Il Nilo della discordia

Lo storico greco Erodoto definì l’Egitto come “un dono del Nilo”. A distanza di venticinque secoli, l’affermazione del “padre della storia” è ancora vera. L’Egitto dipende per oltre il 90% dall’acqua del grande fiume per soddisfare i bisogni di cento milioni di abitanti, concentrati lungo le sue rive, nella zona del delta e, in parte, sulla costa mediterranea. Ecco perché Il Cairo è particolarmente sensibile alle attività degli altri dieci Stati del bacino idrografico (anche se il corso vero e proprio ne attraversa sette), soprattutto quando esse sono suscettibili di ridurre in maniera significativa la portata del grande fiume: l’Egitto ne fa una questione di sicurezza nazionale.

Il Nilo al Cairo

 

Non sorprende quindi che, in questi mesi, le relazioni dell’Egitto con l’Etiopia siano molto tese. Addis Abeba sta per completare la Grande Diga del Rinascimento Etiopico (GERD, secondo l’acronimo inglese). L’infrastruttura in costruzione sul Nilo Azzurro è destinata ad avere un impatto profondo sugli equilibri geopolitici di tutta l’Africa nord-orientale, generando dispute al momento ancora irrisolte.

 

L’acqua, una risorsa dal valore crescente

Il Nilo, con i suoi 6.852 km di lunghezza, si contende con il Rio delle Amazzoni il primato di fiume più lungo del mondo. Il suo bacino idrografico occupa un decimo della superficie dell’intera Africa. Ciononostante, la portata media annua, pari a 85 milioni di metri cubi d’acqua, è molto inferiore ad altri grandi fiumi del continente, come il Niger e il Congo, che si attestano rispettivamente a 180 e 1.250 milioni di metri cubi.

Il Nilo si trasforma in un corso d’acqua unico solo a valle di Khartum, la capitale sudanese, dove si congiungono di due tronconi del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro. Il primo nasce dal lago Vittoria, ma le sue acque svaniscono in paludi sterminate e malsane in Sud Sudan oppure evaporano sotto l’azione implacabile del sole equatoriale. Solo il 15% dell’acqua che giunge alla grande diga di Assuan proviene da questa sezione del fiume. Il ramo principale è dunque quello che parte dal lago Tana, in Etiopia, e scorre per diverse centinaia di chilometri a un’altitudine superiore ai mille metri, prima di gettarsi nelle pianure sudanesi.

Proprio la portata relativamente bassa del Nilo rende le sue acque molto preziose. Queste sono fondamentali per rispondere alle necessità degli agglomerati urbani, dell’industria e dell’agricoltura, ma anche per la produzione di energia elettrica, grazie ai numerosi sbarramenti costruiti nel corso dei decenni.

La pressione sulle risorse idriche è in crescita in Egitto e in Sudan a causa del rapido aumento demografico e del clima arido. Lo scavo di pozzi profondi per estrarre l’acqua fossile nascosta sotto il Sahara attenua solo in parte il problema, anche perché si tratta di una risorsa non rinnovabile. E i progetti per costruire impianti di dissalazione lungo le coste del Mar Rosso e del Mediterraneo richiedono investimenti consistenti e grandi quantità di energia, che al momento non sono disponibili. Ad aggravare la situazione si aggiungono le politiche di sviluppo agricolo mirate a estendere i terreni coltivabili intorno alle oasi principali del deserto occidentale egiziano, attraverso condotte che prelevano l’acqua del Nilo dal lago Nasser, creato dalla diga di Assuan. L’obbiettivo è quello di evitare l’abbandono dei campi e controllare la fuga dalle campagne di milioni di persone, destinate ad accrescere il sottoproletariato delle grandi città. Il settore primario occupa ancora un terzo della forza lavoro e rappresenta il 15% del pil egiziano.

L’acqua del Nilo è preziosa anche per l’Etiopia. Il Paese, nell’arco di trent’anni, è passato da 48 a quasi 120 milioni di abitanti. Pur restando tra gli Stati più poveri del pianeta per PIL pro capite, la sua economia registra tassi di crescita fra i più alti al mondo, e domanda quantità sempre maggiori di energia. Anche l’agricoltura locale, che in genere non soffre la siccità dei vicini settentrionali, è in espansione. L’introduzione di macchine per lo sfruttamento intensivo dei campi e il dissodamento di terreni incolti necessitano di crescenti quantità d’acqua, così come l’industria nazionale.

