Italia: la vera sfida della sovranità

 Si possono avere opinioni diverse sulla gestione della crisi politica più lunga e pasticciata della Repubblica italiana, ma il merito indubbio­ è di avere forzato gli attori principali di questo psicodramma nazionale a dissolvere in anticipo le ambiguità sull’euro. Il Movimento 5 Stelle aveva già rinunciato, durante la campagna elettorale, all’idea di proporre un referendum sulla moneta unica. La Lega lo aveva fatto in modo implicito; la crisi delle ultime settimane l’ha obbligata a diventare esplicita, e prudente, su una questione “esistenziale” per il futuro dell’Italia.

Un atteggiamento equilibrato sulla partecipazione dell’Italia all’euro – avendo chiari i costi e i rischi di una uscita unilaterale – corrisponde del resto alle inclinazioni dell’opinione pubblica. Secondo gli ultimi dati di Eurobarometro, il 59% degli italiani si dichiara a favore dell’euro. Le posizioni contrarie alla moneta unica sono attorno al 30%. E’ la percentuale più alta fra i paesi dell’euro-zona; ma la coalizione populista/sovranista non può certo aspirare, nel momento in cui diventa coalizione di governo, a rappresentare una minoranza.

Sempre guardando ai sondaggi di una fonte generalmente affidabile come Eurobarometro, l’opinione favorevole all’Unione economica e monetaria è in graduale crescita in Italia dal 2016 ad oggi. Ciò significa che l’aumento di consensi per il M5S o la Lega, negli ultimi tre anni, non dipende dall’atteggiamento critico verso l’euro. E neanche, a giudicare dai dati, da un atteggiamento più generalmente euro-scettico: solo il 20% circa degli italiani – contro il 45% dei greci, ad esempio – ha una “immagine negativa” dell’Unione Europea.

La collocazione dell’Italia, per una maggioranza consistente dell’opinione italiana, è quindi nell’euro e nell’UE. Ma non per difendere lo status quo. I dati di Eurobarometro indicano ancora che l’Italia è il paese più insoddisfatto, dopo la Grecia, del modo in cui l’UE sta gestendo le questioni economiche (il 60% circa) e soprattutto le questioni migratorie (l’80%). Non sono certo conclusioni sorprendenti, vista la sostanziale solitudine con cui Roma ha dovuto gestire, negli ultimi anni, la crisi migratoria.

Come si legge in un recente saggio del politologo Ivan Krastev (“After Europe”), questo tema – più dell’euro – ha radicalmente cambiato le dinamiche politiche in Europa, alimentando pulsioni populiste e nazionaliste. E’ un trend che ha interessato prima la periferia orientale dell’Europa, il mondo di Visegrad; ha poi investito la Gran Bretagna, dove il problema migratorio (vero o percepito) ha contribuito largamente alla vittoria di Brexit e sta adesso toccando l’Italia. Un’agenda europea della nuova coalizione di governo non potrà che partire di qui, dalla capacità o meno di influenzare le decisioni europee in due settori cruciali per l’Italia – e per la coesione dell’UE. E il tempo a disposizione è molto poco: la discussione in corso sia sulle riforme economiche (l’Unione Bancaria e le prospettive di Bilancio) che sul futuro del regolamento di Dublino in materia di asilo, si chiuderà rapidamente.

Così come il nuovo assetto politico italiano sta cercando un aggiustamento, il resto d’Europa deve trarre la lezione giusta dall’ascesa al governo in Italia – paese fondatore e tradizionalmente europeista – di partiti euro-scettici. Per ora non è così, a giudicare da reazioni scomposte a Bruxelles. Se prevarrà un atteggiamento di chiusura preventivo, le cose non potranno che peggiorare; e il caso Italia, per le dimensioni e la collocazione del paese, avrà un impatto dirompente sull’insieme dell’Unione Europea.

L’Italia ha naturalmente una responsabilità primaria nella costruzione del proprio futuro: una politica di deficit spending, per l’economia europea a più alto debito pubblico, sarà massicciamente colpita dai mercati. Ma è ora che le istituzioni di Bruxelles e la Germania prendano atto della realtà: l’UE rischia di sfaldarsi progressivamente dall’interno se continueranno a prevalere gli squilibri economici e politici attuali  – inclusi gli squilibri prodotti dal surplus tedesco. Da questo punto di vista il caso Italia, più decisamente di Brexit, potrebbe segnare l’alternativa fra una riforma indispensabile dell’Europa di oggi e la sua graduale disgregazione.

Una previsione possibile è che lo shock politico italiano rafforzi la resistenza già evidente del governo tedesco, debole e vulnerabile sul piano interno, a contemplare le riforme economiche promosse in Europa da Emmanuel Macron; o a prevedere passi in avanti in materia di immigrazione. In sostanza: di fronte a un aumento del rischio sistemico, la Germania tenderebbe ad irrigidirsi. Prevarrebbe così lo status quo, l’opposto di quanto sarebbe necessario. Tuttavia, se il nuovo governo italiano cercherà invece di combinare responsabilità nazionale e riforme europee, le cose potrebbero andare diversamente. Il rischio Italia potrebbe invece spingere la Germania a fare la sua parte per preservare l’eurozona.

Il dibattito vero sul rapporto Italia/Europa riguarda le modalità con cui un paese come il nostro – la terza economia europea, con le sue potenzialità e fragilità – può riuscire ad esercitare la propria influenza sulle decisioni collettive. Minacciare l’uso di un’arma nucleare (Italexit) danneggerebbe l’Italia, prima dell’Europa: la lunga gestione della crisi politica è servita a chiarire questo punto. Al tempo stesso, un’Italia che voglia allentare in modo unilaterale i vincoli europei rafforzerà l’opposizione tedesca, già molto forte, a qualunque ipotesi di condivisione del rischio nella zona euro.

La realtà è che responsabilità nazionale e solidarietà europea dovranno combinarsi: come, con quale strategia negoziale, è la decisione che deve assumere rapidamente la nuova coalizione di governo. Contrapporre sovranismo ed europeismo falsa il problema: è dentro all’UE, non fuori, che l’Italia deve riuscire a difendere i propri interessi nazionali. 

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