La vicenda svizzera del nucleare

La Svizzera è un Paese che consuma molta energia elettrica, precisamente 6.498 kWh annui per abitante, e in un confronto con i principali quattro paesi confinanti, è seconda solo all’Austria (7.054 kWh), e davanti a Francia (6.072 kWh), Germania (5.701 kWh) e Italia (4.869 kWh).

Nel 2023, in Svizzera sono stati prodotti 72.054 GWh di energia elettrica, precisamente 9.000 GWh in più rispetto all’anno precedente, pari a un incremento del 14,3%, secondo quanto indicato dagli ultimi dati rilasciati dall’Ufficio federale dell’energia.

Una parte dell’energia elettrica prodotta è stata consumata da aziende e abitazioni (77,8%), una porzione è stata destinata alle centrali con impianti ad accumulo (7,5%), una quota in perdite di rete (5,9%) e, infine, il restante esportato nei cinque paesi confinanti con i quali la rete elettrica svizzera è integrata (8,9%).

Ai consumatori finali di aziende e abitazioni sono stati destinati precisamente 56.068 GWh, un fabbisogno che si è mantenuto costante negli ultimi anni avendo registrato un tasso annuo di crescita composto sostanzialmente nullo (-0,009%) e variazioni intorno al valore medio di appena 3,5 punti percentuali.

Il principale destinatario dei consumi finali sono le abitazioni (34,3%), seguite dal settore secondario dell’industria e dell’artigianato (29%), dal settore terziario dei servizi (25,8%), dai traporti (9,3%) e infine dal settore primario dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca (1,6%).

Sebbene dunque la Svizzera sia relativamente energivora, negli ultimi venti anni, il consumo pro capite di energia si è ridotto del 17%, passando dai 7.601 kWh del 2004 ai 6.308 kWh del 2023, pari a una riduzione dello 0,9% annuo.

 

La maggioranza dell’energia elettrica è stata generata da centrali idroelettriche (56,6%), seguita da centrali nucleari (32,4%) e il restante da una combinazione di centrali termiche e altre fonti rinnovabili (11%).

L’energia elettrica prodotta nelle tre centrali atomiche di Beznau, Gösgen e Leibstadt costituisce una quota significativa del mix energetico svizzero, quasi un terzo dell’intera produzione nazionale.

Nel Cantone Argovia sono collocate le due centrali di Beznau e di Leibstadt, la prima con due reattori e la seconda con un solo reattore, che insieme hanno generato il 65,8% dell’energia elettrica da fonte atomica, mentre nel confinante Cantone Soletta il restante 34,2% è stato prodotto nella centrale di Gösgen provvista di un solo reattore.

I quattro reattori hanno funzionato con un tasso di utilizzazione medio del 90%.

Sul fiume Reno, sul lato opposto alla sponda tedesca, si trova il reattore ad acqua bollente di Leibstadt, che messo in funzione nel 1984, è il più giovane dei quattro reattori svizzeri, e anche il più potente con una potenza elettrica effettiva di 1.233 MWe (41,5% del totale).

Il reattore solettese di Gösgen, a soli 40 chilometri dal confine tedesco, funzionante con acqua pressurizzata, è attivo dal 1979 e ha oggi una potenza di 1.010 MWe (34% dell’energia prodotta da nucleare).

I due reattori di Beznau, ad appena sei chilometri dal confine tedesco, anche essi funzionanti con acqua pressurizzata, messi in funzione rispettivamente nel 1969 e nel 1971, sono oggi i reattori più vecchi al mondo ancora in funzione, con una potenza odierna di 365 MWe (12,3%) ciascuno.

Oltre ai quattro reattori nucleari destinati alla produzione di energia elettrica, sono funzionanti sul territorio svizzero anche tre reattori di ricerca: all’Istituto Paul Scherrer di Würenlingen, all’Università di Basilea e al Politecnico federale di Losanna.

