali sono 8.011, pari al 2% dei non comunitari residenti sul territorio italiano, costituendo il dodicesimo gruppo di imprenditori stranieri in Italia per numerosità
Il settore di investimento prevalente per le imprese individuali indiane è il commercio, con un’incidenza del 39,2%, (a fronte del 41,2% registrato per il complesso dei non comunitari), seguito dal settore dei servizi alle imprese, con un’incidenza percentuale del 13,9% (più che doppia rispetto all’incidenza del 6,2% delle imprese di cittadini non comunitari), e dal settore agricolo con una quota del 5,8% (rispetto al 2,8% dell’insieme delle imprese individuali extra-UE).
Le debolezze dell’economia indiana: dinamica ma squilibrata
Indipendentemente dalla loro destinazione e dal loro status nei singoli Paesi, molti indiani all’estero lavorano comunque per sostenere le proprie famiglie in patria. Nel 2023, la Banca d’Italia calcola che le rimesse dei residenti indiani in Italia ammontino a 441 milioni di euro, pari al 5,4% dell’intera somma di denaro trasferita dai residenti stranieri in Italia verso il proprio paese, collocando la comunità indiana in settima posizione. Nell’Unione Europea, la Banca Centrale stima che le rimesse indiane siano terze per dimensioni per un valore di circa 1.6 miliardi (4,3%). È Tuttavia nel mondo che da decenni l’India è il maggior destinatario di trasferimenti internazionali di denaro, indicando la Banca Mondiale rimesse verso l’India per 125 miliardi di dollari, l’equivalente del 3% del prodotto interno lordo, una cifra per niente trascurabile.
Per il 2022, l’Organizzazione delle Nazioni Unite riporta per l’India un tasso di disoccupazione complessivo del 7,3%, che sale al 23% per le persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, fino a raggiungere la quota del 42,3% tra i laureati fino a 25 anni, in una popolazione in cui solo la metà possiede una qualifica adeguata alla domanda del mercato del lavoro interno, una condizione che impone, in particolare per le giovani generazioni, la creazione di 10-12 milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno.
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Combinando il grande vantaggio economico-finanziario derivante dalle rimesse della diaspora con un improbabile equilibrio occupazionale particolarmente per le posizioni di contenuto superiore, gli slogan del primo ministro indiano Narendra Modi sulla qualità degli emigranti indiani, più che retorica nazionalista, appaiono piuttosto come una forma di risposta debole e precaria a uno sviluppo socioeconomico incerto e insostenibile.
Le rimesse della diaspora indiana costituiscono un flusso finanziario in entrata rilevante per il mantenimento di un’economia che vada oltre la sussistenza, per la qual ragione il governo indiano sembra incoraggiare i propri cittadini, in particolare le giovani generazioni, a emigrare. In questo modo, la necessità di creare nuova occupazione, particolarmente per le persone maggiormente istruite, al fine di ridurre la latente pressione sociale, che i risultati delle ultime elezioni sembrano evidenziare.