Il sistema francese sotto accusa per la gestione pandemica

C’è stato un momento, durante la pandemia, in cui i capi di stato e i governi dei Paesi più colpiti hanno visto i cittadini stringersi intorno alla loro leadership. Nel dramma, nell’inedito, il riflesso più immediato dei governati è aderire alle decisioni dei governanti, visti indipendentemente dalle loro caratteristiche personali e coloriture politiche come gli unici che possano guidare la nazione fuori dalle difficoltà. Ma si è trattato davvero di un momento, in molti casi: se guardiamo oggi i tassi di popolarità di Donald Trump o Boris Johnson vediamo piuttosto sfiducia che consenso. Lo stesso è accaduto a Emmanuel Macron: in Francia la fase peggiore dell’epidemia si è chiusa con l’apertura di un fronte politico-legale che potrebbe danneggiare il Presidente e il governo.

Emmanuel Macron

 

L’8 giugno, la Procura della Repubblica di Parigi ha aperto un’inchiesta di grandi proporzioni sulla gestione del coronavirus, in seguito a una pioggia di denunce (62) ricevute dal 24 marzo in poi contro una serie di decisori pubblici, quadri dell’amministrazione e strutture ministeriali, con l’obbiettivo di verificare eventuali responsabilità penali. Tra le più delicate, ci sono le denunce arrivate da familiari di persone decedute nelle case di riposo, che accusano le strutture pubbliche sostanzialmente di non essersi occupate della sicurezza e della salute degli ospiti delle residenze – in almeno un caso ipotizzando il reato di omicidio colposo.

Non è detto, tra l’altro, che quelle delle procure (sulle case di riposo si sono mossi anche gli uffici di Nanterre e Grasse) saranno le uniche indagini a partire, visto che le associazioni di medici, infermieri e lavoratori di ospedali e case di cura premono per l’istruzione di inchieste più “indipendenti” (la Procura è considerata organo troppo contiguo al potere politico), date le condizioni di estrema gravità sia del contesto che delle accuse. Ma non basta: se le procure ritenessero possibili responsabilità penali da parte di ministri, l’inchiesta dovrebbe essere allora trasferita all’equivalente del nostro Tribunale dei Ministri, la Corte di Giustizia della Repubblica, solo organo abilitato a giudicare la condotta dei membri dell’esecutivo nello svolgimento delle loro funzioni.

Proprio la Corte di Giustizia della Repubblica, da parte sua, ha già fatto sapere di avere ricevuto 84 denunce. Il “bersaglio” è soprattutto il capo del governo Édouard Philippe, ma anche i ministri della Sanità, degli Interni, del Lavoro e della Giustizia, non solo di questo governo, ma anche dei precedenti, perché anche sotto la presidenza Hollande furono prese decisioni significative, del cui impatto parleremo più in basso. Una delle denunce più emblematiche è stata portata da un gruppo di cinquanta medici, e accusa il capo del governo, gli ultimi due ministri della Sanità, e anche il direttore generale della Sanità Jérôme Salomon, con poteri speciali di gestione della pandemia, di “abuso di potere, astensione volontaria dall’obbligo di combattere un pericolo e messa in pericolo della vita degli altri”. “Lo stato ha fallito: non ci ha dato le protezioni necessarie negli ospedali, non ha fatto il necessario numero di test, non è stato capace di organizzare le terapie intensive”, accusano.

Il primo ministro Édouard Philippe e la ministra della Sanità (fino al febbraio 2020) Agnès Buzyn

 

In effetti, per numero di Covid test pro-capite effettuati, la Francia è all’86° posto al mondo, subito dietro Georgia, Malesia e El Salvador. In proporzione i test francesi sono un terzo di quelli fatti in Germania, un quarto rispetto all’Italia, un quinto rispetto alla Spagna. Ma non c’è solo questa prova di mancata risposta da parte di uno dei sistemi sanitari meglio valutati e meglio finanziati al mondo: l’epidemia ha colto la Francia in una situazione di impreparazione anche rispetto alle mascherine. Il giorno in cui il lockdown è stato dichiarato, lo stato aveva in stock solo 120 milioni di mascherine chirurgiche, e zero mascherine FFP2.