Nel comune argoviese di Würenlingen, vicino all’omonimo reattore di ricerca, è posto anche il deposito intermedio nazionale dove sono stipate le scorie radioattive ad alta attività. I rifiuti a bassa e media attività sono invece trasformati in forme adatte allo smaltimento nei siti di origine o presso il deposito di Würenlingen, o in altre circostanze spedite in impianti di riprocessamento all’estero, generalmente a La Hague in Francia e a Sellafiled nel Regno Unito, per poi essere restituite alla Svizzera per lo smaltimento finale.

 

I movimenti antinucleari

La questione nucleare, in quanto dibattito politico, ha una lunga storia in Svizzera, al pari di altri paesi europei vicini come Germania e Italia, senza però che si sia mai giunti a decisioni definitive.

Nel 1969, nascono le prime opposizioni locali a un progetto di costruzione di una nuova centrale nucleare a Kaiseraugst, vicino Basilea, sul confine con la Germania, una faccenda che dura venti anni, dal permesso di costruzione del sito a referendum locali e battaglie legali, fino all’occupazione del sito da parte di oppositori e ambientalisti, per chiudere prima con un voto parlamentare a favore della costruzione del sito e poi con una decisione parlamentare del 1989 di porre definitivamente fine al progetto (una decisione evidentemente influenzata dal disastro nucleare di Černobyl’ avvenuto solo pochi anni prima).

Negli anni immediatamente successivi, ugual sorte è toccata ad altri siti destinati alla costruzione di centrali nucleari, come Verbois, Graben, Rüthi e Inwil, iniziati tra il 1965 e il 1972, i cui lavori non sono mai terminati.

L’esperienza di Kaiseraugst e degli altri progetti di centrali nucleari porta a diverse iniziative popolari antinucleare su scala nazionale.

Una prima iniziativa popolare denominata «Per la salvaguardia dei diritti popolari e della sicurezza nella costruzione e nell’esercizio degli impianti nucleari», in cui si tentava di limitare il potere decisionale delle autorità di costruire e mantenere le centrali nucleare è sottoposta a votazione nel febbraio 1979, ma respinta sia dalla popolazione sia dai Cantoni.

È opportuno specificare che in Svizzera un’iniziativa popolare è una proposta di modifica o estensione della Costituzione sottoposta a votazione popolare a seguito di una raccolta di almeno 100mila firme entro 18 mesi dal momento della sua legittimata costituzionalità, a fronte della quale le autorità governative possono presentare un controprogetto da sottoporre sia al comitato dell’iniziativa popolare sia ai Cantoni. Diversamente un referendum, facoltativo oppure obbligatorio, in cui i promotori chiedono che una nuova legge sia sottoposta a votazione popolare. Sia per l’iniziativa popolare sia per il referendum non è previsto alcun quorum.

Nel settembre del 1984, ha luogo una seconda iniziativa popolare dal nome «Per un futuro senza nuove centrali nucleari», in cui si chiede il divieto della messa in esercizio di nuove centrali nucleari e la non sostituibilità delle centrali nucleari esistenti, una iniziativa anche essa respinta da popolazione e Cantoni.

Qualche anno più tardi, nel settembre del 1990, la popolazione è chiamata a pronunciarsi su due nuove iniziative popolari, la prima, denominata «Per un abbandono progressivo dell’energia nucleare», è respinta da popolazione e cantoni, mentre la seconda, dal nome «Alt alla costruzione di centrali nucleari (moratoria)», che prevede la non costruzione di centrali atomiche per dieci anni, è accettata sia dalla popolazione sia dai Cantoni, una prima crepa nel muro dei sostenitori dell’uso dell’atomo per la produzione di energia elettrica.

Poster di sostegno all’iniziativa popolare ambientalista del 1990

 

Una dozzina di anni dopo, nel maggio 2003, ancora due iniziative popolari denominate «Corrente senza nucleare» e «Moratoria più», entrambe volte a contenere l’uso dell’energia atomica, ma entrambe respinte da popolazione e Cantoni.

