Il primo turno presidenziale a Lula, ma i giochi restano aperti in Brasile

L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva è stato il più votato nel primo turno alle presidenziali brasiliane del 2 ottobre con il 48,4% dei voti, ma il presidente in carica Jair Bolsonaro ha sorpreso rispetto alle previsioni, raccogliendo il 43,2%, rimanendo così in gara per la vittoria finale. Il ballottaggio tra i due si terrà il 30 ottobre.

Lula e Bolsonaro

 

Lula era dato per super favorito dai sondaggi commissionati dal quotidiano Folha di Sao Paulo (Datafolha), che lo dava al 50% contro il 36% di Bolsonaro, e dal conglomerato mediatico Globo (Ipec), che gli attribuiva addirittura il 51%, con 14 punti percentuali in più del rivale. Entrambi i sondaggi erano stati diffusi sabato notte, poche ore prima del voto e lasciavano intendere un Lula vincente già al primo turno. Molto alto – per un paese dove il voto è obbligatorio – l’astensionismo, che sfiora il 21%, pari a 32,6 milioni di brasiliani che hanno preferito pagare una piccola multa piuttosto che votare “il meno peggio”.

Partendo dall’ex presidente, oltre alle condanne per corruzione e al carcere, il grande problema di Lula è stato che per tutta la campagna elettorale ha parlato quasi esclusivamente della suo passato alla presidenza, tra 2003 e 2010. Solo che il mondo oggi è molto diverso. Inoltre, se i brasiliani si ricordano bene delle sue presidenze “felici”, come usa ripetere lui, più ancora rammentano i disastri economici della sua delfina Dilma Rousseff quando, nel biennio 2015 e 2016, il PIL verde-oro crollò del 7%, in quella che fu la peggiore recessione del paese da inizio Novecento.

 

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Il principale problema di Bolsonaro, in campagna elettorale, è stato invece il suo stile conflittuale e spesso volgare, comprese le critiche feroci alla Corte Suprema. Inoltre, il suo mettere in dubbio l’affidabilità del sistema di voto elettronico ha facilitato molto l’azione dei suoi tanti critici nel tacciarlo come “antidemocratico”, con in prima linea il partito dei lavoratori, il PT di Lula.

Alla fine, a vincere nel primo turno è stato invece il cosiddetto voto “envergonhado”, ovvero il voto di chi per vergogna o paura non ha dichiarato la sua vera intenzione di voto alle società demoscopiche. Probabilmente ha inciso sui sondati “sballati” anche il fatto che l’ultimo censimento ufficiale fatto in Brasile risale al 2010 e, dunque, il Paese reale non è più rappresentato dai database usati da Datafolha e Ipec. Inoltre ha senza dubbio pesato il tema della corruzione, argomento che non tutti i brasiliani hanno perdonato a Lula. In campagna elettorale lui ha cercato di dribblare il tema, attaccando i magistrati della Lava Jato, la Mani Pulite verde-oro, e senza fare alcuna autocritica. Inoltre, al di là delle promesse di tornare a far rivivere l’età dell’oro del suo primo mandato (che fu facilitata da un altro contesto geopolitico e dal boom internazionale delle materie prime), Lula non ha presentato ai suoi elettori nessun piano di governo economico. Non il massimo, poi, che abbia scelto come suo vice Geraldo Alckmin, ex governatore di San Paolo, di centro-destra, nonostante sia entrato di recente nel Partito Socialista Brasiliano (PSB). Nel 2017, inoltre, lo stesso Alckmin di Lula aveva detto, “Dopo aver fatto fallire il Brasile Lula vuole tornare al potere. Vuole tornare nella scena del crimine”, e per questo la sua candidatura ha creato non pochi malumori nell’ala più a sinistra dell’elettorato lulista.

A salvare Bolsonaro è stata sicuramente l’economia. Le previsioni di crescita del Brasile per il 2022 parlano infatti di un PIL sopra il 3%, la disoccupazione è scesa dopo sette anni per la prima volta sotto il 9%, mentre l’inflazione chiuderà il 2022 al 5,5% (meno di quella dell’Unione Europea). Inoltre, il presidente ha aumentato un paio di mesi fa il sussidio “Auxilio Brasil” a 600 reais (circa 120 euro), a beneficio di 20,2 milioni di famiglie in condizione di vulnerabilità sociale, e ha ridotto le tasse statali sui carburanti tanto che oggi la benzina brasiliana è una delle meno care dell’America Latina.

 

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Bisognerà vedere adesso, in vista del secondo turno, che impatto avranno sugli elettori quegli elementi del personaggio Bolsonaro che tante critiche gli sono valse nei suoi quattro anni di governo. Per esempio l’empatia pari a zero nei confronti di minoranze indigene, LGTB, e le (moltissime) vittime del Covid – gestito con una leggerezza che a tratti è parsa del tutto irresponsabile.

Inoltre, decisivi al ballottaggio saranno i 32,6 milioni di astenuti (20,9%) ma anche i voti finiti al primo turno ad altri candidati, in tutto la miseria dell’8%, a testimonianza di una polarizzazione senza precedenti. Tra le curiosità di questa elezione, infine, l’endorsement di Edward Snowden, l’ex agente dell’intelligence statunitense che dalla Russia, dove si è naturalizzato qualche giorno fa, ieri ha scritto un tweet che non lascia ombra di dubbi: ”Lula”.

 

 

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