Due milioni e novecentomila abitanti, 1784 assemblee (o precints, recinti) e l’attenzione del Paese per diverse settimane. Il 3 gennaio nel freddo Iowa sono cominciate le primarie presidenziali, quattro anni dopo lo scontro epocale che contrappose gli allora senatori Obama e Clinton. Stavolta è solo il partito repubblicano a dover scegliere il proprio candidato: il presidente uscente in genere non ha sfidanti – anche se Jimmy Carter ne ebbe. Tutto è cominciato con la vittoria di Mitt Romney nei caucus dell’Iowa, questa specie di assemblee degli iscritti di partito, dove la scelta avviene dopo che in ogni precint si sono ascoltate le ragioni di ciascun candidato (rappresentato da qualcuno in ogni assemblea). Gli elettori hanno scritto il nome del loro favorito su una scheda vuota, e dopo la conta dei voti il miliardario mormone era primo seguito per un soffio dall’ex senatore Santorum.
Solo tra qualche mese i delegati si riuniranno in convention e nomineranno le persone che li rappresenteranno alla convention nazionale. Una curiosità come un’altra delle molte che caratterizzano un processo di nomina del candidato che ha le sue regole in ogni Stato. Dopo il 3 gennaio è un crescendo fino al Supermartedì, il prossimo sei marzo, quando voteranno dieci Stati. Prima e dopo altri caucus, primarie chiuse e primarie aperte, o semi chiuse in ogni Stato – la differenza sta nella possibilità di votare per i soli elettori registrati con un partito, per chiunque registrato al voto, per i registrati con un partito più gli indipendenti. Nel caso delle primarie aperte è persino possibile che gli elettori di un partito scelgano di andare a votare per un candidato debole del partito avversario: nel 2008, ad esempio, il radio host conservatore Rush Limbaugh lanciò “Operazione chaos”, chiedendo ai suoi ascoltatori di votare Hillary Clinton in maniera da rendere più dura la frattura interna al partito democratico. Ma tranne questo caso clamoroso, o quello della scelta di governatori, dove pesa molto la personalità locale e meno l’appartenenza, fenomeni di questo tipo sono rari.
Oltre al candidato presidente si sceglieranno i candidati senatori, rappresentanti e governatori e alcune corse saranno importanti anche in questo caso: nel 2010 il Tea Party fece cadere alcune figure chiave dell’apparato repubblicano e in diversi Stati i candidati conservatori tentano di nuovo di togliere il seggio del loro partito a quelli che considerano dei RINO (Republican in name only). La senatrice Snowe del Maine, ad esempio, che ha consentito di aggirare il filibustering, l’ostruzionismo, sulla riforma sanitaria è insidiata da un candidato sponsorizzato dal Tea Party.
Come nel 2008, la stagione delle primarie è cominciata molto presto rispetto alla tradizione, che voleva un percorso più diluito nel tempo, con pochi Stati che si recavano al voto in anticipo. La ragione per questo avvio così anticipato è la stessa che produsse un intenso dibattito sulle regole delle primarie quattro anni fa: alcuni grandi Stati soffrono ad essere marginali, di votare per ratificare una scelta fatta in precedenza – per i democratici nel 2008 accadde in realtà che ciascun voto finì per pesare. E così, nonostante il regolamento del partito repubblicano restringesse a una piccola pattuglia di Stati la possibilità di tenere le proprie primarie prima del Supermartedì, quest’anno la Florida e il Missouri avevano deciso di organizzare il proprio voto immediatamente dopo i tre appuntamenti del caucus dell’Iowa e delle primarie del New Hampshire – dove Romney ha trionfato mettendo una seria ipoteca sulla nomination – della South Carolina il 21 di gennaio. La pena prevista dallo Statuto adottato dal Grand Ol’ Party per questo mancato rispetto del calendario è il dimezzamento della delegazione che parteciperà alla convention di Tampa ad agosto. Lo scorso settembre il Missouri ha deciso di fare marcia indietro, mentre la Florida ha scelto l’attenzione mediatica e il peso politico guadagnati anticipando la data.
Quello del Sunshine State potrebbe essere un calcolo vincente. In Florida Romney diventerà probabilmente il candidato senza rivali – oppure emergerà un candidato conservatore capace di unire quei voti che fino al New Hampshire si sono divisi in tre o quattro tra Santorum, Paul, Perry e Gingrich. La Florida, tra l’altro, è uno Stato cruciale per le elezioni che contano, le presidenziali del novembre 2012, e infranse le regole anche quattro anni fa. Nelle primarie democratiche del 2008 vinse Clinton, ma ai delegati nominati dalla Florida venne negato il diritto di voto alla convention come da statuto nonostante una dura polemica dell’attuale Segretario di Stato.
Una certa confusione sulle date, con i primi piccoli Stati che anticipano il voto per non farsi anticipare a loro volta da scelte come quelle della Florida, non è l’unica questione regolamentare importante delle primarie 2012. Questa volta i delegati alla convention verranno assegnati in base al voto proporzionale ricevuto dai diversi candidati Stato per Stato. E se ci fosse incertezza nel campo dei pretendenti repubblicani, questo potrebbe rendere il processo di selezione del candidato più lungo. Senza un vantaggio schiacciante, tutti gli aspiranti candidati con una pattuglia consistente di delegati potrebbero decidere di non ritirarsi fino alla fine del lungo processo di primarie e cercare di svolgere il ruolo di king-maker alla convention. Il libertario-repubblicano Ron Paul, forte di una base solida in alcuni Stati, potrebbe decidere di arrivare fino in fondo.
Un’altra novità riguarda il possibile ridimensionamento del voto in Iowa e New Hampshire, che lancia figure nuove o consolida una volta per tutte un candidato che si presenta come favorito. Le indicazioni dei sondaggi, quest’anno, rilevano che il gradimento di questo o quel candidato è molto legato alle performance nei dibattiti televisivi – e all’effetto trascinamento ottenuto dai social networks, sui quali le battute azzeccate, gli spot televisivi che funzionano, così come le gaffes vengono condivise e riproposte centinaia di migliaia di volte – e molto meno alla capacità di organizzare una campagna grassroots. Se è vero che il secondo posto di Rick Santorum in Iowa è il frutto di un porta a porta meticoloso, è altrettanto vero che gli spot televisivi sono serviti a far trionfare Romney e – soprattutto – a distruggere (per ora) la candidatura di Newt Gingrich. Quanto sia importante la televisione lo abbiamo poi verificato con Rick Perry: il governatore del Texas è salito nei sondaggi a una velocità supersonica per poi crollare dopo delle pessime prove in Tv. L’organizzazione e l’esercito di volontari serviranno per registrare e portare ai seggi le persone il giorno del voto, ma per ora sembra non essere determinante. Iowa e New Hampshire, hanno dato dei verdetti la cui forza è determinata soprattutto dalla frammentazione del campo repubblicano, con Romney che vince senza percentuali particolarmente alte. Difficile giurare che diventeranno appuntamenti meno rilevanti e che venga meno la tradizione per cui tanta attenzione si concentra attorno a due momenti elettorali di scarso rilievo nazionale: molto dipenderà dal risultato finale delle primarie repubblicane e, più in generale, dalla composizione e frammentazione del campo di ciascun partito all’inizio delle primarie future. Dopo la sfiancante battaglia tra Obama e Clinton nel 2008, i democratici decisero di adottare un criterio di rotazione, in maniera da terminare le dispute su chi vota prima. Chissà che, se anche le primarie repubblicane 2012 si riveleranno combattute, anche il Grand Ol’ Party non decida per una strada simile.