Il Cattolicesimo nella politica italiana con gli ultimi tre papati

La chiesa cattolica ha sempre rappresentato una presenza importante – e secondo alcuni ingombrante – nella vita politica e sociale italiana. Le modalità di questa presenza sono tuttavia cambiate in modo significativo negli ultimi decenni.

A livello politico, nel Secondo Dopoguerra l’influenza del cattolicesimo in politica è mediata soprattutto dal ruolo della Democrazia Cristiana (DC), che ha un peso fondamentale in tutti i governi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale all’inizio degli anni Novanta. La DC è un partito confessionale anomalo, in quanto si caratterizza per un forte pluralismo interno, con fazioni di orientamento ideologico molto diverso: tanto da essere considerata da alcuni un “arcipelago” o un “microcosmo” della società italiana. Nel frattempo, anche il ruolo della Chiesa si evolve: in particolare, il Concilio Vaticano II (1962-5) rappresenta un forte momento di “aggiornamento” per il cattolicesimo, con aperture in tema di democrazia, diritti civili e sociali, e sul ruolo dei laici a supporto dell’istituzione ecclesiastica.

Cardinali all’ingresso della Cappella Sistina per il conclave del 2005

 

Il rinnovamento della Chiesa postconciliare

Questo apre la strada a scenari inediti a livello politico che si concretizzano, in particolare in America Latina, con l’esperienza della Teologia della Liberazione, fortemente orientata a sinistra; e, in Italia, in un avvicinamento alla metà degli anni Settanta fra la DC e il Partito Comunista (PCI), definito “compromesso storico”. A livello di società civile, si assiste a un crescente processo di secolarizzazione, che rende possibili in quel decennio la legalizzazione di divorzio e aborto nonostante le contrarietà della Chiesa. Nello stesso tempo, però, anche grazie ai fermenti innescati dal Concilio, l’associazionismo cattolico acquisisce una nuova vitalità con esperienze di vario tipo, che vanno dalle associazioni cattoliche di sinistra che partecipano alla contestazione a esperienze di segno più conservatore, come Comunione e Liberazione. Questo nuovo associazionismo gioca anche un ruolo importante nel canalizzare i voti cattolici verso la DC al nord; mentre al sud, dove il tessuto associativo è più povero, le parrocchie svolgono ancora un ruolo fondamentale.

Il processo di rinnovamento del ruolo sociale della Chiesa prosegue negli ultimi decenni del Novecento con il papato del polacco Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II (1978-2005), che non a caso è ricordato proprio come il “Papa dei movimenti”. Sotto la sua guida, la presenza sociale organizzata dei cattolici – con lo sviluppo di realtà associative esterne e parallele alla gerarchia della chiesa – viene moltiplicata e potenziata. Nello stesso tempo, però, il fiero anticomunismo del Papa pone un argine alle esperienze di contiguità fra sinistra marxista o post-marxista e mondo cattolico.

A livello internazionale questo implica un forte ridimensionamento del ruolo della Teologia della Liberazione, ma soprattutto un impegno della Santa Sede in senso anticomunista. Questo attivismo si concretizza in particolare in Polonia, attraverso la creazione nel 1980 del sindacato cattolico Solidarnosc, che avrà un ruolo fondamentale nella crisi del blocco comunista che porterà alla sua caduta tra il 1989 e il 1991.

In Italia, l’avvento del nuovo Papa coincide con il definitivo tramonto delle ipotesi di compromesso storico e con l’ingessamento del sistema di governo del cosiddetto “Pentapartito” (DC-PSI-PLI-PRI-PSDI).

Giulio Andreotti e Karol Wojtyla in Piazza San Pietro negli anni ’80

 

Chiesa e politica negli anni ’90

Questa situazione cambia improvvisamente all’inizio degli anni Novanta, quando un’ondata di processi conosciuta come “Tangentopoli” o “Mani pulite” travolge completamente il sistema dei partiti, sradicando di fatto i partiti di governo e innescando processi di cambiamento in quelli di opposizione. Sia a sinistra (PCI) sia a destra (MSI), i partiti anti-sistema moderano le proprie posizioni, cambiano nome e si propongono come attori democratici in un contesto di alternanza. Anche a causa dell’adozione di un sistema elettorale fortemente orientato in senso maggioritario, l’Italia si trasforma così da un “bipartitismo imperfetto”, bloccato dall’impossibilità di un’alternativa al ruolo di governo della DC, in una democrazia “normale”, con l’alternanza al potere di due grandi blocchi di centrodestra e di centrosinistra.

