Il senso ultimo del discorso di Joe Biden del 16 agosto sulla caduta di Kabul è abbastanza chiaro. Ce ne siamo andati perché quella era una missione di contro-terrorismo, non di “nation building”, e gli obiettivi che ci eravamo prefissi nella lotta al terrorismo erano stati tutti raggiunti. Restare non aveva più senso. In queste poche parole c’è la migliore spiegazione possibile del disastro afgano.
Ecco le parole di Biden: “Siamo andati in Afghanistan quasi vent’anni fa con obiettivi chiari: prendere quelli che ci avevano attaccato l’11 settembre 2001 e assicurarci che Al Qaeda non avrebbe usato l’Afghanistan come base dal quale attaccarci di nuovo. Ci siamo riusciti. Abbiamo smantellato Al-Qaida in Afghanistan. Non abbiamo mai mollato la caccia a Osama bin Laden e lo abbiamo abbattuto. Il che è avvenuto un decennio fa. La nostra missione in Afghanistan non è mai stata quella di costruire la nazione. Non abbiamo mai pensato di dover costruire una democrazia centralizzata e unificata. Il nostro interesse vitale in Afghanistan rimane lo stesso: prevenire un attacco terroristico sul suolo americano.”
L’errore fatale è tutto qua: aver fatto contro-terrorismo, quando invece gli Stati Uniti – e con essi la comunità internazionale – dovevano fare nation-building. Perché? Per tante ragioni. Non si può fare soltanto un’operazione di contro-terrorismo all’interno di un failed state come è l’Afghanistan, cioè una comunità politica che per la sua stessa natura pre-wesftaliana genera onde di instabilità a livello regionale e diventa un luogo di coltura del terrorismo internazionale. Senza nation building, in qualsiasi momento si fosse posto fine alla missione, l’Afghanistan sarebbe ritornato ad essere quello dei talebani.
Perché il regime change deve per forza di cose condurre al nation bulding, altrimenti i governi che si formeranno con il nuovo regime saranno per forza di cose deboli, fragili e percepiti dalla popolazione come governi fantoccio. Se le truppe dell’esercito regolare afgano non hanno combattuto, in questi giorni drammatici di agosto 2021, è perché non erano disposte a morire per un governo che non percepivano come legittimo; e la costruzione delle legittimità (si veda Guglielmo Ferrero) è un processo lungo e che richiede delle azioni molto precise.
E, infine, perché quello che ha sempre fatto l’America quando è intervenuta per lunghi periodi di tempo all’estero è stato proprio quello di costruire liberal-democrazie. La ricostruzione della Germania e del Giappone ha prodotto grandi successi proprio perché è stata un processo di nation building, fatto insieme alla costruzione di quell’ordine liberal-democratico internazionale che ancora – almeno in parte – regge il mondo e ne garantisce stabilità e prosperità.
Il punto è che la creazione di un mondo più democratico è, come si legge in moltissimi documenti ufficiali, uno degli obiettivi cardine della politica estera americana. Citando ad esempio dalla National Security Strategy del 2006, “The goal of our statecraft is to help create a world of democratic, well-governed states that can meet the needs of their citizens and conduct themselves responsibly in the international system. This is the best way to provide enduring security for the American people”. In quella del 1987 già si leggeva: “To defend and advance the cause of democracy, freedom, and human rights throughout the world. A foreign policy that ignored the fate of millions around the world who seek freedom would be a betrayal of our national heritage. Our own freedom, and that of our allies, could never be secure in a world where freedom was threatened everywhere else.”
Se il cuore della politica estera americana è la creazione di un mondo più democratico è perché si ritiene, in base alle teorie della “pace democratica”, che un mondo più democratico è un mondo più sicuro per gli Stati Uniti. Se questo è vero, allora ne consegue che il modo migliore per tutelare gli interessi nazionali americani è proprio fare quello che Biden ha chiarito di non voler fare, costruire nazioni stabili, costruendo e rinsaldando istituzioni liberali e democratiche.
Se così stanno le cose, allora non è eccessivo dire che aver rinunciato ai processi di nation building, e pertanto aver rinunciato alla esportazione della liberal-democrazia, ha significato per Washington il tradimento dell’essenza stessa della politica americana e il modo migliore per danneggiare i propri interessi nazionali.
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