La “City Diplomacy” come opportunità per l’Italia

I centri urbani stanno conoscendo uno sviluppo impressionante: si calcola che oggi l’80% del Pil mondiale venga generato al loro interno[1], e si prevede che entro il 2050 circa il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane[2]. A fronte di queste tendenze si riscontra una progressiva crisi degli Stati nazione, dovuta agli effetti (non necessariamente perversi) della globalizzazione che, uniti alla grave crisi economica del 2008 – con conseguente recessione – hanno portato a una recrudescenza della conflittualità sia sociale-interna che politica-internazionale. E ci si domanda di conseguenza quale possa essere il futuro della democrazia, almeno in Occidente.

Se la crescita demografica dei centri urbani risulta evidente, a livello globale, lo è altrettanto quella politica: oggi, sempre di più, le città recitano un ruolo centrale sul piano delle relazioni internazionali. Gli esempi sono moltissimi, soprattutto al livello delle così dette “mega cities” Sono le megalopoli che, in ragione del peso economico e demografico che rivestono[3] perseguono interessi globali e non meramente regionali, al pari degli Stati: si va dal ruolo che la rete internazionale di sindaci “C40” (94 città che assommano oltre 700 milioni di persone e un quarto dell’economia globale) ha svolto in vista degli accordi sul clima di Parigi siglato nel 2015[4], all’attivismo in materia di migrazioni e diritti civili (spesso in contrasto con gli indirizzi dei propri governi centrali[5]), sino a quello in campo economico che addirittura hanno condotto a degli accordi stretti tra una singola città e un’intera nazione[6].

L’Italia nella galleria delle carte geografiche dei Musei Vaticani

 

Una simile tendenza risulta positiva o negativa per l’Italia? Il nostro Paese conserva una grande tradizione urbana, che affonda le proprie origini nella romanità prima, e nell’Età comunale-rinascimentale dopo. Sia per ragioni storiche che geografiche (le due cose, in effetti, sono legate) la Penisola appare una realtà estremamente frastagliata, divisa tra “cento città” e relative culture, lingue, interessi. Milano, ad esempio, ha una tradizione internazionale radicata; il principale partner commerciale del Veneto è la Germania; per storia e posizione il Piemonte conserva un legame molto forte con la Francia; Trieste è il limite orientale italiano, con una proiezione verso l’Istria, la Dalmazia e tutti i Balcani; i due principali partner commerciali della Sardegna sono Spagna e Gibilterra; la più meridionale delle isole siciliane, Lampedusa, è più vicina al Nordafrica che all’Italia; dalle coste della Puglia si riesce a scorgere, ad occhio nudo, l’Albania.

Il maggiore rilievo delle città quali attori internazionali sembra dunque andare in una direzione favorevole all’Italia. Tanto che se il peso del Paese all’interno delle gerarchie continentali è sempre stato inferiore a quello delle potenze egemoni (ieri Gran Bretagna e Francia, oggi Francia e Germania) è vero anche che alcune sue entità comunali e regionali, prese singolarmente, risultano estremamente competitive sotto il profilo economico, efficienti da quello amministrativo e brillanti a livello di immagine. Milano è una potenza da questo punto di vista ed è senza dubbio il caso più eclatante in Italia, ma non l’unico. Se pure, infatti, il sistema Paese ha perso competitività a partire dall’introduzione della moneta unica[7], complice anche la recente crisi economica, alcune realtà regionali si sono adattate invece in maniera ottimale al nuovo scenario: secondo uno studio del 2017[8] Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna insieme hanno la stessa capacità di creare ricchezza dall’export delle regioni tedesche più sviluppate.

È notizia del 2009 che Louis Vuitton abbia installato un grosso centro produttivo nella Riviera del Brenta (Venezia)[9], cercando di sfruttare le conoscenze del sistema calzaturiero veneto, presto imitata da Dior, Yves Saint Laurent e Balenciaga. Il piccolo centro montano di Agordo (Belluno), invece, sede di Essilor-Luxottica, è diventato leader mondiale nella produzione di montature e lenti per occhiali, con un utile netto aziendale di 1,87 miliardi di euro nell’ultimo anno[10].