Quest’ultimo clamoroso difetto ha un’origine paradossale. Claude Le Pen, il miglior specialista francese di economia sanitaria, appena scomparso, lo aveva ricostruito in una serie di testimonianze pubbliche. Dopo l’influenza aviaria del 2006, in Francia era stata approvata una legge di prevenzione delle pandemie che prevedeva da un lato la creazione di un “corpo sanitario di riserva”, un numero di medici e infermieri da impiegare in condizioni eccezionali per rafforzare le strutture esistenti. Dall’altro, una nuova struttura ministeriale che si occupasse di organizzare produzione, stoccaggio e distribuzione delle attrezzature mediche necessarie, compresi test, mascherine chirurgiche e FFP2, respiratori, eccetera, con un budget di un miliardo di euro in quattro anni.

Due anni dopo, un’altra pandemia, l’influenza suina, invade i titoli dei giornali – con effetti però molto ridotti sulla salute delle persone. La Francia usa il suo nuovo strumento: vengono organizzati controlli sanitari alle frontiere, si riempiono gli ospedali di nuove attrezzature, si comprano fino a due milioni di mascherine. Almeno nella percezione pubblica però la suina si esaurisce in una bolla di sapone: non avremo esagerato con la prevenzione, si chiedono i francesi? La ministra della Sanità di allora, Roselyne Bachelot, che presenta un conto di 450 milioni di euro, viene accusata di aver sperperato denaro pubblico. Ecco a che serve la paura della pandemia, a finanziare laboratori e produttori privati, dicono in molti: la presidenza Sarkozy, caratterizzata da innumerevoli commistioni tra governo e interessi privati, è agli sgoccioli, e gli attacchi politici non mancano. La ministra, in realtà, aveva ragione. Ma troppo presto.

Di conseguenza, la struttura ministeriale viene definanziata fino a 26 milioni di euro l’anno, e posta sotto la tutela del governo, che deve autorizzarne ogni decisione. Gli stock non vengono rinnovati e le attrezzature non vengono ricomprate dopo la data di scadenza. La capacità di spesa e le prescrizioni di intervento vengono spacchettate tra stato (sicurezza nazionale), ministeri (sicurezza tattica) e ospedali (sicurezza locale), perdendo capacità di azione coordinata e tempestiva. Infine, nel 2016, la struttura viene  incorporata in altri dipartimenti, che non hanno all’ordine del giorno la prevenzione di minacce virali.

Nell’attesa di sapere se la storia si ripeterà – in questi ultimi tre mesi, la Francia è riuscita a riportare le sue attrezzature sanitarie ai livelli post-aviaria; saranno di nuovo lasciate esaurirsi una volta che l’emergenza Covid sarà passata? – il 3 giugno il parlamento ha istituito una Commissione d’Inchiesta. Dunque, oltre alle inchieste giudiziarie, però nel solco di una legislazione che protegge le decisioni dei responsabili pubblici a meno che non si tratti di “errori di grave intensità”, per sei mesi politici e funzionari di più alto livello saranno ascoltati dal parlamento.

Finalmente la politica rende conto ai cittadini, esulta l’opposizione, soprattutto la destra dei “Repubblicani”, ultima evoluzione del partito che fu di Chirac e Sarkozy, che ha molti membri nella commissione. Non accettiamo processi politici, ribattono i macroniani. Non bisogna dimenticare, per comprendere del tutto il contesto della situazione francese, che il paese esce da due anni di feroci, lunghe, diffuse proteste anti-governative, prima quelle dei Gilet gialli, e poi quelle contro la riforma delle pensioni.

Emmanuel Macron aveva insistito per tenere il primo turno delle amministrative (tutti i comuni di Francia) il 15 marzo, prima di dichiarare il lockdown, nonostante le accuse e i timori di sottovalutare l’emergenza, che avevano portato molti francesi a rifiutarsi di votare: l’affluenza era scesa del 19%. Il ballottaggio, il 28 giugno, sarà un primo segnale rivelatore degli orientamenti dell’opinione pubblica.

 

 

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