Il dopo-coronavirus e l’illusione della priorità unica

 Mens sana in corpore sano: è più di un antica perla di saggezza per combinare un intelletto vivace e ben nutrito (di cultura) con un fisico in salute (grazie all’esercizio e alla moderazione). E’ in realtà una ricetta per gestire la famosa “Fase 2”, che sottintende l’esigenza di accettare alcuni ineludibili trade-off.

Facciamo qualche esempio di vita quotidiana: meglio leggere il capitolo di un libro o fare mezz’ora di esercizio fisico? Meglio godersi un bicchiere di vino rosso di buona qualità o astenersi e optare per l’acqua? Meglio fare l’esperienza adrenalinica di un salto con il paracadute o starsene sdraiati sull’erba a contemplare qualcun altro che si lancia? La verità è che non ci sono risposte logiche a queste domande che valgano per tutti e in ogni situazione. E’ questione di gusti, di propensioni personali, di contingenze, di valutazione del rischio; in altre parole, è questione di priorità.

 

Veniamo allora al quadro macro della delicata fase che segue l’emergenza più acuta (speriamo anche l’ultima) del Covid-19. Le decisioni da prendere sono di tipo collettivo, e dunque riguardano direttamente la politica – intesa come governo legittimo delle scelte collettive. Per sua stessa natura, la politica deve tenere conto di priorità molteplici, di prospettive diverse, di esigenze che  non sono uguali per tutti e che vanno rispettate proprio per avvicinarsi all’ideale dell’uguaglianza nei diritti e nei doveri (tipica delle società liberali).

A fronte della fase che ci attende, cioè la convivenza con un virus che speriamo sia quasi sotto controllo ma che rimane evidentemente pericoloso, molti spingono per una forte concentrazione di risorse sulla sanità – in chiave di ulteriore contenimento del contagio attuale, di prevenzione di sue ulteriori ondate, e di preparazione per altri contagi futuri. E’ un’aspirazione condivisibile, ma sappiamo già che in qualche modo essa entrerà in contrasto con l’altra ovvia priorità, quella del sostegno all’economia e soprattutto alle attività nevralgiche per il sistema produttivo e alle fasce più vulnerabili della popolazione. In effetti, la situazione dei prossimi mesi sarà ancora più complicata di così: ci saranno vari altri settori in cui andranno investite risorse.

Chiariamo subito: virologi, epidemiologi, infettivologi possono stare tranquilli, perché abbiamo tutti ben compreso e interiorizzato che le cose non torneranno alla “normalità” per parecchio tempo. Lo hanno capito i governi, le imprese, e i semplici cittadini. Non è però questo il punto del contendere, ma un altro: proprio perché la pandemia e i lockdown hanno prodotto effetti macroscopici e durevoli, dobbiamo prepararci a ragionare in modo più efficace in termini di trade-off. Immaginare dunque che qualsiasi Paese – Italia compresa – possa concentrarsi quasi esclusivamente sul rafforzamento della sanità pubblica è un’illusione. Basti pensare ad almeno tre settori nei quali proprio il Covid-19 e il conseguente blocco delle attività richiedono ora uno sforzo che probabilmente si sta sottovalutando.

Il primo è quello dell’apparato di sicurezza (civile e in parte militare): è molto probabile un massiccio aumento di episodi criminali (anche i criminali hanno smesso di “lavorare” e dunque di guadagnare). Ciò avverrà proprio mentre le forze dell’ordine, a tutti i livelli, saranno impegnate anche nella delicata e capillare operazione di “enforcement” legata alle regole di distanziamento, ai comportamenti in caso di possibile contagio, ai rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, etc.

Si dovrà dunque investire, e molto, nella sicurezza, in termini di personale, addestramento e forse attrezzature tecnologiche. Inoltre, l’emergenza sanitaria ha mostrato che – almeno in Italia – si deve aggiornare e rivedere l’intera procedura per la gestione delle cosiddette “emergenze complesse”, coinvolgendo anche ove necessario le forze armate, i servizi di intelligence, e probabilmente chiarendo il rapporto tra governo centrale e autorità locali. Anche qui, si tratta di un’operazione che richiede risorse, sempre in chiave di pubblica sicurezza.

Un secondo settore di azione urgente è quello del controllo dei flussi migratori, che d’ora in poi saranno automaticamente anche una questione di sicurezza sanitaria. Anche qui, c’è la necessità immediata di investimenti – organizzativi, di personale, tecnologici, sia alle frontiere sia su tutto il territorio nazionale. Se ricordiamo che l’immigrazione ha quasi spaccato l’Europa e provocato profonde fratture all’interno della società italiana prima del problema Covid-19, è facile comprendere che molto peggio potrebbe andare in presenza di nuove ondate infettive causate dai flussi migratori in entrata.

Un terzo settore che necessita di investimenti (anche statali) è quello del trasporto, sia pubblico che privato. Vi sono due motivazioni parallele: da un lato, il traffico automobilistico privato tenderà ad aumentare visto che i mezzi pubblici di trasporto saranno penalizzati (causa distanziamento, con tempi di attesa più lunghi e per alcuni con una scelta di non usarli affatto). L’ aumento del traffico privato porrà rapidamente una questione di inquinamento nei centri urbani, che si lega a sua volta all’esigenza (già ben nota e finora mal gestita) di rinnovare il parco-auto per togliere dalla circolazione quelle più vecchie e inquinanti; pensare a nuovi e diversi incentivi all’acquisto (soprattutto dei modelli meno costosi) è logico anche in chiave di sostegno all’industria e dunque all’occupazione. Tutto ciò va però visto in parallelo con un tentativo di incrementare e rinnovare anche i mezzi di trasporto pubblici, altro obiettivo preesistente alla pandemia e che richiede ulteriori investimenti.

Da questa rapida rassegna, certamente incompleta, emerge insomma che non è realistica una “Fase 2” in cui ci si preoccupi soltanto di salute pubblica e di ripresa economica – stante che era già totalmente priva di senso una contrapposizione tra queste due priorità, da mettere invece in rapporto di trade-off perché senza l’una non c’è l’altra, e viceversa.

La priorità unica è comunque un lusso che nessuna società complessa può permettersi, e che una politica seria non può neppure contemplare, se non per brevissimi periodi e in situazioni assolutamente eccezionali. Dovremo cercare, ciascuno nella sua area di competenza e di responsabilità individuale, di contemperare priorità multiple. Dovremo mantenere un difficile e instabile equilibrio tra breve e lungo termine, tra desiderio di libertà e raccolta di preziose informazioni, tra spinte economiche e tutela della salute pubblica. Mens sana in corpore sano.

 

 

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