I dilemmi della pax cinese

Questo articolo è pubblicato sul numero 4-2025 di Aspenia

Dal 2022 la Cina è diventata promotrice di tre nuove iniziative globali: la Global Security Initiative (GSI), la Global Development Initiative (GDI) e la Global Civilization Initiative (GCI). Più di recente, nel settembre 2025, Xi Jinping ha anche preannunciato una Global Governance Initiative (GGI), che per ora non è ancora entrata nella fase operativa. Nel complesso, queste iniziative aiutano a comprendere quale sia il modello di ordine proposto dalla Cina sotto la leadership di Xi.

 

L’ORDINE GLOBALE PROPOSTO DALLA CINA. Le nuove iniziative globali includono diversi elementi: una serie di critiche all’ordine internazionale contemporaneo, in particolare al ruolo degli Stati Uniti e dell’Occidente, dei loro valori politici e delle loro strategie di politica estera; i principi generali sui quali Pechino basa la propria visione dell’ordine mondiale; una serie di proposte politiche e istituzionali alternative.

Questi documenti partono, dunque, da una posizione critica verso l’ordine internazionale a guida occidentale, definito sia come incapace di fornire soluzioni efficaci per i problemi più pressanti del mondo contemporaneo – dai conflitti interstatali al cambiamento climatico e alle crescenti disuguaglianze – sia iniquo, in quanto espressione politica e ideologica di una egemonia occidentale ormai tramontata. Ricorre spesso la critica alla cosiddetta “mentalità da guerra fredda”, ovvero la presenza e il consolidamento di alleanze politico-militari tra Stati liberaldemocratici.

A questa crisi dell’ordine liberale internazionale la Cina risponde con una nuova e articolata proposta ideologica basata sull’obiettivo di costruire una “Comunità globale dal destino condiviso”: di fatto, una proposta di ordine caratterizzata dalla leadership politica, tecnologica ed economica cinese, dalla centralità della sovranità statale e da un profondo pluralismo politico e normativo, secondo il quale tutti i tipi di regimi politici devono essere considerati come pari sul piano della legittimità politica. In questo senso le iniziative globali della Cina disegnano un ordine internazionale in cui il “dialogo tra civiltà” si oppone alla teleologia liberale del mondo successivo alla guerra fredda, ovvero all’idea che la modernizzazione economica porti necessariamente, nel lungo periodo, a forme di società aperta.

 

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Negli ultimi anni la Cina è emersa non solo come potenza economica, ma anche come potenza normativa impegnata attivamente nel rimodellare discorso e narrazioni sulla governance globale. Il concetto di “potenza normativa” è tradizionalmente associato all’Unione Europea, in riferimento alla sua capacità di produrre norme e valori influenzando il comportamento degli altri attori internazionali attraverso la diffusione di principi, standard e pratiche – spesso considerate universalmente valide dai paesi occidentali. Più di recente, questa definizione è stata applicata anche alla Repubblica popolare: si è discusso se parallelamente alla sua crescita economica e politica, essa possa essere a sua volta descritta come una potenza normativa, ovvero un attore capace di plasmare norme, regole e istituzioni globali in linea con i propri valori politici e interessi strategici.

A differenza dell’UE, che pone al centro della propria politica estera norme di tipo liberaldemocratico, la Cina promuove un insieme diverso di principi, radicati nella sovranità, nella non ingerenza, nella stabilità politica e nello sviluppo economico guidato dal Partito-Stato. Questi valori risultano particolarmente attrattivi per molti paesi del Sud globale, offrendo quella che viene percepita molto spesso come un’alternativa praticabile all’ordine liberale conosciuto a partire da Bretton Woods. Il modo in cui la Cina comunica il proprio messaggio globale ha conosciuto trasformazioni significative sia nella forma che nei contenuti.

Per quanto riguarda la proiezione esterna e la politica estera, al centro del discorso cinese vi è la promozione di concetti quali Comunità globale dal destino condiviso, Armonia senza Uniformità, Cooperazione allo Sviluppo sud–sud, Vero Multilateralismo e Sicurezza indivisibile. Ognuna di queste espressioni porta con sé un ricco significato storico e ideologico. Tuttavia, considerate insieme, esse delineano un quadro coerente che sostiene le ambizioni della Cina in termini di leadership globale, precisamente sul piano normativo. In particolare, tali concetti mirano a rimodellare le regole e le istituzioni della governance globale proponendo alternative alle norme liberali occidentali — soprattutto quelle centrate sui diritti individuali, sull’interventismo e sul multilateralismo.

 

LA GLOBAL SECURITY INITIATIVE. La GSI, lanciata nel 2023, ha due scopi distinti. In primo luogo, è un manifesto della visione cinese dell’ordine internazionale nel campo della sicurezza. Contiene le principali proposte di Xi Jinping per ridisegnare le norme di sicurezza internazionale in linea con gli interessi e i valori abbracciati dalla Cina e da altri sistemi autoritari.