A Sud, in una situazione generalmente problematica, Matera ha approfittato dei fondi derivanti dalla sua nomina a capitale europea della cultura 2019, con un aumento del 176% delle presenze turistiche negli ultimi sette anni (+ 216% di visitatori stranieri)[11], mentre il porto di Gioia Tauro rientra nella lista dei 15 porti più grandi e importanti d’Europa del 2018[12]. L’isola di Lampedusa, infine, su impulso dell’Orso d’oro vinto al Festival di Berlino nel 2016 dal film “Fuocoammare” è stata candidata al Nobel per la Pace 2017 ed il suo sindaco, Giuseppina Nicolini, insignita del premio Houphouet-Boigny per la ricerca della pace, promosso dall’Unesco.

I comuni italiani (una parte di essi, almeno) sono già dunque in grado di svolgere un ruolo maggiore nell’ambito delle relazioni internazionali, sia con l’obiettivo di attrarre investimenti, sia di gestire situazioni di crisi, sia di sviluppare intese con altre città e regioni, confinanti o meno. Se oggi le ambizioni italiane risultano dunque soffocate dalle infrangibili gerarchie continentali, la City Diplomacy offre la possibilità di spezzare tale equilibrio.

Un punto dev’essere tuttavia sottolineato, perché il confine è sottile e facile da travalicare: l’Italia è e deve restare Stato unitario. Per tante ragioni: culturali, politiche, militari, anche commerciali. Quella italiana è la cultura più influente al mondo (secondo la classifica Best Countries Rankings 2019[13]); la lingua italiana tra le più studiate[14] e la seconda al mondo più utilizzata nelle insegne commerciali “perché è attraente e viene associata nell’immaginario collettivo ai prodotti di qualità del nostro Paese”[15]; il Made in Italy è una potenza a livello globale e vale complessivamente 96,9 miliardi di euro[16]. Dunque la proiezione delle città italiane dovrebbe avvenire di concerto e non in concorrenza con quella dello stato italiano.

Ma quali sono, concretamente, le politiche che l’Italia dovrebbe attuare per assecondare lo sviluppo delle città quali attori a pieno titolo sulla scena internazionale?

Posto che per definizione la City Diplomacy sfugge al controllo statuale, alcuni accorgimenti potrebbero agevolarne la crescita, nel senso auspicato. Innanzitutto ogni città che venga giudicata strategica per i superiori interessi internazionali del Paese potrebbe essere dotata di un Ufficio per gli Affari Esteri (UAE), atto a gestire qualunque aspetto concernente le relazioni internazionali di quel determinato centro urbano, proprio come se si trattasse di un Ministero degli Esteri su scala ridotta.

La scelta di dotare o meno una città di un simile ufficio, poi, non dovrebbe essere necessariamente legata alla sua grandezza (ad esempio attraverso l’imposizione di una soglia minima di residenti). Lampedusa, ad esempio, conta poco più di 6.000 abitanti, ma costituisce l’ultimo avamposto italiano prima della costa africana del Mediterraneo e per questo risulta di rilevanza strategica nettamente maggiore rispetto a centri più popolosi ma situati in porzioni di territorio meno cruciali.

Ciascun ufficio potrebbe essere posto sotto il superiore controllo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, cui spetterebbe logicamente la scelta relativa all’istituzione o meno di un UAE nelle varie città e alla quantità di personale da destinarvi. La scelta del personale addetto dovrebbe avvenire tramite concorso pubblico (così come già avviene per la carriera diplomatica tradizionale) seguendo il modello francese dell’École nationale d’administration, scuola di formazione per futuri dirigenti pubblici.

Una seconda strategia da perseguire è legata alla diffusione del modello di City Diplomacy anche ad altre realtà europee. L’UE prevede già dei meccanismi di sviluppo regionale e, anzi, tra i suoi obiettivi storici c’è quello di promuovere la pacifica e proficua convivenza tra le regioni europee, diminuendone i vincoli tutt’oggi esistenti con i singoli Stati di appartenenza. Il Comitato delle Regioni (CoR) rappresenta il più importante tra questi enti. L’attuale presidente, Karl-Heinz Lambert, vedrà scadere il proprio mandato proprio al principio del nuovo anno: Roma dovrebbe dunque esercitare tutte le pressioni possibili per far nominare un italiano al suo posto e attraverso quello iniziare a lavorare in maniera organica per uno sviluppo sempre più fattivo della City Diplomacy.