Dopo il disastro di Fukushima del 2011, riprendono le iniziative ambientaliste contro l’energia nucleare, e nel novembre 2016 popolazione e Cantoni sono nuovamente chiamati con l’iniziativa popolare «Per un abbandono pianificato dell’energia nucleare» a esprimersi sull’utilizzo dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica, ma anche questa volta l’oggetto della iniziativa è respinto.

Pur ottenendo solo in una circostanza la maggioranza alle urne, il movimento ambientalista riesce a influenzare il regime energetico, e meno di un anno dopo l’ultima consultazione popolare, tramite un referendum l’elettorato svizzero accoglie una nuova legge sull’energia denominata «Strategia energetica 2050», volta a ridurre il consumo di energia, aumentare l’efficienza energetica, promuovere le energie rinnovabili e vietare la costruzione di nuove centrali nucleari. E’ una legge che de facto sancisce l’abbandono per la Svizzera dell’energia nucleare, poiché prevede lo smantellamento delle cinque centrali nucleari attive in quel momento sul territorio nazionale quando giungeranno alla fine del loro ciclo di vita e non di sostituirle con nuove centrali.

Dal 1° gennaio 2018 vige pertanto il divieto di rilascio di autorizzazioni per nuove centrali nucleari, e nel 2019 si registra il primo significativo effetto della nuova legge, quando la centrale nucleare di Mühleberg presso Berna è sconnessa dalla rete elettrica nazionale e si avvia lo smantellamento della struttura, una decisione attuata a causa della formazione di crepe nell’involucro del nucleo del reattore dovute alla corrosione del materiale da parte dell’acqua di raffreddamento, un deterioramento della struttura che suscitava preoccupazioni da molti decenni e i cui costi di manutenzione rendevano economicamente poco conveniente mantenere la centrale attiva.

Una legge federale promossa dal Consiglio federale e dall’Assemblea federale e successivamente anche approvata dal 58,2% dell’elettorato non basta per quietare gli animi svizzeri, e nell’agosto 2022 un comitato di esponenti dell’area conservatrice avvia la raccolta di firme per una nuova iniziativa popolare dal nome «Energia elettrica in ogni tempo per tutti (Stop al blackout)», che mira ad annullare il divieto di costruire centrali atomiche.

La raccolta di firme dell’iniziativa a favore del nucleare ha lo scopo dichiarato di assicurare l’indipendenza energetica, sebbene la Svizzera sia una esportatrice netta di energia. Essa riesce formalmente, ma il Consiglio federale respinge l’iniziativa e si propone di elaborare entro il 2024 un controprogetto per perseguire con altri mezzi il medesimo obiettivo generale, al fine di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico a lungo termine, e la partita si riapre politicamente.

Il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) presenterà al Consiglio federale una modifica della legge sull’energia nucleare entro la fine del 2024, la cui consultazione durerà sino alla fine di marzo 2025, e in seguito il Parlamento discuterà dell’iniziativa e del controprogetto.

 

Una vicenda europea

La Svizzera non è precisamente nel centro geografico dell’Unione Europea e neanche nel centro geografico del continente europeo come vuole il linguaggio popolare; tuttavia, la centrale nucleare di Leibstadt sulla sponda svizzera del fiume Reno è in effetti a solo quattro ore di automobile (supposto il rispetto dei limiti di velocità) da quel punto: Gädheim, un piccolo paesino tedesco di poco più di 1300 abitanti nello stato federato della Baviera.

La rete elettrica svizzera è perfettamente integrata con i quattro Paesi confinanti dell’Unione Europea – Germania, Austria, Italia e Francia – con i quali scambia regolarmente energia elettrica sia per esportazione sia per importazione, in funzione sia del fabbisogno stagionale sia del prezzo di mercato.

Riguardo alle importazioni e alle esportazioni di energia elettrica, per il 2023 la Svizzera ha avuto un saldo negativo, cioè le importazioni sono state minori delle esportazioni, per un valore complessivo netto di 6.394 MWh.

