Il lento risveglio di una società civile, un leader sempre più autocratico, in difficoltà dentro e fuori i circoli del potere. Una congiuntura economica difficile da affrontare e un oppositore diventato ufficialmente un pericolo. Eppure, per parlare della fine di Vladimir Putin, sembra ancora troppo presto.
I prossimi mesi saranno determinanti per capire quale sarà il corso storico e politico in Russia. Per il momento, si può dire che il 2021 si è aperto con un inedito, ma in parte prevedibile, ritorno della società civile come protagonista attiva della vita del Paese. Sebbene non ancora in percentuali in grado di inficiare il potere dello ‘Zar’, vista la repressione messa in campo contro le manifestazioni delle ultime settimane, in qualche modo questo risveglio lo impensierisce e non poco.
2020, l’annus horribilis di Putin
Sono molti i fattori che hanno portato decine di migliaia di persone in piazza in tutta la Russia in un anno che ha messo a dura prova Vladimir Putin sotto più aspetti, proprio quando il presidente era pronto a festeggiare solennemente i vent’anni al potere.
I redditi reali hanno perso il 3,5% del valore nel solo 2020. La disoccupazione, sempre nel 2020, è stata del 5,9%, il valore più alto registrato negli ultimi dieci anni. Male anche l’inflazione, che ha chiuso lo scorso anno al 4,9%, quasi un punto percentuale sopra le stime della Banca Centrale, che aveva fissato il 4% come target. A tutto questo, va aggiunto il dato più deleterio di tutti per l’economia russa: i prezzi del petrolio sempre bassi come non si vedevano dal 1999 e che hanno determinato nel corso dell’anno passato un calo delle esportazioni del 10% rispetto al 2019, con un crollo però degli introiti di oltre il 40% proprio a causa dei prezzi bassi. Una perdita che alcuni esperti hanno quantificato in non meno di 35 miliardi di dollari.
Come se non bastasse, la Russia, parimenti a tutto il resto del mondo, è ha sofferto la pandemia. A differenza di altri Paesi però, Mosca ha deciso di ricorrere a lockdown stringenti solo per il minor tempo possibile, e in questi giorni può festeggiare la valutazione positiva sul suo vaccino Sputnik V, prodotto nel prestigioso istituto Gamaleja di Mosca, che nello scorso agosto è stato il primo a fare la sua comparsa sulla scena internazionale, suscitando polemiche e preoccupazioni dentro e fuori il Paese.
Il successo dell’operazione e il fatto che lo Sputnik potrebbe essere distribuito anche in Europa, sono un’arma potente nelle mani del presidente Putin sia dal punto di vista propagandistico, sia da quello dell’influenza geopolitica che un successo del genere può generare. Non basta, però, a cancellare i dubbi e le polemiche su come sia stata gestita la pandemia in Russia. Il numero dei contagiati sfiora i 4 milioni, ma le vittime ufficiali sono appena 77mila, dato che non convince né la comunità internazionale né i tanti medici che hanno denunciato scarsa trasparenza da parte del governo e delle strutture ospedaliere. Una stima realistica prevede che i decessi potrebbero essere almeno quattro volte superiori. Dubbi a parte, rimane sotto gli occhi di tutti il collasso della sanità nazionale.
Una minaccia chiamata Navalny
In una situazione così delicata, il ‘caso Navalny’ ha impattato con ancora maggiore forza. Incensato dall’Occidente, ma con un programma ancora poco chiaro, e in passato adombrato da alcuni sospetti piuttosto pesanti, come le accuse di xenofobia e razzismo, l’ex blogger dissidente ormai nel Paese viene considerato un politico a tutti gli effetti: lo scorso settembre, il suo partito Rossiya Budushego, Russia del Futuro, è riuscito a fare eleggere un proprio candidato nei consigli comunali di Tomsk e Novosibirsk, la terza città della Russia.
Un successo che però ha rappresentato una linea di confine. Per quanto, al momento dei risultati, Navalny stesse lottando in un ospedale di Berlino fra la vita e la morte, agli occhi di Putin e dei circoli del potere legati al presidente, è diventato un problema serio di cui occuparsi e, anche a livello di narrazione, non doveva più essere trattato come un semplice dissidente, ma come un traditore della nazione, manovrato dall’Occidente. Un’operazione che poteva riuscire quando Putin era all’apice del suo potere, ma non nella congiuntura odierna.
