Il tema della divisione e della mutevolezza è sorprendentemente costante nella storia della Polonia, e ne scandisce le diverse epoche storiche e i momenti cruciali: dalle spartizioni che posero fine alla Confederazione polacco-lituana, attraverso l’occupazione nazista, al regime comunista, fino a oggi.
In sole ventiquattro ore, la Polonia è di nuovo mutata. Il ballottaggio del 12 luglio, con cui il presidente in carica Andrzej Duda è riuscito, seppur con difficoltà, a riottenere il mandato, darà forma al Paese, attraverso nuove sembianze, politicamente, economicamente e soprattutto socialmente. Il voto conferma un contesto nazionale dominato dal PiS, il partito Diritto e Giustizia alla testa del governo in carica fino al 2023, il presidente Duda alla guida del Paese fino al 2025 e un Senato in mano all’opposizione, tuttavia con scarsa rilevanza. Allo stesso tempo, lo stretto margine di vittoria (51% contro 49% per lo sfidante Rafał Trzaskowski) mostra una Polonia divisa e spaccata, non più esclusivamente dal tradizionale punto di vista territoriale Est/Ovest, che per anni ha caratterizzato la narrativa nazionale e le analisi storico-politiche, ma in ogni sua piccola accezione e dimensione, specialmente sociale.
Cinque le considerazioni che si possono fare all’indomani del voto.
In primo luogo la vittoria di misura di Duda il suo risultato è molto simile al risultato del 2015, anno in cui sconfisse l’allora candidato Bronisław Komorowski con il 51,5% dei voti. Il PiS non è dunque riuscito a fare quello scatto in avanti necessario per consolidare il consenso elettorale e ricevere un forte mandato politico: quasi la metà degli elettori ha scelto il rivale, sindaco di Varsavia, sebbene candidato inatteso e meno consolidato sulla scena nazionale.
In secondo luogo, la partecipazione. Il 68,2% di affluenza è il dato più alto dal 1989, pari solo al ballottaggio del 1995, quando i polacchi scelsero tra Aleksander Kwaśniewski e Lech Wałesa, significa un forte ritorno alle urne, dopo anni di appuntamenti elettorali con scarsa affluenza. L’alta partecipazione è stata certamente influenzata dalla crisi Covid-19 e dalla voglia dei cittadini polacchi di farsi sentire. Lockdown e chiusura anticipata delle frontiere hanno contribuito a preservare la Polonia dal rischio pandemico; allo stesso tempo hanno però dato l’immagine di un paese chiuso e rivolto al proprio interno, immagine che soprattutto gli abitanti di grandi città, poli universitari e centri culturali non erano disposti ad accettare.
In terzo luogo, l’importanza del voto giovanile. La Polonia è caratterizzata da una classe politica tradizionale e tradizionalista, ancorata a vecchi dogmi e incapace di farsi da parte e lasciare spazio e opportunità a quella giovane Polonia istruita, spesso residente all’estero e desiderosa di contribuire al futuro del proprio paese in chiave contemporanea. Ha infatti votato per Trzaskowski il 64% dei cittadini tra i 18 e i 29 anni, il 55% della fascia 30-39 e 40-49, ma solo il 41% tra i 50-59 ed il 38% tra gli over 60; per Duda, l’esatto contrario: il 62% della fascia 60+, il 59% tra i 50-59, il 45% tra i 40-49 e 30-39 ed il 36% tra i 18-29.
La frattura generazionale ha contrapposto dunque da una parte la Polonia più giovane, maggiormente consapevole dei benefici derivanti da Europa e più informata sui fondi europei, e delle opportunità offerte dall’appartenenza all’UE, soprattutto in termini di circolazione di persone e merci. Dall’altra, la Polonia in età più avanzata, che ha sofferto degli squilibri sociali ed economici che inizialmente colpirono la classe lavoratrice “statale” polacca all’indomani della caduta del socialismo reale, molti dei quali non riuscirono a ritrovare una propria collocazione del sistema capitalista all’occidentale.
Tra le considerazioni segue poi il profilo dei due candidati, rappresentanti di due destre molto diverse e specchio di due società polacche differenti: da una parte il Presidente Duda, portavoce di quella Polonia conservatrice che guarda ancora al passato per il timore del futuro; molto sostenuto dalla Chiesa e dalla televisione di stato; alla incessante ricerca del nemico pubblico, questa volta nella forma di Germania, comunità ebraica, migranti e comunità LGBT. Dall’altra parte, il sindaco di Varsavia Trzaskowski, liberale e portavoce della Polonia pro-europeista, con uno sguardo ben oltre la Vistola, verso Berlino e Bruxelles.