La Chiesa Cattolica inizialmente è spiazzata da questa situazione, che la priva del proprio referente politico tradizionale (la DC) e attivisti cattolici promuovono progetti di ricostruzione di un nuovo centro cattolico che, nel nuovo sistema maggioritario e bipolare, sono impraticabili.

Nel corso degli anni Novanta, tuttavia, questa situazione di apparente crisi inizia a manifestarsi come un’opportunità, quando tutte le forze politiche (con poche eccezioni rappresentate dalla sinistra radicale, dal Partito radicale e da una parte del mondo liberale) iniziano a corteggiare l’elettorato cattolico. Nel blocco di centrodestra, in particolare, tutti i principali partiti rivendicano in qualche modo un’identità cattolica, seppure di diverso tipo: più identitaria quella della Lega Nord, più tradizionalista quella di Alleanza Nazionale (AN – nata dall’evoluzione del MSI), e ispirata dal cattolicesimo liberale quella di Forza Italia.

Anche a sinistra, tuttavia, in controtendenza con il resto dell’Europa occidentale, l’influenza del cattolicesimo si fa sentire, con una serie di raggruppamenti politici centristi e progressisti che si coagulano poi negli anni Duemila prima costituendo la Margherita e in seguito confluendo nel Partito Democratico (PD) con un ruolo di co-fondatori.

Il ruolo della Chiesa Cattolica, che era in precedenza canalizzato istituzionalmente dalla DC, si trasforma così in quello di un potente gruppo di interesse capace di influenzare forze politiche molto diverse fra loro. Inoltre, il Vaticano è anche in grado di svolgere un ruolo di advocacy facendo appello direttamente alla popolazione italiana: la quale, nonostante i perduranti processi di secolarizzazione e gli scandali all’interno del clero cattolico legati a fenomeni di pedofilia, continua a considerare la Chiesa come un’istituzione particolarmente affidabile in un periodo di forte incertezza politica.[1]

In questa fase, per il ruolo della Chiesa nel nostro paese diventa centrale la figura di Camillo Ruini, prelato bolognese che nel 1991 viene nominato presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Ruini svolge questo ruolo con un protagonismo del tutto nuovo, e vede nell’instabilità politica italiana un’opportunità per un rinnovamento del ruolo della Chiesa. Nasce così il “Progetto Culturale”, un’iniziativa della CEI che mira a potenziare il ruolo del cattolicesimo organizzato nella società civile: da un lato sostenendo e coordinando iniziative e attori già presenti sul territorio e dall’altro prendendo posizione sui grandi temi e sui dibattiti che coinvolgono la società civile e il mondo della cultura.

Durante gli anni Novanta iniziano infatti a porsi in modo crescente una serie di nuove questioni pubbliche che chiamano in causa il ruolo della Chiesa e dei valori religiosi: sia per le crescenti domande di gruppi come la comunità LGBT+, che iniziano a ottenere riconoscimento giuridico in alcuni paesi dell’Europa del nord (in particolare per quanto riguarda le unioni fra persone dello stesso sesso); sia per le crescenti dinamiche di pluralismo religioso e, in alcuni casi, di conflitto interreligioso. Queste ultime portano il Vaticano a cercare sponde di dialogo e di ecumenismo a livello internazionale (anche in un’ottica di protezione delle minoranze cristiane in Medio Oriente) e, in ambito italiano, a confrontarsi con le questioni poste da una crescente immigrazione musulmana.

Camillo Ruini

 

La Chiesa e le “guerre culturali”

Se negli anni Novanta queste dinamiche sono ancora largamente sottotraccia, almeno in Italia, nel decennio successivo una serie di circostanze le imporranno all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media, determinando l’inizio di un periodo di vere e proprie “guerre culturali”.[2] Da un lato, questa dinamica è un effetto degli attentati dell’11 settembre 2001 e delle successive ondate di attacchi jihadisti, che cambiano per sempre i termini del dibattito sul multiculturalismo e il ruolo dell’Islam negli Stati Uniti e in Europa, portando in auge concetti come quello huntingtoniano di “scontro di civiltà”. Dall’altro, è la conseguenza della crescente secolarizzazione, in particolare dei settori più giovani della popolazione occidentale, e della maturazione di una serie di lotte per i diritti che erano iniziate nei decenni precedenti, come quelle per i diritti LGBT+ e per la legalizzazione dell’eutanasia. Nel frattempo nuove tecnologie, come la “pillola abortiva” RU486 o le nuove tecniche di fecondazione in vitro, rimettono in discussione questioni come l’interruzione volontaria di gravidanza e la fecondazione assistita.