‘I russi percepiscono sempre di più le differenze sociali – spiega ad Aspenia online Anton Barbashin, fondatore del sito Riddle Russia, specializzato in analisi sul Paese. A fronte di un popolo che in genere ha visto peggiorare il suo tenore di vita nell’ultimo anno, c’è una élite che continua a prosperare e le cui condizioni non sono mutate’. Anche per questo motivo, il video sul palazzo segreto di Putin sul Mar Nero, diffuso prima dell’inizio delle proteste e visto da oltre 100 milioni di persone sul web, ha dato tanto fastidio nei corridoi del Cremlino. Nell’inchiesta, oltre a una descrizione minuziosa della maxi proprietà di cui Putin sarebbe proprietario e che ha una estensione pari a 39 volte il principato di Monaco, si parla anche del cerchio magico dello Zar del Cremlino, composto da uomini d’affari che lo accompagnano ormai da alcuni anni e che hanno ottenuto diversi privilegi in termini di giri di affari e appalti. Navalny denuncia la corruzione del sistema da oltre dieci anni, ma per la prima volta un suo contributo aveva avuto una audience tanto vasta.
‘È chiaro che qualcosa nel sistema inizia a scricchiolare – continua Barbashin – ma la vera sfida ora per il team di Navalny è capire come andare avanti senza di lui. Le proteste hanno visto una partecipazione senza precedenti su tutto il territorio nazionale, dal punto di vista simbolico si è trattato di un momento molto importante, ma è difficile mantenere questo livello su un futuro a medio termine, soprattutto dopo che la vicenda Navalny’.
Una fine ancora lontana
Gli occhi di tutti sono rivolti alle elezioni parlamentari che si terranno con ogni probabilità il prossimo settembre. Russia Unita, la formazione del presidente, rischia di arrivare all’appuntamento con un consenso intorno al 30%, mentre nel 2016 aveva trionfato con il 54,2% dei consensi. Sono passati appena cinque anni, ma il partito del potere sembra avere perso molto appeal nei confronti dell’elettorato. Anche per questo motivo, nel gennaio 2020, Vladimir Putin ha operato un ampio rimpasto dell’esecutivo, con il quale ha cercato di rifrescarne l’immagine e nello stesso tempo di relegare in secondo piano figure che, seppure non pericolose, rischiavano con il tempo di diventare troppo indipendenti. Ha confermato così, in qualche modo, le voci di un malcontento crescente nei corridoi del governo e il fatto che la sua figura non fosse più vista come invincibile. Al loro posto, sono entrati fedelissimi del presidente, spesso da percorsi paralleli alla politica e quindi sulla carta meno pericolosi.
‘Personalmente non ho mai creduto alla congiura di palazzo – spiega ad Aspenia online Andrei Kolesnikov, Senior Fellow al Carnegie Moscow Center e a capo del programma di politica e istituzioni russe. Chi potrebbe essere così coraggioso da riunire l’élite russa? E per che cosa? Si è compiuta una “sovranizzazione” dell’élite: o stai con Putin o non sei nessuno. Praticamente li ha presi in ostaggio. Sono emarginati in Occidente e devono stare con Putin fino alla fine’.
Se quindi è ancora troppo presto per scrivere la parola fine allo strapotere del presidente russo, dall’altra parte i segnali di uno scontento crescente nei confronti delle sue politiche si moltiplicano. Secondo un sondaggio condotto dal Levada Center, uno dei pochi istituti ancora indipendenti, il 34% dei russi non approva le scelte del presidente. L’approvazione nei confronti delle denunce di Navalny, in compenso, è passata dal 6% del maggio 2013 al 19% del gennaio 2021. La strada verso le urne, però, è ancora lunga e un calo dei consensi di Russia Unita potrebbe non corrispondere necessariamente a un rafforzamento dell’opposizione. Il partito di Navalny, con il suo leader in una colonia penale per due anni e mezzo, è destinato a perdere molto del suo appeal. La conseguenza potrebbe essere una diminuzione dei consensi per Putin, ma non la nascita di una opposizione reale.
‘Potranno esserci nuove proteste, una maggiore partecipazione al voto – chiosa Kolesnikov. Ma la repressione limiterà le loro attività. In aggiunta, Navalny ha bisogno di nuovi progetti. Alla fine, il risultato delle elezioni di settembre potrebbe essere più candidati del Partito Comunista che entrano in Parlamento. E non è certo un gran successo’.