Il cigno bianco di Donald Trump

 Come annunciato dallo stesso Donald Trump nelle scorse settimane, il Presidente in carica sta contestando un’eventuale vittoria elettorale del suo avversario, prima ancora che tutte le schede siano state conteggiate. Dichiarando che “questa è una frode”, il Comandante in Capo ha creato le premesse per una vera crisi costituzionale, che naturalmente si deve sperare non si materializzi.

Se le conseguenze globali della pandemia (e dei relativi lockdown) sono state il “cigno nero” del 2020, gli sviluppi in corso a seguito del voto presidenziale americano sono invece un evento largamente prevedibile – una sorta di cigno bianco insomma. Sapevamo infatti che il Presidente, soprattutto se posto di fronte al rischio concreto di perdere contro Joe Biden, avrebbe messo espressamente in dubbio la legalità dei voti postali. Evidentemente, con il team che ha gestito la campagna elettorale hanno valutato che le probabilità di sconfitta a questo punto siano elevate, mettendo così in atto la strategia di “attacco preventivo” che era stata prefigurata e preparata da tempo: da qui anche il riferimento a un possibile ricorso alla Corte Suprema, che di fatto dovrà, semmai, attendere comunque i passaggi formali nei singoli Stati e nelle corti locali.

Le parole e l’atteggiamento dei due contendenti nelle prime ore dopo la chiusura dei seggi riflettono ovviamente le rispettive personalità, anch’esse ben note non solo agli osservatori più attenti ma anche all’opinione pubblica americana. Il Presidente Trump ha dichiarato di aver vinto, anche se in sostanza teme di essere dichiarato perdente nei prossimi giorni. Lo sfidante Biden ha chiesto di attendere il conteggio di tutte le schede, sottolineando che non spetta ai due candidati attribuirsi la vittoria. Un contrasto lampante, che conferma tutto quanto si è visto e sentito in campagna elettorale.

Sempre restando nel solco di quanto è già accaduto a più riprese sotto l’attuale amministrazione – un altro cigno bianco, si potrebbe dire – dalla Casa Bianca sono state pronunciate parole che alludono a un complotto, quello per cui l’eventuale sconfitta dipenderebbe soltanto dai voti conteggiati prima o dopo il 3 novembre. Le teorie del complotto hanno la peculiarità di non poter essere smentite, poiché per definizione i loro responsabili restano nell’ombra: se la presunta frode viene evitata è grazie a chi l’ha svelata (il quale non ritiene di doverla dimostrare), mentre se si verifica viene appunto denunciata per inficiare magari un risultato elettorale. In estrema sintesi, non c’è via d’uscita dalla logica dei complotti. Se davvero si arriverà fino alla Corte Suprema, i nove giudici – compresi i tre nominati durante questo mandato repubblicano – avranno un lavoro delicato.

Vedremo se a decidere l’esito di queste elezioni saranno uno o due “swing state”, e magari addirittura la Corte Suprema: in ogni caso, si tratterà di un vero referendum su Donald Trump, come il Presidente repubblicano ha voluto con tutte le sue forze e come l’avversario democratico ha lasciato che fosse.

 

 

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