Lo scorso 11 aprile il Consiglio direttivo della BCE ha stabilito di mantenere invariati i tre tassi di interesse di riferimento per la Banca centrale europea: 4,50% sulle operazioni di rifinanziamento principali, 4,75% sulle operazioni di rifinanziamento marginale e 4,00% sui depositi presso la Banca centrale. Un livello elevato.
L’incremento dei tassi di interesse deciso dalla BCE, a partire da luglio 2022, ha contribuito senza dubbio a fermare l’inflazione nell’UE. Secondo recenti dati di Eurostat il tasso di inflazione annuale nell’area euro si è infatti fermato al +2,4% a marzo 2024, rispetto al tasso di inflazione annuale del +6,9% registrato a marzo 2023. Negli ultimi due anni abbiamo osservato livelli preoccupanti di inflazione, culminati nella zona euro nel quasi +11% di aumento annuale dei prezzi registrato a ottobre 2022. Un incremento dell’inflazione che ha naturalmente fatto sentire i suoi effetti e allarmato i governi europei. Si consideri inoltre che questi dati, come sempre, sono una media e quindi su diversi beni e servizi gli aumenti subiti dai consumatori europei e dalle imprese sono stati ben superiori.
Ora, grazie alla politica della Banca centrale, la corsa dei prezzi sembra essersi fermata, ma i segnali di un rallentamento economico in tutta la zona euro, causato anche dal costo del denaro così alto, purtroppo ci sono.
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Il mercato immobiliare italiano, ad esempio, ha visto una riduzione delle compravendite a causa dei mutui sempre più cari. Basti pensare che nei primi sei mesi del 2023 si è registrata una diminuzione di quasi il 10% delle compravendite di abitazioni, rispetto allo stesso periodo del 2022, e a breve vedremo i dati completi della seconda parte dell’anno che probabilmente saranno in linea con questa discesa.
Anche nel settore dell’auto si vedono dei primi segnali di sofferenza. Da un lato i tassi elevati proposti dalle case automobilistiche, dall’altro i costi raggiunti dalle nuove auto, stanno portando le famiglie europee a rinviare l’acquisto di nuovi mezzi. A dicembre 2023 in Italia sono state immatricolate circa 111.000 vetture, rispetto alle 139.000 di giugno 2023 o alle 128.000 di gennaio 2023 (dati UNRAE).
Anche sugli investimenti nel settore immobiliare di diversi Paesi europei si sono registrate diminuzioni rilevanti negli ultimi mesi, come testimoniano diverse ricerche e studi pubblicati fra fine 2023 e inizio 2024.
Tutti questi dati segnalano come sull’economia italiana e su tutte le economie dell’eurozona pesino ormai scenari di nuove frenate e di forti limiti alla crescita, con la concreta possibilità di una recessione tecnica nel breve termine (le ultime stime prevedono per il 2024 una debole crescita economica di solo lo 0,8% per i Paesi che adottano l’euro, con concrete possibilità di vedere questo numero in diminuzione nei prossimi mesi secondo molti analisti). La presidente della BCE Christine Lagarde ha dichiarato il 19 aprile che l’inflazione nell’area euro sta convergendo verso l’obiettivo del 2% ma ha aggiunto che “al tempo stesso il Consiglio non si impegna in maniera predeterminata in un particolare percorso dei tassi”, non dando per scontata così la decisione di intervenire sulla diminuzione dei tassi (e con quale intensità). Tuttavia, escluso il taglio ad aprile 2024, come stabilito dal Consiglio direttivo della BCE, ora le attenzioni di tutti gli operatori economici sono rivolte alle decisioni che la banca centrale dovrà prendere a giugno 2024.
Il tema è agire proprio ora sul taglio dei tassi, prima che sia troppo tardi. La politica monetaria dovrebbe infatti operare in anticipo, non subire i dati e gli eventi, ma basare le proprie scelte su stime accurate e sulle aspettative degli operatori economici, assumendo per tempo le decisioni giuste per raggiungere gli obiettivi di stabilità dei prezzi senza colpire eccessivamente l’economia reale; oggi le persone e le imprese nell’UE si stanno rendendo conto che questo livello di tassi pone interrogativi troppo rilevanti sul loro futuro, rinviando così investimenti e acquisti. Per chiarire il problema: le stime sull’inflazione (pubbliche e riservate) sono disponibili, grazie anche alle strutture e ai professionisti della BCE, ma i fattori di rischio (a partire da quelli geopolitici come il potenziale conflitto su larga scala in Medio Oriente) sono probabilmente così numerosi da rendere le proiezioni più incerte del passato.
Siamo dunque di fronte ad uno scenario in cui per assumere decisioni servono scelte coraggiose e capacità di “aggiustare” tali decisioni in corsa; i dati disponibili e i modelli matematici utilizzati non possono catturare bene uno scenario così incerto e vanno supportati da una forte dose di discrezionalità politica.
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In ogni caso, già un semplice annuncio di una diminuzione dei tassi in una data certa, anche se fosse una discesa assai contenuta, potrebbe produrre effetti positivi sul sistema economico con impatti sulle aspettative delle famiglie (senza provocare una nuova inflazione). Un rallentamento della stretta monetaria della BCE consentirebbe infatti alle banche di ridurre i tassi sui prestiti, premiando in questo modo chi investe.
Non possiamo non osservare, inoltre, come anche una modesta diminuzione dei tassi di interesse sarebbe di grande aiuto per i conti pubblici italiani, consentendo al nostro Paese (e ad altri) di emettere i titoli di stato dei prossimi mesi a tassi ben più contenuti, liberando così risorse preziose già nel 2024 per gli interventi a sostegno delle famiglie in difficoltà.
In un’Europa e in un mondo con livelli di debito pubblico e privato sempre più alti (con un debito globale oltre i 300.000 miliardi di dollari) tassi di interesse come quelli attuali risultano insostenibili già nel breve termine, portando inevitabilmente al fallimento di alcune imprese. Non a caso nel nostro Paese anche il nuovo Governatore della Banca d’Italia nelle scorse settimane ha avuto modo di ricordare che bisogna “evitare danni inutili all’economia” fermando appena possibile questa linea monetaria restrittiva, osservando i segnali sulla discesa dell’inflazione.
La prudenza della BCE può essere naturalmente spiegata da varie ragioni, ad esempio la volontà di attendere o seguire le decisioni della Fed, come pure guadagnare più tempo per veder confermata la discesa dell’inflazione nell’area euro e capire l’evoluzione dello scenario geopolitico. Un eventuale conflitto regionale in Medio Oriente più esteso di quelli in corso potrebbe ad esempio portare un incremento dei prezzi delle materie prime, a partire dal petrolio, non “registrato” nel tasso di inflazione attuale. Inoltre, non tutti i Governatori delle diverse Banche centrali nazionali hanno le stesse opinioni.
Tuttavia, i segnali di rallentamento delle economie europee e di quella italiana che abbiamo sopra richiamato dovrebbero portare ad agire subito con coraggio procedendo con un primo taglio dei tassi (ad esempio dello 0,25%), prima che sia tardi e arrivi una vera recessione economica.
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