Il dibattimento nel processo di Elor Azaria, il soldato israeliano che ha assassinato nel marzo scorso a Hebron il palestinese Abd al Fatah al Sharif, è un paradigma esemplare del clima che pervade il paese.
Sharif è un giovane palestinese che aveva aggredito un altro soldato israeliano e a sua volta giaceva ferito a terra. Ci sono le indagini, le testimonianze – sia dai filmati sia dalle dichiarazioni degli stessi comandanti israeliani, l’assalitore ferito a terra, con il coltello lontano dalle mani, non poneva più pericolo alcuno. Ne risulta quindi provata l’intenzione omicida. Ci sono poi le argomentazioni dell’accusa e della difesa da cui scaturirà l’esito del processo. In ogni caso, il contesto è rilevante dal punto di vista simbolico e politico.
I difensori di Azaria, la famiglia e alcuni media lo dipingono come un novello Dreyfus (il capitano francese di origine ebraica condannato ingiustamente per spionaggio alla fine del XIX secolo): un capro espiatorio usato dai vertici dell’esercito nel conflitto insorto da qualche tempo con il governo di Benyamin Netanyahu, circa le regole di comportamento dei soldati e l’etica delle armi.
Il Capo di Stato Maggiore, Gadi Eisenkot, ha ribadito più volte negli ultimi mesi che i militari non devono uccidere terroristi sospetti se non vi sono minacce incombenti alla loro vita. Questa frattura ha condotto, insieme ad altri fattori, alle dimissioni del Ministro della difesa Moshe Yaalon, che ha accusato “elementi estremisti e pericolosi al potere nel Likud e nel governo di Israele”, e alla nomina di Avigdor Lieberman in quell’incarico così delicato.
In realtà Elor Azaria non è Dreyfus, ma il suo atto è consono allo Zeitgeist, allo spirito dei tempi. Azaria era di guardia a Hebron, città cisgiordana dove 200.000 abitanti palestinesi soffrono le vessazioni quotidiane dell’occupazione ad opera dell’esercito israeliano; gli armati sono posti a protezione di 700-800 coloni ebrei fra i più ideologicamente oltranzisti. Uno dei mercati più antichi della città è abbandonato da anni, intere strade del centro cittadino sono chiuse agli abitanti, le provocazioni dei coloni agli abitanti frequenti.
Il filmato dell’omicidio prodotto da B’tselem – una delle più coraggiose ONG israeliane nel campo dei diritti umani – mostra Baruch Marzel, ex leader del Kach, il partito antiarabo fondato da Meir Kahane e messo fuori legge in Israele per razzismo, che giunge sul posto e stringe la mano al soldato Azaria. Lo stesso Azaria nella deposizione in tribunale racconta che Marzel e i suoi invitano regolarmente a Tel Rumeida, nel centro di Hebron, i soldati a pranzo nei giorni di Shabbat – una amicale e piacevole camaraderie fra i coloni e i militari chiamati a proteggerli. Bisogna visitare la città per capire l’humus di violenza che la opprime. L’ho fatto qualche anno fa in una visita guidata da attivisti di Peace Now, dolorosa e istruttiva circa l’assurdità dell’occupazione.
La casistica, al di là degli accadimenti di Hebron, di palestinesi uccisi per errore, faciloneria, licenza di uccidere, anche allorché non vi è pericolo di vita, è purtroppo molto vasta. Dall’ottobre 2015, con oltre 200 palestinesi uccisi dopo aggressioni a israeliani o in altri episodi di violenza (manifestazioni, cortei e conseguenti scontri con l’esercito o la polizia), secondo le statistiche ufficiali di Israele, una sola indagine è stata avviata contro agenti di polizia sospettati di aver usato le armi violando le regole circa l’uso delle stesse. La prassi legale in queste situazioni prevede che l’indagine si basi soltanto sui rapporti degli agenti e sulle inchieste interne della polizia, senza interrogare i testimoni o gli agenti stessi implicati né esaminare altra evidenza documentaria. Così il caso si chiude rapidamente.
Ma soprattutto è grave la copertura “politica”. Bennett, Ministro dell’Istruzione, dichiara: ”Dovete uccidere i terroristi, non liberarli”; Erdan, Ministro della Sicurezza, echeggia: “Ogni terrorista deve sapere che non sopravviverà all’aggressione che intende commettere”; Hotovely, vice Ministro degli Esteri, proclama: “Se qualcuno viene per ucciderti, uccidilo tu prima”; Lieberman, Ministro della difesa, invoca la pena di morte per i terroristi.
La destra, con la sua retorica bellicosa, incita, infiamma. Essa, non solo il soldato Azaria, dovrebbe essere – almeno politicamente – sul banco degli imputati.