Tutto questo ha indotto Addis Abeba ad attribuire sempre maggiore importanza alla risorsa idrica sia come bene di consumo sia come fonte di energia. La scelta di puntare sulla crescita della produzione idroelettrica risale al 2009. Due anni dopo, il governo assegnò la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) al gruppo italiano Salini-Impregilo, oggi Webuild, per una spesa di cinque miliardi di dollari. I fondi sono stati reperiti anche grazie all’emissione di titoli pubblici acquistati dai cittadini, dando così un valore simbolico e un significato nazionale e popolare all’infrastruttura. Il bacino della diga, capace di contenere 70 miliardi di metri cubi d’acqua, è considerato una minaccia esistenziale da Khartum e dal Cairo, desiderose di preservare i tradizionali diritti vantati sul Nilo.

La GERD in costruzione

 

Gli antichi privilegi e i nuovi rischi per l’Egitto

Il primo accordo per disciplinare l’utilizzo delle acque del fiume risale al 1891. In quell’anno, l’Italia e la Gran Bretagna firmarono un protocollo con il quale Roma si impegnava a non costruire impianti idroelettrici nella sua colonia eritrea, capaci di alterare la portata degli affluenti dell’Atbara, il più settentrionale dei tributari principali del Nilo. Successivamente, gli inglesi elaborarono un progetto denominato Century Storage Scheme per favorire la costruzione di un unico sistema infrastrutturale per la produzione di energia e la conservazione delle risorse idriche. Il piano poteva essere realizzabile fino all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, quando Londra ancora era potenza coloniale in Sudan, influenzava la monarchia egiziana e aveva rimesso sul trono abissino Hailé Selassié, scacciato dall’aggressione fascista del 1935-36.

Le gelosie nazionali emerse con la decolonizzazione impedirono di definire intese per la gestione comune del grande fiume. Nel 1959, l’Egitto di Nasser, allora unito alla Siria nella Repubblica Araba Unita, e il Sudan, da poco indipendente, rinegoziarono un trattato stipulato trent’anni prima tra Londra e Il Cairo. L’accordo, in vigore ancora oggi, afferma il diritto storico e naturale dei due Paesi allo sfruttamento delle acque del Nilo, secondo una quota rispettiva del 75 e del 25%. I contraenti riservano per loro stessi il diritto di veto sulla realizzazione di progetti, capaci di limitare l’apporto idrico, anche se realizzati da Stati terzi. L’Etiopia non ha mai riconosciuto la validità di questa clausola e, per sottolineare la legittimità delle sue prerogative, poco dopo la firma dell’accordo, commissionò agli Stati Uniti uno studio di fattibilità per costruire dighe e sbarramenti sul Nilo Azzurro. Per molti decenni l’Egitto e il Sudan, nonostante le tensioni bilaterali derivanti da dispute confinarie, sono stati uniti nell’affermazione dei loro diritti. Né hanno incontrato particolari resistenze da parte dell’Etiopia e degli altri Paesi del bacino idrografico, stretti quasi sempre nella morsa dei conflitti politici e del sottosviluppo.

Le cose sono cambiate, all’inizio di questo secolo, con l’avvio della crescita economica dell’Etiopia e poi con le Primavere arabe. Le rivolte che all’inizio del 2011 sconvolsero molti Stati mediorientali interessarono anche l’Egitto. In poche settimane, il regime di Hosni Mubarak crollò sotto il peso delle sue inefficienze e delle proteste di piazza. Al Cairo iniziava una fase di incertezza politica, che avrebbe assorbito a lungo le energie del Paese, lasciando meno spazio alle questioni internazionali. Si trattava di un’opportunità che l’Etiopia ha cercato di sfruttare al meglio. La costruzione della GERD, a 500 km a nord-ovest dalla capitale e a meno di 20 km dalla frontiera con il Sudan, iniziò proprio in quei mesi e dovrebbe essere completata entro la fine dell’anno prossimo: sarà la diga più grande del continente africano.

