Il fattore estrema destra in Ucraina: un quadro composito

La percentuale di voti ottenuta dai partiti di estrema destra in Ucraina alle elezioni parlamentari del 21 luglio 2019 fu inferiore al 2.5%. Per essere precisi, la coalizione ultranazionalista raggiunse il 2.25% delle preferenze, un risultato disastroso che arrivò a tre mesi di distanza dal successo, nel voto per la presidenza, di Volodymyr Zelensky, che raggiunse il 30% al primo turno e addirittura il 73% al ballottaggio, contro l’uscente Petro Poroshenko.

Fu una vera e propria umiliazione per gli estremisti di destra, che decisero di presentarsi formando un’unica lista di candidati per le elezioni parlamentari. Corpo Nazionale, Settore Destro, Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, Congresso dei Nazionalisti Ucraini, decisero di correre sotto l’insegna del partito Svoboda (Libertà), riferimento politico delle altre formazioni di area il cui capo, Oleh Tiahnybok, apriva il gruppo da capolista. Era seguito da Andrii Biletskyi, capo del Movimento Azov e fondatore dell’omonimo Battaglione oggi protagonista nella difesa militare ucraina, da Dmytro Yarosh, presidente dell’organizzazione politica e paramilitare Settore Destro, e ancora da Andrii Tarasenko, Ruslan Koshulynskyi, Bohdan Chervak: tutti pezzi da novanta della galassia della destra radicale di Kiev, unanimemente considerati gli esponenti più in vista del nazionalismo ucraino. La lista unitaria annoverava numerosi candidati già coinvolti in episodi di antisemitismo, razzismo, omofobia. Tra loro, anche Diana Vynohradova, candidata di Settore Destro e con alle spalle due anni di carcere per complicità in un omicidio a sfondo razziale datato 2006.

Una manifestazione delle formazioni che si uniranno nella lista Svoboda a Kiev, nel 2017

 

Eppure, nonostante tutte queste premesse, tecnicamente molto appetibili per un elettorato che, stando a un pregiudizio molto radicato, sarebbe molto affascinato dalle idee di estrema destra e addirittura dal nazismo, il risultato fu disastroso. Finendo di sotto della soglia del 5% prevista dallo sbarramento proporzionale del sistema elettorale ucraino, l’alleanza di estrema destra ottenne un seggio solo grazie alla vittoria in un collegio uninominale, nella città di Ivano-Frankivsk, dove Oksana Savchuk, deputata di Svoboda, conquistò il 46.67% delle preferenze.

Perché allora, se questi sono i numeri dell’estremismo nazionalista in Ucraina, si parla così tanto dei movimenti neonazisti di Kiev, del battaglione Azov, di antisemitismo, al punto da giustificare, per la propaganda russa, la necessità di un intervento di “denazificazione” dell’Ucraina? La questione è in effetti più complessa di quanto le cifre potrebbero far sembrare.

Da un lato, vi è infatti una performance elettorale che dimostra, in maniera evidente, il basso livello di sostegno politico all’ultranazionalismo strutturale da parte della popolazione ucraina, in netta controtendenza – tra l’altro – rispetto ai successi registrati da movimenti populisti e di estrema destra in altri paesi d’Europa. Dall’altro, il processo politico cominciato nel 2014 con il conflitto nel Donbass e l’annessione della Crimea da parte della Russia, e culminato con l’invasione del 24 febbraio, hanno effettivamente creato le premesse per una crescente tolleranza da parte della società ucraina nei confronti di organizzazioni nazionaliste radicali, che si sono via via imposte, nella percezione di parte dell’opinione pubblica, come ultimi baluardi a difesa della sovranità dello Stato ucraino.

 

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Questo legame fra difesa dell’identità culturale ucraina e organizzazioni di estrema destra nasce in effetti attorno alle barricate di Euromaidan nel 2013. Durante quelle grandi e variegate proteste, non mancarono episodi di vera e propria guerriglia urbana dei movimenti neofascisti contro la polizia: queste azioni avranno un ruolo importante, accanto alle grandi manifestazioni pacifiche, nel rovesciamento del governo Yanukovich.