Un passaggio anche da parte di Francia e Germania ad un paradigma maggiormente legato ai centri urbani e regionali quali attori di politica internazionale permetterebbe di limitarne le pulsioni più conflittuali e problematiche per una convivenza continentale comune. E se pure in Francia lo Stato “precede” la Nazione e dunque sul suo territorio più difficilmente un simile approccio potrà attecchire, la Germania è già una realtà federale molto forte, molto ben radicata. È nel pieno interesse dell’Italia assecondare ed anzi accentuare ancor più un simile dato storico.

Altro strumento adatto a incentivare lo sviluppo della City Diplomacy potrebbe essere quel grande sistema di “soft power” che sono le università. Le collaborazioni tra atenei internazionali rappresentano una realtà molto diffusa oggi e attualmente l’Italia utilizza già le proprie accademie come strumenti di politica internazionale (si pensi alla base “Dirigibile Italia” nell’Artico). Oggi 23 atenei italiani partecipano al progetto “UniTwin”, sorta di gemellaggio internazionale promosso dall’Unesco e allo stesso modo rapporti bilaterali tra università italiane e straniere sono già stati avviati nel tempo. Si tratta però, ancora, di misure estemporanee, affidate alla sola iniziativa dei singoli atenei e attuate poi su scala troppo ridotta per poter stabilire legami profondi con aree strategiche.

Un nuovo Rinascimento italiano passa dunque per il ruolo internazionale che le città riusciranno ad assumere, nel prossimo futuro. La “Terza Italia”, promessa mai mantenuta del Fascismo – con una visione tutta statocentrica – potrebbe vedere la luce – ironia della sorte – proprio grazie a una nuova Età dei Comuni che rifugga il centralismo, almeno a livello di proiezione internazionale.

 

 

 


[1] https://www.worldbank.org/en/topic/urbandevelopment/overview.

[2] https://www.un.org/development/desa/en/news/population/2018-revision-of-world-urbanization-prospects.html.

[3] Il Pil dell’area metropolitana di New York, al primo semestre del 2018, ad esempio, risulta superiore a quello dell’intera Spagna: https://en.wikipedia.org/wiki/Comparison_between_U.S._states_and_sovereign_states_by_GDP.

[4] https://www.c40.org/history.

[5] https://www.reuters.com/article/us-usa-immigration-sanctuary-mayors/u-s-mayors-dismiss-trump-sanctuary-city-threat-prepared-to-welcome-migrants-idUSKCN1RO2E3. In Italia, invece: https://www.corriere.it/politica/19_gennaio_03/sindaci-contro-decreto-sicurezza-replica-salvini-chi-non-applica-ne-rispondera-6ee99518-0ee7-11e9-81e4-4ae8cf051eb7.shtml.

[6] https://www.pacificcouncil.org/newsroom/announcing-mexla-new-effort-deepen-la-mexico-ties.

[7] https://www.bloomberg.com/graphics/2018-euro-at-20/. E anche:

https://www.cep.eu/fileadmin/user_upload/cep.eu/Studien/20_Jahre_Euro_-_Gewinner_und_Verlierer/cepStudy_20_years_Euro_-_Winners_and_Losers.pdf.

[8] https://www.ilsole24ore.com/art/export-tre-regioni-italiane-salgono-tetto-d-europa–AEBMgXHC.

[9] https://www.mffashion.com/news/backstage/veneto-distretto-del-lusso-tra-luci-e-ombre-201807271955487486.

[10] https://www.corriere.it/economia/19_marzo_08/essilorluxottica-utili-187-miliardi-vecchio-saremo-modello-rivoluzionario-c8e620de-4198-11e9-883c-bdbf2f5b2942.shtml.

[11] https://www.confesercenti.it/blog/turismo-assoturismo-cst-xxiii-borsa-delle-100-citta-darte/.

[12] https://www.porteconomics.eu/2019/03/02/portgraphic-top15-container-ports-in-europe-in-2018/.

[13] https://media.beam.usnews.com/55/57/eb2338c7493eadf38e29db4b8dca/190116-best-countries-overall-rankings-2019.pdf.

[14] Nel 2018 il Ministero degli Esteri dichiarò fosse la quarta più studiata nel mondo, ma il dato è stato in seguito contestato e appare difficile da definire con certezza.

[15] https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2018/01/relazione_al_parlamento_per_il_2016__l._n._401_del_22_dic._90___istituti_di_cultura_.pdf.

[16] https://www.pmi.it/economia/mercati/298862/made-in-italy-cresce-il-valore-a-livello-mondiale.html.

 

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