La competizione elettorale e il profilo politico dei due candidati, e dei rispettivi partiti a sostegno, hanno confermato alcuni trend che potrebbero radicarsi negli anni a venire: soprattutto la mancanza di una valida forza politica di sinistra, credibile e capace di raccogliere quel consenso elettorale che il 12 luglio è confluito nel voto a Trzaskowski, e poi la carenza di forti figure politiche femminili che potrebbero portare il paese verso un’evoluzione progressista sui diritti civili, specialmente alla luce della posizione governativa su aborto e ruolo tradizionale della donna.
In effetti, la scena politica polacca resta dominata da 15 anni da Platforma Obywatelska e Prawo i Sprawiedliwosc, Piattaforma Civica e Diritto e Giustizia, i partiti dei due sfidanti del ballottaggio. Il terzo candidato in ordine di preferenze durante il primo turno, Szymon Hołownia, volto della tv privata e showman di successo, avrebbe potuto rimescolare le carte in tavola, tuttavia si è fermato al 13,8%. Lo stesso accadde in occasione delle elezioni europee del 2019 quando fece irruzione nel panorama polacco la Primavera di Robert Biedroń, portavoce della Polonia pro-diritti civili, inclusiva e progressista: grandi progetti e prospettive che tuttavia non sono riuscite a catalizzare voti e fiducia dell’opinione pubblica.
Infine, bisogna considerare le aspettative nei confronti dell’Europa, i rapporti con Bruxelles e il ruolo che Varsavia intende avere. Parlare di “orbanizzazione” della Polonia è prematuro. Forse proprio grazie al precedente ungherese, la Polonia è oggi sotto una speciale lente di ingrandimento. La questione dello stato di diritto dominerà quasi esclusivamente i rapporti Varsavia-Bruxelles nei mesi a venire, con conseguenze sugli equilibri all’interno della cornice Visegrad, sulle relazioni con Berlino, sulla posizione polacca tra UE e Russia e non da ultimo, sul piano Next Generation EU e la redistribuzione dei fondi europei, vitali per lo stato polacco da sempre esempio di un virtuoso utilizzo.
Con il passaggio dalla fase emergenziale della pandemia a quella del tentativo di ripresa economica, è mutato il modo in cui i polacchi hanno guardato all’Europa. Secondo recenti studi ECFR, le emozioni hanno influenzato in modo fondamentale il modo in cui i cittadini europei, polacchi inclusi, si sentivano durante la pandemia. Da una parte, un forte senso di abbandono e di solitudine: tra i 9 paesi sottoposti ai sondaggi ECFR, la Polonia è risultata in cima alla classifica con il 30% dei polacchi preda di in un senso di abbandono da tutti i possibili partner politici; dall’altra un desiderio di maggiore cooperazione, con il 68% dei polacchi a favore di “più Europa” per uscire dal tunnel Covid-19, con il 57% degli elettori di PiS ed il 93% di PO a sostegno di questa tendenza.
Il contesto economico gioca un ruolo a sé nell’attuale quadro polacco. Le recenti previsioni della Commissione europea delineano uno scenario post-pandemia in cui la Polonia si colloca in maniera eccezionale alla guida delle economie più solide in UE. Il contraccolpo negativo del Covid-19 sul 2020 si fermerebbe al 4,6%, risultato straordinario se si considera l’opposto primato detenuto dai “peggiori” della lista, Italia, Spagna, Croazia e Francia, di cui si prevede un calo del PIL rispettivamente al 11,2%, 10,0%, 10,8% e 10,6%.
Il voto del 12 luglio pone importanti sfide al governo PiS. Quasi il 50% degli elettori ha deciso di non conferire fiducia al partito in carica, e il messaggio politico portato dai polacchi dovrebbe spingere i rappresentanti governativi verso la necessità di cambiamento della propria strategia, nazionale, europea e globale. Il 2020 rappresenta un anno cruciale e difficile per il futuro dell’Europa e del progetto europeo, come anche per i 27 stati membri. Molti gli elementi di disequilibrio: le conseguenze del voto Brexit; la deriva autoritaria dell’Ungheria; l’alleanza dei “Frugali”; la fragilità politica di Francia, Spagna e Italia; i difficili negoziati sul Recovery Fund; il crescente disimpegno degli Stati Uniti in Europa ed il ruolo critico della Cina a livello multilaterale.
In questo quadro, la Polonia deve scegliere quale ruolo svolgere. Ma soprattutto capire, sulla base del voto democratico manifestato dai propri cittadini, se contribuire al progetto europeo come semplice beneficiario economico, come protagonista proattivo, oppure come contenitore problematico di ulteriori criticità.