Sin dal 2013, quando il Presidente cinese Xi Jinping ne delineò gli obiettivi, l’iniziativa ormai nota come “Nuova Via della Seta” o “One Belt One Road” (OBOR) è rapidamente divenuta fulcro della politica estera della Cina in Eurasia e a livello globale e simbolo dell’inedito attivismo di Pechino sulla scena internazionale. Dopo cinque anni, l’iniziativa mantiene il suo appeal, nonostante i rischi intrinseci ad un così vasto progetto, le difficoltà interne ed esterne alla Cina e lo scetticismo di molti paesi coinvolti.
L’idea cinese di “riconnessione infrastrutturale e logistica” di uno spazio geografico ma anche politico enorme e variegato com l’Eurasia, in effetti, sembra essere l’unica “grande visione” apparentemente in grado di offrire nuovo slancio all’economia globale in tempi di nazionalismo economico-politico, ripresa incerta e crisi diffuse. Si tratta non soltanto di un ambizioso progetto infrastrutturale, ma in effetti di una strategia transregionale di co-sviluppo industriale ed economico: la regione interessata si estende dalle frontiere continentali della Cina fino alle economie in via di sviluppo della cintura afro-asiatica. Ad oggi, questa macro-area rappresenta (insieme ad alcune regioni interne dell’Africa) l’ultimo grande spazio “disconnesso” dell’economia globale; al contempo, però, è territorialmente contiguo ai grandi poli di crescita economica e demografica dell’Asia costiera.
L’iniziativa è dichiaratamente non egemonica e aperta a tutti i paesi interessati. Pechino ha finora impegnato intorno ai 500 miliardi di dollari nella OBOR, suddivisi fra isituzioni nazionali come il Silk Road Fund e la China Export-Import Bank, nuove istituzioni multilaterali regionali come la Banca Asiatica di Investimenti nelle Infrastrutture (AIIB) e linee di credito delle banche cinesi.
La OBOR e le istituzioni ad essa legate non rappresentano, tuttavia, né un nuovo piano Marshall, né tantomeno un coerente disegno di graduale assunzione, da parte della Cina, dei compiti di garante di un ordine economico mondiale liberale. Un ordine aperto – e perciò contrario a chiusure nazionalistiche e protezionistiche – come alcuni teorici dell’ordine liberale sembrano sperare, e altri sembrano temere. Essa si iscrive, a converso, nel vasto piano di “ringiovanimento nazionale” che il Presidente Xi ha posto, come in altri suoi interventi, al centro del suo discorso al 19° Congresso del Partito, in ottobre.
In effetti, la logica della OBOR appare complessa e si muove su piani molteplici: deve essere essenzialmente definita come una risposta proattiva della leadership cinese a cambiamenti strutturali di breve e di lungo periodo, interni ed esterni al Paese. Vi sono almeno tre dimensioni: domestico/macro-economica, geo-economico/geopolitica continentale, e sistemico/globale. Le tre dimensioni sono legate e si rafforzano reciprocamente.
In termini domestici e macroeconomici, vengono spesso identificate questi fattori chiave nel lancio della OBOR: la Cina, grazie alle misure di stimolo all’economia approvate dopo il crack di Lehman Brothers (all’inizio della crisi), ha generato sovraccapacità nell’industria pesante, sopratuttto dell´acciaio e del cemento; di conseguenza, le banche hanno accumulato enorme liquidità, mentre a livello interno i consumi interni crescevano d’importanza fino a diventare determinanti nell’economia nazionale. Dunque, l’iniziativa sarebbe strumento funzionale a canalizzare sovraccapacità produttive verso i mercati esteri e l’eccesso di liquidità in un grande progetto infrastrutturale.
Se questa spiegazione aiuta a cogliere la logica contingente della OBOR non ne spiega, tuttavia, le origini strutturali. Esse sono da ricercarsi nell´impulso dato sin dall´inizio degli anni 2000 ad una graduale ma sostenuta trasformazione nel sistema produttivo del paese. Si è deciso di cambiare la geografia economica cinese per ridurre il gap di sviluppo regionale e per combattere i rischi di destabilizzazione nella regione orientale di confine dello Xijninang. Tale sforzo di trasformazione ha creato poli di crescita e produzione nelle regioni centrali e centro-occidentali, in città come Chengdu, Chongqing e più recentemente Urumqi e Kashgar, ed è stato accompagnato dallo sviluppo massiccio della rete stradale e ferroviaria necessaria a collegare questi centri con le coste e con il resto del Paese.
