La città dei 15 minuti, tra opportunità e sfide

Di recente, e soprattutto dopo la pandemia, sono tanti i luoghi urbani in giro per il mondo a essersi confrontati con l’idea della “città dei 15 minuti”. I riflettori si accendono su quest’idea su scala internazionale per la prima volta in occasione delle elezioni amministrative a Parigi del giugno 2020, anche se a dir la verità la politica “dei 20 minuti” già esisteva da tempo in grandi città, come Portland (Oregon), negli Stati Uniti, o Melbourne, in Australia.

Con le amministrative di Parigi diventa per la prima volta però l’asse portante di una campagna elettorale, quella della sindaca uscente Anne Hidalgo, che decide di fare propria la visione di città di Carlos Moreno, professore d’urbanistica presso l’Institut d’administration des entreprises dell’Università la Sorbona. Anche se esistono varie declinazioni, la “città dei 15 minuti” è tendenzialmente una città in cui ciascun cittadino ha a meno di 15 minuti a piedi tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, divertirsi e lavorare. Dunque negozi, servizi ma anche il proprio posto di lavoro. Per fare un esempio, prendere la macchina per andare al centro commerciale non fa parte della città dei 15 minuti. Dover fare mezz’ora in bus per andare a scuola o al presidio sanitario più vicino non fa parte della città dei 15 minuti.

Le caratteristiche di una strada della “città dei 15 minuti” secondo l’équipe politica di Anne Hidalgo

 

L’idea sottostante non è nuova da un punto di vista urbanistico: la grande studiosa delle città statunitensi Jane Jacobs negli anni sessanta già parlava della necessità di progettare città “miste”, con quartieri polifunzionali, proprio per evitare che tutti i servizi si concentrassero in pochi luoghi.

Tra i benefici, allora come oggi, vi sono quelli di una migliore qualità della vita grazie al tempo che si risparmia negli spostamenti e alla maggiore funzionalità dello spazio urbano in cui si vive, che riduce lo stress e incoraggia il movimento. Un altro punto a favore della città dei 15 minuti è quello di promuovere un maggior senso di prossimità e comunità, entrambi riscoperti forzatamente in tempi di pandemia, ma che appaiono sempre di più un patrimonio del quale volersi appropriare in pianta stabile, sfruttando al massimo le opportunità offerte in tal senso dalla tecnologia.

Nel 2021, questo concetto urbanistico e organizzativo ha poi un ulteriore vantaggio, quello di fornire una potenziale risposta alla sfida del come ridurre le emissioni nel comparto dei trasporti urbani. La risposta, afferma scherzosamente Moreno, è banalmente quella dell’immobilità (Je dis de manière un peu taquine que la meilleure réponse aux problèmes de mobilité, c’est l’immobilité.). Bollata da Moreno stesso come provocatoria, l’immobilità, intesa nel senso di riduzione drastica fino quasi all’azzeramento degli spostamenti (proprio perché tutto sarebbe “a portata di piede”) costituisce però un’interpretazione estrema e fuorviante, e sarebbe opportuno che le amministrazioni locali se ne tenessero lontane, evitando di alimentare critiche su concetti irrealizzabili che finirebbero etichettati come facili slogan pre-voto.

Le grandi città esistono perché le persone traggono vantaggio dal disporre di molte opportunità concentrate in poco spazio. Il prezzo da pagare è dato dal maggior tempo impiegato negli spostamenti, dalla minore disponibilità di spazi verdi e dai maggiori livelli di inquinamento.

Il tessuto urbano di Napoli

Il compromesso tra prossimità e varietà

Quali sono alcune possibili critiche della città dei 15 minuti che occorre tener presente per poterne viceversa apprezzare a pieno i punti di forza, evitando così di banalizzare il concetto?

Partiamo da quella più frequente, in base alla quale la città dei 15 minuti rappresenterebbe un approccio eccessivamente imposto dall’alto, o top-down. Pur rimanendo in effetti un ambito, quello della progettazione urbanistica, caratterizzato da un forte potere di iniziativa dall’alto, è sempre più evidente la necessità di coniugare quest’approccio con uno partecipato dal basso al fine di costruire comunità che siano veramente sostenibili. In questo caso, l’eccessivo dirigismo di cui viene rimproverata la città dei 15 minuti è quello che tradisce la sua ambizione a diventare catalizzatrice di vita di comunità e partecipazione cittadina.

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Ma questo risultato è difficile ottenerlo mediante interventi di natura meramente urbanistica di riorganizzazione del territorio, in quanto questi possono soltanto parzialmente influenzare la capacità e soprattutto la volontà da parte dei residenti di un quartiere di costituirsi come comunità. Ecco dunque che, più che vederla come rappresentazione olistica della città, l’unico modo per rendere la città dei 15 minuti catalizzatrice di vita di comunità e sfuggire alla critica di approccio eccessivamente top-down è quello di costituirsi come punto d’arrivo un processo partecipativo dal basso in cui i residenti di un determinato quartiere insieme collaborino alla riprogettazione del loro quartiere.

Veniamo poi alla seconda critica, quella per cui la città dei 15 minuti non rappresenta un modello facilmente esportabile. La città dei 15 minuti è effettivamente un concetto ben adatto alla città di Parigi, un po’ meno altrove. Parigi è una delle città più dense d’Europa. I suoi quartieri già presentano in molti casi la fisionomia dei “15 minuti” (diversamente accade nella banlieue, situata però al di fuori dei confini municipali della Ville de Paris). Pertanto, l’implementazione della città dei 15 minuti a Parigi richiede un cambiamento di tipo culturale più che urbanistico, teso a favorire tra i residenti uno stile di vita “più locale” e quindi anche a ridurre gli spostamenti in macchina, che continuano ad essere elevati per una città dotata di un’ottima rete di trasporti pubblici locali come Parigi.