Da questo punto di vista la GSI propone un superamento della “mentalità da guerra fredda” attraverso la promozione di un sistema basato sulla centralità della sovranità e della non interferenza, considerate in contrapposizione a dottrine di ispirazione liberale quali la Responsibility to Protect (R2P) o l’interventismo umanitario, criticati come espedienti per cambiamenti di regime favorevoli agli interessi occidentali. Uno dei principi centrali della GSI è il rispetto per gli interessi legittimi di sicurezza delle grandi potenze. Questo concetto è presentato in opposizione al consolidamento e all’espansione delle alleanze a guida americana, ovvero la NATO in Europa e le alleanze bilaterali con Giappone, Corea del Sud, Australia e Filippine in Asia orientale. Ciò violerebbe, secondo questa prospettiva, i legittimi diritti delle grandi potenze, quali Cina e Russia, che di fatto rivendicano il diritto a una sfera di influenza nella loro regione. Da un lato, questo concetto viene giustificato per legittimare la guerra di invasione russa dell’Ucraina, attribuendone la causa all’espansione della NATO. Dall’altro, Pechino rivendica come legittimo il tentativo di erodere l’efficacia delle alleanze a guida americana e di stabilire una sua sfera di influenza in Asia orientale.

La GSI promuove anche il principio del “vero multilateralismo”, sempre presentato in opposizione al presunto egemonismo e alla mentalità da guerra fredda occidentali, ovvero alla cooperazione nell’ambito della sicurezza tra democrazie. Secondo questo concetto, solo i meccanismi internazionali non basati su comunanza ideologica possono essere definiti realmente multilaterali. L’ONU rappresenta l’istituzione multilaterale per eccellenza. Il “vero multilateralismo” si accompagna anche a un rafforzamento del ruolo cinese in forum regionali o interregionali in cui Pechino esercita la sua leadership, come la Shanghai Cooperation Organization (SCO), i BRICS, il Forum Cina-Africa per la Pace e la Sicurezza, il Forum di Xiangshan e il Meccanismo C5+Cina.

La GSI persegue anche un secondo e più pragmatico obiettivo: creare un quadro per organizzare, coordinare e legittimare le politiche emergenti della Cina nel campo della cooperazione in materia di sicurezza e della gestione dei conflitti. Nel campo della mediazione dei conflitti, la guerra in Ucraina – definita da Pechino come “crisi ucraina” – è stato il primo banco di prova per la Global Security Initiative. Dopo un’iniziale proposta di pace nel 2023, Pechino ha assunto una posizione più vicina alla Russia, rafforzando la cooperazione economica, tecnologica e diplomatica.

Parallelamente, il paese ha intensificato la propria azione diplomatica in Medio Oriente, dove la GSI ha avuto maggiori successi. Nel 2022 il vertice Cina-paesi arabi ha prodotto la “Dichiarazione di Riad”, che riconosce il ruolo cinese nella mediazione regionale. Nel marzo 2023 Pechino ha facilitato la ripresa dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e Iran, promuovendo un’immagine di potenza stabilizzatrice alternativa agli Stati Uniti.

In seguito, il paese ha cercato di proporsi come mediatore anche nel conflitto israelo-palestinese. Un documento del 2023 ha chiesto un cessate il fuoco, assistenza umanitaria e una soluzione basata su due Stati entro i confini del 1967. Nel luglio 2024, la “Dichiarazione di Pechino” ha riunito 14 fazioni palestinesi, che si sono impegnate a promuovere l’unità nazionale e la creazione di uno Stato palestinese sovrano. Sebbene questi sforzi abbiano prodotto risultati a dir poco limitati, sono considerati funzionali a consolidare l’immagine della Cina quale potenza responsabile nel Sud globale.

Dalla GSI discende anche un ampliamento del ruolo della Cina nelle missioni di peacekeeping dell’ONU e nella cooperazione di polizia internazionale. Nel quadro del peacekeeping, il paese sostiene i principi di consenso fra le parti, imparzialità e non uso della forza se non per autodifesa, e la tutela della sovranità statale, opponendosi a interventi ispirati alla dottrina R2P. L’Africa è il principale teatro di queste iniziative: Pechino promuove forum come il China-Africa Defense and Security Forum e sostiene l’Unione africana, favorendo “soluzioni africane a problemi africani”.

Parallelamente, la Cina ha consolidato ed esteso la cooperazione e l’assistenza nel settore della polizia internazionale e della sicurezza interna tramite accordi bilaterali, esportazione di tecnologie di sorveglianza e addestramento congiunto. Queste iniziative, spesso a basso profilo, mirano a proteggere interessi economici e comunità cinesi all’estero, ma hanno sollevato timori di ingerenza, repressione o spionaggio. Tale espansione evidenzia la tensione tra il principio di non ingerenza e la necessità di proteggere crescenti interessi globali. Inoltre, queste attività di cooperazione hanno spesso favorito il consolidamento di regimi autocratici o fenomeni di regressione autoritaria.