In Italia questi dibattiti sono particolarmente intensi in quanto i governi di centrodestra che governano il paese per quasi tutti gli anni Duemila decidono di farsi paladini delle posizioni conservatrici su buona parte di queste questioni. Nascono così provvedimenti legislativi come la Legge Bossi-Fini del 2002 in materia di immigrazione, o la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita (che l’anno successivo sarà oggetto di un referendum abrogativo, non coronato da successo, preceduto da un’accesa campagna). Il governo e le forze politiche che ne fanno parte (in particolare la Lega nord) si impegnano direttamente contro i progetti di costruzione di moschee nel Paese e a favore di simboli cristiani come la presenza del crocefisso nelle scuole (oggetto di due sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani sul finire del decennio).

Quanto al centrosinistra, e in particolare il PD, sulle questioni morali e di bioetica si trova spesso profondamente diviso fra la sua anima cattolica, sensibile ai richiami della Chiesa, e quella post-comunista, che tende a proporre posizioni più laiche. Si realizza così una sorta di paradosso che rende l’Italia un caso quasi unico in Occidente, con due coalizioni opposte ma entrambe influenzabili dalla Chiesa.[3]

Manifesti per il referendum sulla fecondazione assistita

 

Le divisioni nella Chiesa

Quest’ultima appoggia risolutamente le posizioni conservatrici sui temi morali e di bioetica, in un periodo in cui, per l’infermità di Papa Wojtyla, cresce l’influenza del teologo conservatore Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che diventa poi papa nel 2005 con il nome di Benedetto XVI. In questi anni la Chiesa italiana mostra una capacità di influenzare in modo significativo il dibattito legislativo italiano che si dispiega attraverso una complessa strategia.

Sotto questo punto di vista, è emblematico il dibattito sul riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso avvenuto fra il 2006 e il 2007, durante una breve parentesi di governo di centrosinistra. Quando l’esecutivo pone il tema in discussione, il Vaticano interviene nel dibattito su diversi fronti: attraverso interventi mediatici del Papa, di Ruini e di altri importanti prelati; attraverso un’azione di lobbying diretta sui leader cattolici del centrosinistra, come Romano Prodi e Francesco Rutelli; e attraverso l’organizzazione e il supporto a eventi di massa promossi dall’associazionismo cattolico, come il Family Day del 12 maggio 2007 a Roma, che pone una pietra tombale sul disegno di legge, rimandandone l’approvazione di quasi un decennio.

Sui temi relativi all’immigrazione e alla convivenza multiculturale, la Chiesa appare invece più spaccata. Da un lato, le sue posizioni ufficiali sono in genere improntate a istanze di accoglienza e di rispetto dei diritti (talvolta con la condizione della reciprocità rispetto alle minoranze cristiane in Medio Oriente). Sul territorio, tuttavia, la comunità cattolica mostra posizioni molto diverse e profonde divisioni. Da un lato, abbiamo ecclesiastici che accolgono la preghiera dei musulmani nei locali della parrocchia; dall’altro, prelati che partecipano attivamente alle manifestazioni anti-moschee della Lega Nord. Questa divisione si riflette anche ai vertici, con figure fortemente improntate al dialogo interreligioso e al multiculturalismo, come gli arcivescovi di Milano Martini e Tettamanzi; e altre che dichiarano esplicitamente la loro preferenza per l’immigrazione cristiana rispetto a quella musulmana, come l’arcivescovo di Bologna Biffi.

Queste divisioni, anziché ricomporsi, giungono a esasperarsi nel decennio successivo, quando le posizioni anti-immigrazione, anti-islamiche e anti-multiculturaliste vengono portate avanti in tutta Europa da una serie di partiti populisti di destra che ridefiniscono il senso dell’impegno cristiano in termini identitari. Per queste forze, non è più tanto importante la dimensione del believing (credere) o del behaving (comportarsi in modo corretto), quanto quella del belonging (appartenenza): la militanza cristiana non si concretizza più quindi nella pratica religiosa regolare o nell’impegno per la giustizia sociale, ma nella difesa dell’identità cristiana dell’Europa e dell’Occidente di fronte alle minacce poste (secondo i sostenitori di questo punto di vista) dalla secolarizzazione imperante e dalla cosiddetta “invasione” islamica. Tali posizioni diventano tanto più problematiche per la Chiesa quanto più i leader politici non esitano a criticare gli stessi ecclesiastici, se ritenuti troppo morbidi verso le comunità immigrate e i presunti attacchi all’identità cristiana dell’Italia e dell’Occidente.