Allargando lo sguardo all’intero spazio euro-asiatico, il mutamento nella geografia economica del paese ha anche prodotto conseguenze geopolitiche e geoeconomiche profonde. Pechino è oggi è in grado di pianificare la creazione non solo di vie di trasporto continentali ma di una serie di corridoi multimodali terra-mare alternativi alle sole vie marittime, che finora restano sotto il controllo stringente della marina americana. L’Europa diventa così raggiungibile per nuove rotte che sostituiscono parzialmente o totalmente le vecchie. Inoltre, si allarga il ventaglio dei partner commerciali: Pechino si garantisce non solo una diversificazione delle forniture energetiche ma soprattutto l´accesso ai futuri mercati collocati lungo la cintura meridionale dell´Eurasia, dal Sud-Est asiatico e dall’India a Turchia, Iran e Medio Oriente, sino al Corno d´Africa e al Nordafrica
Infine, le trasformazioni innescate dalla OBOR all’interno dei confini cinesi e nel continente asiatico, e le nuove opportunità geopolitiche apertesi per Pechino hanno prodotto effetti sistemici: per la dimensione stessa dello spazio interessato e per il peso economico, demografico e geografico della Cina, l’iniziativa è di fatto il primo organico passo verso un ordine globale post-Occidentale. A questo passo, tuttavia, la stessa Cina sembra non ancora pronta.
In effetti, ciascuna delle tre dimensioni presenta rischi per Pechino, che aumentano proporzionalmente al crescere e al concretizzarsi del progetto OBOR.
A livello interno, un ulteriore rallentamento della crescita, una crisi del sistema bancario o un crollo dei prezzi dei terreni rappresentato tutti elementi che potrebbero seriamente mettere a rischio la stabilità e la nuova dottirna della “crescita normale” sulla quale si basa la legittimità della leadership cinese. Un simile scenario avrebbe ripercussioni dirette sulla OBOR.
In termini geopolitici, la Cina è dipendente dalle relazioni con una vasta rete di paesi e aree che hanno, in diversa forma e grado, ragioni di temere o di guardare con sospetto l’iniziativa cinese: tra questi c’è l’Europa, e naturalmente anche gli Stati Uniti – osservatori esterni interessati.
Inoltre, la riconnessione dell’Eurasia è un processo che precede e trascende i piani cinesi. Essa trova la sua origine nelle trasformazioni che negli ultimi quindici anni hanno visto moltiplicare i legami commeraciali all’interno dell’Asia ed emergere nuovi e autonomi centri di potenza economica. Gli attori principali dell´Eurasia – dalla Russia alle medie potenze turca e iraniana, dagli stati centro-asiatici, abili a bilanciare gli interessi concorrenti delle grandi potenze, all’India, sino all’insulare Giappone – si stanno riposizionando e attrezzando per affrontare la sfida lanciata da Pechino. Questi paesi non negano la validità del concetto di una riconnessione continentale, ma lo concepiscono attraverso proprie strategie, contromisure e nuovi assi, come quello tra Giappone e India o quello all’interno del Sud-Est asiatico (paesi ASEAN).
Dagli altri player continentali non solo dipende il successo dei programmi infrastrutturali, ma anche l’emergere di un distinto ordine euro-asiatico. Le istituzioni liberali occidentali sono chiaramente insufficienti a “coprire” la portata del cambiamento in corso, ma ad esso manca anche – per il momento – una cornice alternativa definita, politica e di regole condivise.
In questo quadro, l’iniziativa OBOR (e le istituzioni create quale suo corollario) colgono la natura diffusa, interconnessa, fluida, non istiuzionalizzata, al contempo competitiva e cooperativa, del nuovo sistema globale. Ne individua e ne coglie correttamente strumenti e palcoscenico d’azione: commercio, sviluppo economico e connettività anche fra aree sino ad ora ai margini del sistema economico globale. In tal modo, la OBOR posiziona la Cina al centro dei nuovi assetti, con i suoi interessi, la sua forza e le sue chiare priorità nazionali. Tuttavia, per questa stessa ragione, non è ancora in grado di offrire la prospettiva di un ordine – concetto ancora più complesso rispetto a un sistema – accettato e condiviso da tutti gli attori co-protagonisti dei processi in atto. E’ questa la sfida più grande per Pechino negli anni a venire.