Tuttavia, il saldo per singolo Paese è stato negativo solo con l’Italia, cioè è stata esportata verso l’Italia più energia elettrica di quanta importata, precisamente 20.421 MWh, con una quota del 63,4% delle esportazioni complessive. Con Francia (6.526 MWh), Austria (3.898 MWh) e Germania (3.584 MWh) le importazioni di energia elettrica sono state invece superiori alle rispettive esportazioni, a cui si aggiunge anche il Liechtenstein con un marginale saldo positivo di 19 MWh.

 

Questo quadro di scambi fornisce una prima indicazione di quanto la rete elettrica svizzera sia parte integrante di un sistema di relazioni europeo che va oltre la veduta dei confini nazionali: a tale sistema è necessario rendere conto in un rapporto di reciproca cooperazione politica, economica, sociale, tecnologica, ambientale e, per certi aspetti, anche giuridica.

Nella specificità dell’energia nucleare, in pochi chilometri quadrati di territorio svizzero e a pochi passi dal territorio di un Paese – precisamente la Repubblica Federale Tedesca che ha deciso di abbandonare definitivamente la produzione di energia elettrica da fonte nucleare dopo il 2011 – sono installati quattro reattori nucleari con una potenza netta di poco meno di tremila megawatt elettrici, precisamente 2.973 MWe, di cui due reattori sono i più vetusti al mondo, sebbene posti in condizioni di sicurezza secondo le norme previste; a questi si aggiungono due reattori di ricerca e un deposito per le scorie radioattive, che insieme rappresentano una legittima e spinosa preoccupazione per la Germania, e in particolare per lo stato federato del Baden-Württemberg, i cui confini meridionali si affacciano sul fiume Reno, proprio di fronte all’area nucleare svizzera.

Questo quadro di prossimità fornisce una seconda indicazione di quanto il territorio elvetico sia anche esso parte integrante dello stesso sistema di relazioni europeo legato da un destino diverso ma comune, al quale non è possibile sottrarsi.

L’energia nucleare per la produzione di energia elettrica rimane un’opzione aperta per la Svizzera, ma la decisione del Consiglio federale e dell’Assemblea federale di promulgare una nuova strategia energetica per portare a compimento il progetto del secolo, ovvero la transizione energetica senza energia nucleare, è coerente con lo sviluppo delle maggiori economie del Continente.

I costi legati alla costruzione di nuove centrali nucleari sono oggi elevati e i tempi molto lunghi, normalmente decenni; inoltre i requisiti di sicurezza, incluso lo smaltimento delle scorie, sono molto più severi rispetto al passato e la manutenzione delle strutture impone ingenti impegni finanziari – ne sono esempi l’espansione della terza sezione della centrale nucleare britannica di Hinkley Point come pure la messa fuori servizio di quasi metà dei reattori nucleari in Francia a causa di problemi di corrosione, anche in alcune delle centrali più recenti, la cui interruzione comporta una produzione notevolmente ridotta, e la cui convenienza del ripristino è messa in discussione dalla economicità degli investimenti nel rapporto costi/opportunità.

Indirizzare lo sforzo collettivo verso misure per l’aumento della quota di energie rinnovabili e dell’efficienza energetica e verso un abbandono graduale del nucleare appare la strategia migliore per un futuro a emissioni nette zero, una vera rivoluzione, alla quale le forse politiche svizzere potrebbero associare una razionalizzazione del sistema nazionale di produzione di energia elettrica orientato verso un consolidamento dell’industria allo scopo di generare economia di scala che potrebbero ridurre il prezzo dell’elettricità a famiglie e aziende su valori intorno al 15-20% entro in prossimi 10-15 anni.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’industria energetica svizzera è altamente frammentata, con la fornitura di elettricità che è assicurata da circa 620 distributori di elettricità, tra cui sette società di generazione e trasmissione, e circa 80 grandi società svizzere produttrici di elettricità – e molti compiti sono svolti dai comuni, che forniscono anche acqua e gas.

La questione svizzera dell’elettricità e del nucleare passa per Berna. Ma anche per Gädheim, in un contesto europeo.

 

 

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