Pierferdinando Casini al Family Day del 2007

 

Le innovazioni di Bergoglio

Queste tensioni all’interno della Chiesa cattolica italiana e globale si fanno ancora più acute nel 2013, con le improvvise e inaspettate dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione al soglio papale di Jorge Mario Bergoglio con il nome di Francesco I. Benché il nuovo Papa non sia ascrivibile ad ambienti di sinistra (piuttosto che nella Teologia della Liberazione, egli si è formato all’interno della corrente della Teologia del Popolo, fortemente influenzata dall’idea peronista di comunità organica), le sue posizioni di apertura su temi come quelli dell’immigrazione e dell’omosessualità gli attirano l’ostilità degli ambienti più conservatori della Chiesa. Alcuni di loro, i cosiddetti “sedevacantisti”, rifiutano la legittimità stessa dell’elezione di Bergoglio e hanno continuato a considerare Ratzinger come il legittimo pontefice.

Papa Francesco, che al contrario risulta particolarmente gradito ad una fetta consistente dell’elettorato di centrosinistra e ai laici, si distingue anche per l’introduzione di nuove questioni nel discorso pubblico della Chiesa. In particolare, l’enciclica Laudato si’ (2015) è il primo documento papale dedicato in modo primario alla questione dell’ambiente e alla crisi ecologica. Sotto la sua guida, il Vaticano ammorbidisce in parte anche le sue posizioni su questioni come i diritti LGBT+: anche se le dottrine ufficiali della Chiesa non cambiano in modo sostanziale, l’energia messa in campo per sostenere le forze conservatrici è sicuramente minore (come dimostrato per esempio dal mancato supporto ufficiale al Family Day del gennaio 2016 da parte del Vaticano). Il che rende possibile, nel 2016, l’approvazione della Legge Cirinnà, che rende l’Italia l’ultimo Paese in Europa occidentale a riconoscere legalmente le unioni fra persone dello stesso sesso.

Jorge Mario Bergoglio, papa dal 2013

 

 

Per sintetizzare, quindi, il rapporto fra la Chiesa Cattolica e la politica italiana è profondamente cambiato negli ultimi decenni, per una serie di ragioni:

  • L’evoluzione del sistema politico italiano da un sistema bloccato incentrato sulla DC a un assetto multipolare, con il conseguente frazionamento dei cattolici in forze politiche di diversi orientamenti e la trasformazione della Chiesa in un potente gruppo di interesse, senza un referente politico privilegiato ma in grado di influenzare diversi schieramenti.
  • L’accresciuta secolarizzazione della società italiana e i processi di europeizzazione, che hanno portato questioni prima tabù, come quella dei diritti LGBT+, a diventare mainstream ed essere accettate come legittime anche da una parte dei fedeli cattolici.
  • L’evoluzione della Chiesa, che ha potenziato il ruolo del laicato e della società civile cattolica a fronte di una crisi delle vocazioni, ed è giunta a introdurre nel suo discorso tematiche prima trascurate, come le lotte per i diritti, la giustizia sociale e la democrazia; e, più di recente, le tematiche ambientali.
  • La polarizzazione politica della comunità cattolica, che ha portato in alcuni casi i leader politici a porsi come punti di riferimento ideali su questioni come l’immigrazione, anche in antitesi a quanto sostenuto dal Vaticano, con la conseguenza di una sempre più problematica gestione della comunità dei fedeli da parte delle gerarchie ecclesiastiche.

 

 


Note:

[1] Secondo una serie di sondaggi condotti tra la fine degli anni 2010 e l’inizio dei 2020, circa metà della popolazione italiana afferma ancora di avere molta fiducia nella Chiesa cattolica come istituzione. Ovviamente, le percentuali sono più alte fra i cattolici praticanti e fra coloro che hanno posizioni politiche più conservatrici. Al contrario, le persone non religiose per lo più non manifestano fiducia verso la Chiesa come istituzione, ma in molti casi apprezzano invece la figura di Papa Francesco.

[2] Luca Ozzano and Alberta Giorgi, European Culture Wars and the Italian Case (Routledge, 2016).

[3] Luca Ozzano, The Masks of the Political God: Religion and Political Parties in Contemporary Democracies (Lanham: Rowman and Littlefield, 2020).

 

 

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