Non è stato certamente risolutivo per le sorti della guerra nel Donbass e dell’occupazione russa della Crimea l’incontro andato in scena a Ginevra, mercoledì 16 giugno, fra il presidente statunitense Joe Biden e il suo omologo russo Vladimir Putin. Nonostante le grandi aspettative della diplomazia ucraina, è emersa da subito l’intenzione di Washington di non provocare tensioni su questi dossier, nel tentativo, più volte ribadito da Biden prima e dopo il meeting, di ricostruire con il Cremlino una relazione “stabile e prevedibile”.
A uscire frustrate sono in particolare le ambizioni internazionali del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, che sperava, grazie all’insediamento alla Casa Bianca del candidato democratico, con cui è in ottimi rapporti personali, in un’accelerazione definitiva della candidatura ucraina all’entrata nella NATO. Il percorso di adesione dell’Ucraina all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord continua a essere fermo al lontano 2008, quanto partì ufficialmente il processo. A tredici anni di distanza, nonostante le costanti rassicurazioni americane, il piano stenta però a decollare. Proprio l’adesione ucraina alla NATO è stato uno dei dossier sul tavolo del meeting fra Biden e Putin, con Zelenskyy che a poche ore dall’appuntamento è parso confermare l’intenzione, da parte dei paesi del Patto Atlantico, di chiudere a breve la partita. Gli entusiasmi di Kiev sono stati subito spenti dalle dichiarazioni del Segretario Generale Jens Stoltenberg, che a margine del summit annuale dei paesi membri di lunedì 14 giugno ha ripetuto che “l’Ucraina è uno degli stati che aspirano a far parte dell’organizzazione”, sottolineando la necessità di Kiev di continuare a lavorare sul fronte delle riforme e della sicurezza militare, specialmente per quel che concerne il problema della corruzione.
Il tavolo di discussione fra Russia e Stati Uniti ha dunque confermato come la questione ucraina non sia al momento prioritaria per Biden e i suoi alleati europei, che considerano invece cruciale riaprire un tavolo negoziale diretto con Mosca: un obiettivo palesato anche attraverso la scelta, ad esempio, di non invitare rappresentanti di Kiev alla riunione NATO di Bruxelles, e testimoniato anche dalla decisione di attenuare le sanzioni alla Russia nell’ambito della costruzione del gasdotto Nord Stream 2.
L’Ucraina esce così, in parte, ridimensionata da un confronto nel quale sperava di ritagliarsi un ruolo di primo piano. Il presidente Zelenskyy si è mostrato risentito della scelta di Biden di non incontrarlo prima del summit con Putin (ma è in programma una visita ufficiale di Zelenskyy a Washington per luglio), e ha ribadito che nessuna decisione sul conflitto sarà accettata dall’Ucraina se presa in assenza di delegati ucraini al tavolo delle trattative.
Dal suo canto, il portavoce del Cremlino, Dmitri S. Peskov, interrogato a margine dei colloqui di Ginevra su una possibile inclusione dell’Ucraina fra i paesi membri NATO, ha dichiarato che si tratterebbe del superamento di una “linea rossa”, qualcosa che Mosca non potrebbe accettare. Di certo è sempre più evidente la strategia americana: da un lato c’è la conferma un sostegno deciso alla difesa ucraina, con dichiarazioni pubbliche contro Mosca a volte persino eccessive (vedi la definizione di “killer” con cui Biden ha apostrofato Putin a marzo), ma dall’altro c’è la volontà di evitare qualsiasi frizione profonda con il Cremlino. Anche per questo l’incontro di Ginevra pare potersi considerare, sotto diversi punti di vista, non negativo per la Russia. Putin esce dal meeting con Biden senza aver preso alcun impegno preciso rispetto alla crisi ucraina, ma anzi, ribadendo la ferma intenzione di continuare a difendere uno spazio che ritiene fondamentale per il mantenimento dell’influenza di Mosca nella regione.
Le manovre militari che hanno visto 100.000 uomini russi impegnati in primavera in esercitazioni svolte al confine con il Donbass, tra il 9 e il 22 aprile, e la decisione di chiudere sino al prossimo 31 ottobre l’accesso al Mar d’Azov per tutte le imbarcazioni non russe (con il conseguente isolamento dei porti delle città ucraine di Mariupol e Berdansk), vanno esattamente in questa direzione e non hanno portato a conseguenze diplomatiche dirette, né sembra siano state discusse nel corso dell’incontro con il presidente statunitense. Sulla stessa linea si inscrive l’annuncio del ministro della difesa russo, Sergei Shoigu, di posizionare venti nuove unità militari, pari a duemila uomini, sul fronte occidentale, come risposta alla “minaccia dei paesi NATO”.
E’ anche per fronteggiare queste minacce che il Pentagono ha garantito a Kiev, lo scorso maggio, un pacchetto di aiuti per la sicurezza pari a 150 milioni di dollari, una misura che include l’invio in Ucraina di radar controfuoco, artiglieria, dispositivi di comunicazione, attrezzature per l’evacuazione medica militare, equipaggiamento tattico, supporto per la trasmissione e l’analisi di immagini satellitari.
Le posizioni dei due paesi non hanno insomma subito particolari stravolgimenti dopo Ginevra. Gli Stati Uniti hanno ribadito il sostegno all’integrità territoriale ucraina e la Russia ha insistito nell’usuale copione di potenza “costretta” a difendersi dagli attacchi strategici della NATO nella sua area regionale di influenza.
La sensazione è che Biden voglia evitare qualsiasi ulteriore peggioramento del conflitto fra Russia e Ucraina, cosciente della difficoltà, allo stato attuale, di arrivare a una risoluzione definitiva del conflitto. In questo senso, il summit svizzero fra i due leader potrebbe servire a rallentare il progetto russo di blocco definitivo dello spazio marittimo ucraino. La marina russa non ha infatti mai nascosto l’intenzione di chiudere, dopo il Mar d’Azov, anche l’accesso dei porti ucraini delle regioni di Odessa, Mykolaiv e Kherson al Mar Nero, una mossa che taglierebbe le gambe in maniera definitiva all’export industriale e agricolo di Kiev, che muove due terzi della sua economia in uscita attraverso queste rotte commerciali.
Qualche buona notizia per l’Ucraina in arrivo da Ginevra sembra comunque esserci, soprattutto sul lato strategico. L’Ucraina è ormai, sul fronte diplomatico e geopolitico, parte integrante del blocco democratico occidentale: un dato di fatto che, al di là del sogno di adesione alla NATO, la pone comunque in una condizione di certezza, seppur relativa, sul sostegno degli Stati Uniti in caso di drammatiche escalation.
Quello su cui Zelenskyy dovrà lavorare è il rafforzamento del suo comparto militare, in combinazione a un rinnovato piano di politica estera, più indipendente e meno succube dei condizionamenti degli Stati Uniti. L’atteggiamento di Biden ha dimostrato che l’Ucraina è sì considerata un paese amico, ma che la difesa della sua integrità territoriale passa, in primo luogo, per una riorganizzazione interna dell’esercito e di tutte le strutture istituzionali di raccordo.