Israeliani, palestinesi e la convivenza (im)possibile

Questa volta, il difficile viene dopo. A guerra finita. Israele continuerà a bombardare Gaza fino a quando non avrà lo scalpo di Yahya Sinwar, il leader di Hamas, o magari quello di Mohammed Deif, il leader delle Brigate al-Qassam, la sua ala militare, o un qualsiasi altro trofeo, una qualsiasi altra immagine che somigli a un successo. Ma è chiaro a tutti: non avendo più i numeri per una maggioranza di governo, Benjamin Netanyahu cercava una vittoria facile, per minare l’intesa tra l’opposizione e la minoranza araba, e restare al posto che occupa dal 2009, quello di primo ministro; ed evitare così di finire a processo per frode e corruzione. E invece ha perso. E ha perso male.

Perché ha perso molto più che una guerra. In crisi, ora, è l’idea stessa che larga parte di Israele ha di sé. Fino a ieri, Israele non era mai stato così forte. Primo paese al mondo a venire fuori dal Covid-19, aveva infine frantumato l’unità araba. Non solo con la normalizzazione con gli Emirati: i cosiddetti Accordi di Abramo, firmati a settembre. Ma anche con l’apertura degli islamisti di Raam, guidati da Mansour Abbas, pronti a entrare al governo: per la prima volta dal 1948. Mentre i palestinesi, intanto, erano spariti. Eclissati dalla Primavera Araba.

Poi, però, il 10 maggio, a Gerusalemme, durante i soliti scontri di ogni Ramadan, l’esercito ha tirato delle granate dentro la moschea di al-Aqsa: e Hamas ha ribaltato tutto. In un giorno, Israele si è ritrovato impegnato su tre fronti: Gaza, la Cisgiordania o West Bank, e gli arabi israeliani. Più un quarto fronte: quello dei paesi confinanti. E un quinto, che poteva parere meno rilevante: il fronte internazionale.

La moschea di Al-Aqsa pattugliata dall’esercito israeliano

 

E Gaza è il problema minore. Il problema vero è il fronte interno. Che non ha razzi, né miliziani: ma ha il 21% della popolazione. Ed è un fronte inedito. I linciaggi reciproci tra arabi e ebrei sono la prova che la strategia di integrare i palestinesi un po’ alla volta, di assimilarli, e non solo i palestinesi di Israele, ma tutti i palestinesi, costruendo insediamenti ovunque, e per il resto, inglobando le città della West Bank, e lasciando Gaza al suo destino, come stato indipendente, uno stato minimo, simbolico, giusto lo spazio per piantarci una bandiera, non funziona. E si trascina a fondo anche Israele.

All’improvviso, Israele ha scoperto quello che in realtà, sa da sempre: e cioè che non ha una vera superiorità militare. E non solo contro i palestinesi in generale, come gli Stati Uniti in Vietnam. Ma neppure contro Hamas. C’è sicuramente una sproporzione militare, che si traduce in una sproporzione di morti e danni. Ma la superiorità militare è una cosa diversa. Avere armi nucleari è inutile: perché è inutile avere armi che non è possibile usare. Tecnicamente, Israele potrebbe eliminare i tunnel di Hamas. Ma potrebbe riuscirci, con le sue armi, eliminando allo stesso tempo anche tutta Gaza. Tutta insieme. Insieme a due milioni di palestinesi.

Questa è la quarta guerra con Hamas. Nel 2008, Israele ha colpito i tunnel e i leader. Sono stati sostituiti. Nel 2012, ha raso al suolo le aree più popolate. Sono state ricostruite. Nel 2014, ha abbattuto grattacieli e industrie perché la classe media si rivoltasse contro Hamas. Non si è rivoltata. Ora, semplicemente, sta bombardando a caso.

Ma perché si è riacceso tutto?, si chiedono in tanti. Ma come dice Marwan Bishara, analista di punta di al-Jazeera, e arabo-israeliano, tra l’altro: Perché no? Secondo l’ONU, nel 2020 Gaza sarebbe stata “inadatta alla vita”. Siamo nel 2021. Dopo oltre mezzo secolo di occupazione, basta una scintilla qualsiasi. La prima Intifada è iniziata con un tamponamento d’auto. La Primavera Araba, con una multa a un venditore di frutta e verdura. Un attentato all’arciduca di Sarajevo: e diventa la prima guerra mondiale. Nella storia è sempre: Perché no?

E però, per i palestinesi questa è la peggiore delle vittorie. Hamas ha cercato la guerra con Israele solo perché altrimenti, sarebbe stata guerra con Fatah, l’altra organizzazione che si contende la leadership dei palestinesi. Più che il 10 maggio, è cominciato tutto il 30 aprile, quando il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (di Fatah) ha deciso per l’ennesima volta di rinviare le elezioni. Le ultime sono state nel 2006. Quindici anni fa. E finita la guerra, sarà tutto come prima. All’inizio di quest’ultima crisi, i palestinesi hanno criticato Hamas, che ha sottratto il palcoscenico a Gerusalemme, e agli abitanti di Sheikh Jarrah sfrattati dai coloni – che non hanno razzi, e non offrono a Israele l’appiglio dell’autodifesa. Poi, quando ai razzi si sono aggiunti gli scontri in Israele, e agli scontri in Israele, gli scontri nella West Bank, nessuno ha più detto niente.

Ma non sarà affatto semplice avere una nuova Intifada. Perché l’Intifada aveva una leadership popolare: mentre questa travolgerebbe anche Fatah e Hamas. E già adesso, come sempre, è in corso la repressione di chiunque osi contestarle. Ed è anche per questo che i palestinesi sono attivi su Facebook, su Twitter, YouTube. TikTok. Si celebra la nuova Arab Street 2.0. Ma il mondo non si cambia online. E con la Primavera Araba, è stato chiaro a tutti. Offline, ti aspettano i proiettili.

Hamas è la solita Hamas. Usa i palestinesi. Denuncia Israele che vieta l’ingresso agli aiuti umanitari: poi ha centrato con l’artiglieria il primo convoglio in arrivo. Né è diverso il sostegno internazionale. Era da tanto che gli arabi non tornavano in piazza per i palestinesi. Ma da Erdogan in Turchia a Nasrallah in Libano, in Medio Oriente molti uomini di potere sono in crisi. E parlano dei palestinesi perché non si parli di loro. Usano i palestinesi. Come Hamas. Come Fatah.

Eppure, due anni fa, in un’intervista per Repubblica, Yahya Sinwar mi ha detto: Non vogliamo più guerre. E ha proposto a Israele una tregua. Cosa è cambiato da allora? La risposta è facile. Niente. Non è cambiato niente. E per questo siamo alla quarta guerra: perché in questi due anni, Gaza è rimasta alla fame. Senza più neppure acqua potabile. Solo acqua di mare. Acqua salata. Non si è avuto mezzo passo avanti da Israele. Né dall’Europa. Né da nessuno dei tanti mediatori. Che ora stanno tutti sugli spalti a tifare per gli uni o per gli altri.

E però anche un’altra cosa non è cambiata. Poi gli ho chiesto: Ma se si avrà un’altra guerra, invece di una tregua, come andrà? E Yahya Sinwar ha detto: Andrà che ci difenderemo, è ovvio. Come sempre. “Ma poi, dopo un anno, sarai di nuovo qui. E io sarò di nuovo qui a dirti: Con la guerra non si ottiene niente”. Nessuno può vincere. Israeliani e palestinesi possono decidersi a condividere la terra in cui vivono. O la condivideranno comunque: nelle tombe.

 

 

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