La saldatura fra gruppi di estrema destra e società civile sancita dal nuovo Stato vive il suo momento più alto e definitivo nella prima battaglia di Mariupol, combattuta fra il giugno e il settembre 2014 dal battaglione Azov. L’unità paramilitare dalle riconosciute simpatie neonaziste contribuì infatti, in maniera decisiva, alla riconquista della città, che venne liberata dall’occupazione dei secessionisti filo-russi. Grazie a quell’azione il battaglione Azov, insieme ai colleghi del battaglione Donbass, viene incorporato, come ricompensa, nella Guardia Nazionale Ucraina e diventa a tutti gli effetti un gruppo militare regolare, con un ruolo predominante nella definizione della strategia di guerriglia adottata dall’esercito ucraino contro le milizie pro-russe nel Donbass. Se per la popolazione ucraina il gruppo comincia quindi a costruirsi una fama eroica, grazie alla vittoria di Mariupol e ai combattimenti per la riconquista del Donbass, per organizzazioni come OSCE, Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani, Human Rights Watch, Amnesty International, il battaglione Azov è invece protagonista di crimini di guerra, torture, stupri. Ancora nel 2021 l’FBI si riferisce d’altronde al battaglione sottolineandone l’“associazione con ideologie neonaziste”, la stessa ragione per cui quaranta rappresentanti della Camera USA chiedono, senza riuscirci, che Azov venga designato dal Dipartimento di Stato come organizzazione terroristica.

La questione dell’estrema destra in Ucraina, nel frattempo, attira l’attenzione della stampa internazionale: il fenomeno non viene considerato semplicemente folcloristico, ma preoccupa anche e soprattutto in virtù del ruolo che, secondo molti, i gruppi nazionalisti ucraini svolgerebbero a livello internazionale. Fra il 2017 e il 2021 Washington Post, New York Times, Die Zeit, Time, solo per citare alcune fra le testate che se ne occupano, dedicano lunghi articoli alla crescita dell’estrema destra ucraina, mentre Facebook, nel 2019, bandisce la pagina del battaglione Azov, inserendola in un gruppo di organizzazioni soggette alle restrizioni più pesanti per incitamento all’odio, una lista che include, fra gli altri, ISIS e Ku Klux Klan.

Un altro punto importante legato alla dimensione pubblica del fenomeno del nazionalismo in Ucraina riguarda, come brevemente accennato poco sopra, la dimensione internazionale. Svoboda, il partito della destra radicale nazionalista, dal 2014 in avanti ha tagliato tutti i ponti con le affiliazioni estere, rinunciando anche alla partnership con l’Alleanza Europea dei Movimenti Nazionali, di cui aveva fatto parte per un quinquennio e che annovera fra i suoi aderenti gli italiani di Fiamma Tricolore, i fascisti inglesi nel British National Party. In passato, ne facevano parte anche il Fronte Nazionale francese, fuoriuscito nel 2011, e gli ungheresi di Jobbik, andati via nel 2016 nel tentativo di ricostruire un’identità politica più moderata. Dall’altra parte, invece, il Battaglione Azov è diventato un riferimento di primo piano nel mondo dell’estrema destra non solo in Europa, ma a livello mondiale. Stime come quella elaborata dal Soufan Center, l’organizzazione indipendente per la ricerca sulla sicurezza globale presieduta dall’ex agente FBI anti-terrorismo Ali Soufan, spiegano che dal 2014 in avanti, sarebbero, complessivamente, più di 17.000 i foreign fighters arrivati in Ucraina, da oltre cinquanta paesi, distribuendosi su entrambi i fronti dello schieramento, alcuni a sostegno delle milizie ucraine di Azov, altri dei ribelli filo-russi.