È possibile comparare il numero di attività situate in media a meno di un chilometro di distanza (la distanza che si copre in circa 15 minuti a piedi) tra città europee grazie ai dati raccolti e processati dall’International Transport Forum. I dati sono raggruppati per categorie: negozi di generi alimentari, scuole primarie e secondarie, ospedali e presidi sanitari. Come si apprezza dalla Tabella 1 in cui sono riportate per ciascuna categoria i nomi delle prime 10 città europee caratterizzate dal maggior numero di attività situate in media nel raggio di un chilometro, Parigi figura sistematicamente tra le prime, indipendentemente dalla categoria considerata.

Ranking

Negozi generi alimentari Istruzione Sanità Popolazione (‘000s)

1

Barcellona

182

Vienna

39

Atene

4,0

Barcellona

69

2

Torino

148

Barcellona

35

Salonicco

3,8

Saragozza

63

3

Saragozza

144

Lussemburgo

35

Catania

2,0

Madrid

55

4

Bruxelles

135

Bruxelles

34

Riga

1,6

Valencia

52

5

Malaga

127

Catania

33

Budapest

1,5

Bilbao

51

6

Genova

126

Palermo

33

Varna

1,4

Bucarest

50

7

Bilbao

123

Monaco

30

Parigi

1,4

Salonicco

48

8

Parigi

118

Basilea

28

Monaco

1,3

Parigi

41

9

Valencia

115

Parigi

28

Barcellona

1,2

Malaga

41

10

Madrid

116

Tessalonica

27

Palermo

1,2

Atene

41

Tabella 1: Prime dieci città d’Europa per numero di attività situate a meno di un chilometro di distanza prendendo come punto di osservazione quello di un residente medio.

Il numero di attività decresce rapidamente man mano che si scorre la classifica: se si ordinano le città in base al numero di scuole situate nel raggio di un chilometro, il valore che caratterizza le prime città è di oltre cinque volte superiore al valore che caratterizza le ultime. Occorre dunque fare attenzione: sarebbe un errore promuovere un iper-localismo in città in cui, per via della configurazione urbanistica, delle stesse, questo comporterebbe una riduzione sensibile della varietà di servizi e negozi cui possono accedere i cittadini se limitano i loro spostamenti ai 15 minuti.

Una città a bassa densità negli Stati Uniti, una città ad alta densità in Cina

 

E veniamo dunque all’ultima potenziale critica. Promuovere l’iper-localismo nell’ambito dei servizi essenziali risponde a quell’idea di città “di prossimità” che soprattutto nell’era post-Covid le amministrazioni locali vogliono rilanciare. Promuoverlo nel contesto dei luoghi ricreativi/di consumo o nel contesto lavorativo non risponde invece necessariamente ai bisogni dei cittadini, che per queste due sfere della loro vita personale tendono ad apprezzare una varietà di opzioni disponibili.

 

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Studi dimostrano, per esempio, che a fronte di miglioramenti nella rete di trasporti che rendono più facilmente raggiungibili da parte del cittadino determinati quartieri, i cittadini rispondono visitando più ristoranti, bar e caffè di quanto non facessero prima. Mentre per scuole, ospedali e in generale i servizi essenziali è tendenzialmente sufficiente averne quantomeno uno nelle prossimità di dove si vive. Nel caso dei negozi e ristoranti, invece, i consumatori apprezzano la varietà, che l’iper-localismo per definizione inibisce.

Inoltre, sebbene nell’era post-Covid spazi di co-working diventeranno forse assimilabili a servizi essenziali per cui sarà opportuno favorire la creazione di una rete capillare equidistribuita sul territorio cittadino, è irrealistico e ideologico estendere il concetto di città dei 15 minuti al contesto lavorativo. Le città esistono perché vi sono dei vantaggi da parte del lavoratore nell’avere a disposizione un numero così elevato di potenziali datori di lavoro concentrati in così poco spazio e viceversa per le imprese, quali per esempio la possibilità di trovar più facilmente il lavoro/lavoratore che si sta cercando, beneficiare di un apprendimento più rapido sul posto di lavoro grazie allo scambio e confronto con un numero maggiore di persone. Se questi vantaggi fossero nulli, non esisterebbero le città ma soltanto costellazioni di borghi.

La città dei 15 minuti è dunque da intendersi come una sorta di salario minimo della progettazione urbanistica e delle politiche sociali, teso a garantire a ciascun cittadino accesso in tempi rapidi ad almeno un servizio essenziale di ciascun tipo. Ma l’implementazione della città dei 15 minuti non deve esonerare dal potenziamento delle reti di trasporto e dei corridoi esistenti tra i vari quartieri, che favorendo una crescente interconnettività del sistema urbano, alla pari di uno strumento di politica economica, massimizza le opportunità di crescita economica delle città tramite una più rapida circolazione di persone, merci e idee.

 

 


Nota alla tabella: I negozi di generi alimentari includono supermercati, minimarket, negozi specializzati (panetterie, macellerie, etc.). Il capitolo istruzione comprende tutte le scuole primarie e secondarie. Il capitolo sanità ospedali e presidi sanitari. Per facilitare il confronto, i dati riportati in tabella fanno riferimento al centro delle aree metropolitane (“City”) ed escludono l’hinterland (“Commuting zone”), comunque presente nella base dati orignaria. Fonte: Urban Access Framework (OECD-ITF) sulla base di dati TomTom.

 

 

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