 

La scommessa etiope e il conflitto d’interessi

L’Etiopia punta a far uscire dalla povertà milioni di persone e a garantire loro infrastrutture e servizi di base. Per raggiungere tali obiettivi, è necessario procedere all’elettrificazione di ampie aree del Paese, ferme da decenni nella loro arretratezza. Inoltre, il governo nazionale, guidato da Abiy Ahmad Ali, insignito del Nobel per la pace nel 2019 per il suo impegno a favore della riconciliazione con l’Eritrea, ha fissato degli obiettivi molto ambiziosi. Addis Abeba incentiva l’energia ottenuta da fonti rinnovabili e punta a essere carbon neutral entro il 2025 e a evitare l’emissione in atmosfera di 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. Tale scelta, funzionale a ridurre la spesa per l’importazione di prodotti petroliferi, passa per le due centrali idroelettriche affiancate alla GERD, dotate di 16 turbine capaci di generare 15.000 GWh annui. Con una crescita stimata della produzione di corrente elettrica del 270%, l’Etiopia sarà in grado di coprire il fabbisogno nazionale e anche di esportare la quantità eccedente ai Paesi vicini.

Il funzionamento costante degli impianti richiede un bacino che, una volta riempito, potrà contenere fino a 75 miliardi di metri cubi d’acqua. Proprio l’accumulo delle riserve è alla base della discordia tra Addis Abeba, Khartum e Il Cairo. Le ultime due capitali vogliono che le operazioni di riempimento dell’invaso siano molto lente, superando anche i dieci anni per essere completate. Finora, Addis Abeba non ha mostrato sensibilità verso le preoccupazioni degli Stati a valle e, la scorsa estate, ha sfruttato la stagione delle piogge per avviare il riempimento del bacino. Tra qualche settimana, dovrebbe iniziare la seconda fase del programma.

Inoltre, l’Etiopia viene accusata di voler trattenere l’acqua anche per uso agricolo e industriale, danneggiando le economie dei vicini settentrionali e accrescendo la loro insicurezza alimentare. In effetti, l’Etiopia, con 125 miliardi di metri cubi all’anno, ha uno dei livelli di consumo idrico più bassi al mondo e deve fronteggiare i bisogni di una popolazione in rapido aumento e sempre più incline ad adottare stili di vita che implicano l’utilizzo di crescenti quantità d’acqua. In più, la GERD suscita preoccupazioni in Sudan anche per la sua vicinanza al confine: Khartum teme che un’apertura accidentale dello sbarramento possa provocare disastrose inondazioni, mettendo in pericolo 20 milioni di persone, pari a più della metà della popolazione sudanese.

I negoziati per arrivare a un accordo durano da alcuni anni e sono stati interrotti più volte a causa dell’intransigenza delle parti. Gli ultimi colloqui risalgono a maggio del 2020 e sono stati organizzati con i buoni uffici dell’Unione Africana. Ma le posizioni restano lontane. L’Egitto e il Sudan continuano ad accusare l’Etiopia di perseguire i suoi piani di sviluppo ai loro danni e non hanno escluso il ricorso all’opzione militare, se Addis Abeba dovesse realizzare il suo progetto di riempire l’invaso della GERD in meno di cinque anni. La recente proposta del presidente egiziano, Abdel Fatah al-Sisi, di riprendere i negoziati attraverso la mediazione dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dell’Unione Africana è stata respinta da premier Abiy, che non intende consentire l’ingresso nella partita di potenze non africane.

L’Etiopia sa di non poter ridurre alla sete l’Egitto e il Sudan senza correre il rischio di un conflitto armato. Il Paese però non può affrontare una guerra, perché il governo centrale è ancora impegnato a soffocare la rivolta nella regione settentrionale del Tigray, iniziata nel novembre dell’anno scorso con la ribellione delle autorità locali, accusate di connivenza con i separatisti del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray. Inoltre, la comunità internazionale sarebbe schierata in larga maggioranza con gli avversari di Addis Abeba, vista come animata da atteggiamento predatorio.

È dunque probabile che l’Etiopia cerchi di accelerare il più possibile le operazioni di riempimento del bacino della GERD, sfruttando la prossima stagione delle piogge – cioè il periodo estivo. Successivamente, Abiy tenterà di ottenere un accordo con in suoi vicini che sia il più vantaggioso possibile per il suo Paese, magari promettendo di condividere una parte dei benefici derivanti dalla diga. Ma intanto il veleno della discordia scorre abbondante mescolato alle acque del Nilo.

Il Bacino del Nilo

 

 

 

EthiopiaSudanNileeconomydiplomacyAfricaenergyenvironmentwaterEgypt
Comments (0)
Add Comment