Effettivi del Battaglione Azov in marcia a Mariupol nel 2019

 

Questi elementi non possono però essere utilizzati per costruire una narrazione fuorviante di quello che è il contesto generale della società ucraina odierna. Se è vero, infatti, che il ruolo della destra radicale nella vita pubblica del paese deve essere posto sotto un costante monitoraggio, per evitare pericolosi corto circuiti tra Stato e organizzazioni militari e paramilitari rispetto a cui già da tempo vi sono numerose avvisaglie, di fatto le organizzazioni ultranazionaliste ucraine rimangono politicamente poco rilevanti e socialmente, almeno sino al 24 febbraio, ininfluenti.

Un esempio molto funzionale, da questo punto di vista, ci è dato dal Rainbow Index, elaborato ogni anno da ILGA Europe, l’associazione internazionale che si batte per i diritti di gay, lesbiche, transessuali, bisessuali e intersessuali. La graduatoria valuta il livello dei diritti umani in relazione al mondo LGBTQI di 49 paesi in Europa, analizzati secondo lo studio di oltre settanta criteri individuali che includono, fra gli altri, il riconoscimento delle identità non-binarie, i crimini d’odio, lo spazio a disposizione nella società civile. Seppur non ai piani alti della rilevazione, l’Ucraina, in questo studio, si posiziona al quarantesimo posto, davanti a paesi UE come Polonia e Lettonia, poco dietro Romania, Bulgaria e Italia e lasciando ad oltre dieci punti di distanza il paese che, secondo la propaganda di Mosca, lo starebbe denazificando: la Russia, quartultima nella graduatoria.

Un altro punto degno di nota per comprendere la situazione dell’estrema destra in Ucraina riguarda la legge sul concetto di antisemitismo. Approvata dal Parlamento di Kiev nel settembre del 2021, inserendo in maniera chiara la definizione di antisemitismo nella legislazione ucraina il testo va molto oltre numerose legislazioni di paesi UE, creando una classificazione specifica per i crimini commessi sulla base dell’odio antisemita.

Possiamo dunque fissare alcuni punti molto netti in relazione al peso dell’estrema destra nazionalista in Ucraina. Se da un lato vi è, come già specificato poco sopra, una questione molto impellente legata alla crescita dei movimenti della destra radicale nel paese e alla loro pericolosa congiunzione con diverse frange dello Stato, dall’altro appare evidente che le prospettive politiche di questi movimenti, in un’Ucraina democratica, sono praticamente nulle. Ancora, risulta poco rilevante il peso ideologico di queste organizzazioni, all’interno della discussione pubblica, per quel che concerne le questioni legate ai diritti delle minoranze sessuali, etniche e religiose, mentre va monitorata l’azione diretta dei gruppi paramilitari ucraini contro le medesime minoranze, anche in virtù dei tanti casi di violenze registrati nel paese negli ultimi dieci anni e opera, appunto, dei movimenti in questione.

A conti fatti, è proprio l’opera di “denazificazione” che la Russia di Vladimir Putin si vanta di portare avanti in Ucraina che, in effetti, sta rafforzando i movimenti di estrema destra nel paese, mettendo le basi per la definizione di un effetto esattamente opposto. L’esacerbazione del conflitto sul lungo periodo potrebbe accrescere le simpatie per i combattenti dell’estrema destra, che nel sentimento scosso di una popolazione ferita, arrabbiata, costretta a vivere in un’economia in ginocchio e fra le macerie di città distrutte, potrebbero trovare terreno molto fertile per costruire legami sociali più forti.

 

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L’Ucraina non può trascurare, in questo momento in cui la sua stessa esistenza è a rischio, il contributo militare di gruppi come il battaglione Azov per combattere la sua battaglia di sopravvivenza, ma è proprio questo contesto di emergenza e rovina (dentro cui tali organizzazioni stanno crescendo, armate e finanziate dallo stesso Stato ucraino) che pone il pericolo di una radicalizzazione della società civile in cui possono facilmente fiorire i gruppi estremisti. E’ per questo che quella di Putin sembra, a ben vedere, un’opera di “nazificazione” dell’Ucraina piuttosto che il suo contrario.

 

 

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