 

LA GLOBAL DEVELOPMENT INITIATIVE. La GDI è stata annunciata da Xi Jinping durante la settantaseiesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2021. Questa iniziativa ha ricevuto consistenti riscontri positivi a livello ONU, soprattutto alla luce delle serie difficoltà nell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile incontrate dalle Nazioni Unite. Per questo motivo, l’ONU avrebbe mostrato un sostegno crescente alla strategia discorsiva cinese incentrata su concetti quali “vero multilateralismo” e “Comunità globale dal destino condiviso”. Ciò avviene anche perché la GDI si allinea strettamente agli Obiettivi di Sviluppo sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite, rafforzando l’importanza del multilateralismo e del ruolo dei paesi in via di sviluppo nell’affrontare le sfide globali. Da una prospettiva ONU, integrando gli SDGs nel proprio quadro di riferimento il discorso di Pechino promuove un’agenda multilaterale finalizzata al raggiungimento di obiettivi quali lo sradicamento della povertà, l’istruzione di qualità e l’azione per il clima.

 

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Allo stesso tempo, la GDI sfida il regime occidentale dei diritti umani e le concezioni di sviluppo che lo accompagnano. L’approccio cinese allo sviluppo nell’ambito della GDI è legato alla sua peculiare interpretazione dei diritti umani. A differenza della prospettiva occidentale, che pone l’accento sui diritti politici e civili, la Cina attribuisce priorità a quelli economici e sociali, considerando lo sviluppo economico come diritto fondamentale e prioritario rispetto agli altri.

Questa visione è chiaramente parte della narrazione della GDI, che vede nello sviluppo il prerequisito per la protezione e la promozione dei diritti umani: migliorare gli standard di vita, promuovere lo sviluppo economico delle diverse popolazioni, ridurre le disuguaglianze e assicurare una crescita economica sostenibile fondata su una reale “economia verde”, sulla base dei percorsi di sviluppo seguiti dai singoli paesi, senza riferimento alle libertà civili né tantomeno al sistema politico.

Anche la questione dell’innovazione svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della GDI, in particolare per quanto riguarda il modo in cui i paesi possono sfruttare la tecnologia per raggiungere lo sviluppo economico. Attualmente, ciò include l’uso delle tecnologie digitali per migliorare l’istruzione e l’assistenza sanitaria, nonché l’adozione di tecnologie verdi per promuovere la sostenibilità ambientale. Considerando che i leader cinesi sottolineano da sempre l’importanza dei progressi tecnologici al fine di superare le sfide dello sviluppo sostenibile, ci si aspetta che la GDI possa essere utile anche in riferimento alla questione della sovracapacità delle industrie cinesi, indirizzando risorse ed esperienze in eccesso verso paesi esteri, europei o collocati nel cosiddetto Sud globale.

 

LA GLOBAL CIVILIZATION INITIATIVE. La GCI è stata lanciata nel marzo 2023 come complemento alla GSI e alla GDI. Il governo cinese la presenta in buona sostanza come un’iniziativa diplomatica e culturale volta a promuovere il dialogo e la conoscenza reciproca tra civiltà, favorire la comprensione reciproca tra culture diverse, facilitare gli scambi tra i popoli. La GCI mira a sostenere le cosiddette quattro “advocacies congiunte”:

  • il rispetto della diversità delle civiltà;
  • la promozione dei valori comuni dell’umanità;
  • l’importanza dell’eredità e dell’innovazione delle civiltà;
  • il rafforzamento degli scambi e della cooperazione internazionali tra i popoli.

La GCI sostiene che i diritti individuali vadano considerati come relativi e storicamente contingenti – di fatto prodotti dell’Occidente – invitando a esplorare percorsi di sviluppo differenti, radicati nelle caratteristiche specifiche delle diverse civiltà. Di conseguenza, si afferma che per la Cina e altri paesi del Sud globale “la modernizzazione non implica necessariamente l’occidentalizzazione”. In pratica, la GCI aspira a costruire una coalizione di Stati affini che privilegiano la sovranità e la non-ingerenza rispetto alle norme riconducibili di fatto alle democrazie liberali. Promuovendo modelli di sviluppo che rispettano le specificità culturali e respingendo giudizi esterni sulle questioni dei diritti umani, la Cina si posiziona come leader di un nuovo ordine globale che valorizza la diversità nei modelli di governance e nei percorsi di sviluppo.

Considerate nel loro insieme, la GSI, la GDI e la GCI costituiscono un tentativo organico di articolare un’alternativa all’attuale ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti, basata sui valori, sugli interessi e sulla leadership della Cina. Nonostante la loro rilevanza, queste iniziative hanno ricevuto un’attenzione relativamente limitata da parte degli studiosi e degli analisti occidentali, soprattutto se confrontate con precedenti iniziative cinesi come la Belt and Road Initiative e, in misura minore, l’Asian Infrastructure Investment Bank. È tuttavia probabile che acquisiranno un’importanza crescente negli anni a venire.

 

 


Questo articolo è pubblicato sul numero 4-2025 di Aspenia.

 

 

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