Gli USA omaggiano Merkel, ma il futuro transatlantico è incerto

Good friends can disagree“, è con questa frase che, giovedì 15 luglio, Joe Biden ha messo il sigillo più significativo sulla visita di Angela Merkel alla Casa Bianca. Utilizzata in riferimento alla complessa questione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, l’espressione del presidente USA riassume anche l’intero equilibrio tattico delle attuali relazioni transatlantiche tra Washington e Berlino. Se da un lato i due leader hanno confermato e restaurato la tradizionale amicizia USA-Germania in nome di valori condivisi, dall’altro è sempre più chiaro che ci siano dossier destinati a restare aperti ancora a lungo.

Angela Merkel e Joe Biden alla Casa Bianca

 

La riconsegna del testimone liberal-democratico

Era il novembre 2016 quando, pochi giorni dopo la clamorosa vittoria presidenziale di Donald Trump, Barack Obama svolgeva un’ultima visita in Germania. Un viaggio che fu interpretato come un’investitura definitiva di Angela Merkel del ruolo di “leader del mondo libero”, da intendere innanzitutto in contrasto con il nuovo corso trumpiano. Per anni i Democrats e i liberal americani hanno dunque celebrato Merkel come faro globale della liberal-democrazia, anche a costo di trascurare specifiche criticità dei rapporti transatlantici, non determinate unicamente dalla presidenza Trump, bensì dalle dinamiche di un mondo in accelerata mutazione.

L’ultima visita a Washington di Merkel può oggi essere letta come la riconsegna alla Casa Bianca del testimone ideologico lasciatole cinque anni prima da Barack Obama. L’attuale amministrazione americana ha voluto omaggiare la Cancelliera tedesca e ufficializzare più complessivamente la ricucitura tra le istituzioni tedesche e quelle americane. Le parole di amicizia e stima di Biden nei confronti di Merkel e lo stesso conferimento alla Kanzlerin di un dottorato honoris causa da parte della Johns Hopkins University sono stati riti considerati necessari. Si è trattato di veri e propri atti conclusivi volti a cancellare (più o meno temporaneamente) le scortesie tattiche che Donald Trump riservò in mondovisione alla Cancelliera in occasione della sua visita del 2017 e che, più complessivamente, avevano definito il punto storicamente più basso dei rapporti USA-Germania dal dopoguerra a oggi.

 

La palla passa al prossimo governo tedesco

Sul piano della Realpolitik, però, il futuro delle relazioni tedesco-americane non è semplicissimo. La “Washington declaration” presentata da Biden e Merkel alla fine del loro incontro è carica di dichiarazioni d’intenti e consolida ulteriormente l’asse valoriale tra i due paesi. La dichiarazione s’impegna a contrastare l’erosione della democrazia causata dalle cosiddette potenze autoritarie, vuole vincolare le nuove tecnologie a principi democratici, rifiuta il concetto di “sfere d’influenza” e conferma la necessità di un asse transatlantico sull’epocale questione ecologica e climatica. Il testo, tuttavia, presenta o anticipa ben poche elaborazioni pratiche.

Se qualcuno si aspettava ad esempio che, in occasione del proprio viaggio negli USA, Merkel avrebbe concesso qualcosa di più su Russia e Cina, è sicuramente rimasto deluso. Seppur con proverbiale cautela e senza alcun tipo di conflittualità, Merkel ha riaffermato l’intenzione tedesca di concludere il Nord Stream 2 e di considerarlo soltanto un “progetto economico”, negandone quindi formalmente la dimensione geopolitica. Sul raddoppio del gasdotto russo-tedesco la calcolata ostinazione di Merkel sembra aver infine raggiunto il proprio scopo: l’opera verrà conclusa nei prossimi mesi e senza incontrare una nuova ondata di sanzioni USA. Da parte sua, Biden ha però dichiarato che Merkel concordi assolutamente con lui sul fatto che “non si debba permettere alla Russia di usare l’energia come un’arma per costringere o minacciare i suoi vicini”.

Merkel ha accolto la linea di Biden. Risultato è un accordo bilaterale concluso proprio dopo la visita della Kanzlerin, secondo cui Germania e USA applicheranno sanzioni e interverranno nel caso la Russia voglia usare il gasdotto per bypassare completamente l’Ucraina e metterne in pericolo l’economia e la sopravvivenza energetica. Il governo tedesco si impegna anche a coprire un fondo da un miliardo di dollari per l’energia e le tecnologie verdi in Ucraina, oltre a sostenere l’iniziativa Tre Mari, il forum di dodici stati UE situati lungo l’asse nord-sud tra i mari Baltico, Adriatico e Nero. L’accordo ha le potenzialità per essere funzionale ed efficace, a patto che continui l’affinità strategico-politica tra Washington e Berlino. Se invece questa affinità dovesse erodersi in futuro, i pochi punti fermi dell’intesa lasciano aperte numerose incognite geopolitiche transatlantiche e nei rapporti tra Germania e partner centro-orientali.

E se la dichiarazione di Washington così come tutti gli appelli di Merkel e Biden alla protezione e al consolidamento del modello democratico sono delle aperte critiche al modello cinese, la Kanzlerin ha però ovviamente evitato di tematizzare la propria apertura verso Pechino. A Washington non si è parlato di come Merkel, nel dicembre scorso e proprio a pochi giorni dall’insediamento di Biden, abbia spinto il più possibile per l’approvazione del Comprehensive Agreement on Investment (CAI) tra UE e Cina. Un accordo poi naufragato in sede europea e ora congelato, ma pur sempre emblematico della profondissima interdipendenza economica tra Germania e Cina e della strutturale riluttanza tedesca a dover scegliere un fronte nel quadro di un progressivo “decoupling” globale.

Un emblematico documento pubblicato il 16 luglio dalla BDI (la Confindustria tedesca) su come “relazionarsi economicamente alle autocrazie” esprime sia la consapevolezza di doversi far carico della responsabilità politica delle proprie attività internazionali sia la volontà di non rinunciare al fittissimo scambio commerciale verso oriente. Seppur profondamente consapevole della propria dipendenza dalla NATO e dalle rotte marittime globali la cui sicurezza è garantita dagli Stati Uniti, Berlino continua oggi a essere poco pronta a risolvere le proprie contraddizioni geopolitiche.

Tanto il dossier Russia quanto il dossier Cina dovranno essere quindi affrontati in tutta la loro complessità dal prossimo governo tedesco. Se, come suggeriscono gli attuali sondaggi, il prossimo Cancelliere sarà il CDU Armin Laschet, l’attendismo strategico e l’ambiguità tattica di stampo merkeliano avranno un erede diretto. Una leadership di governo o comunque una forte partecipazione all’esecutivo dei Verdi spingerebbe invece per un maggiore allineamento neo-atlantista rispetto a Russia e Cina.

Armin Laschet

 

I dubbi tedeschi sugli USA

Nel frattempo, se a Washington ci si chiede cosa sarà la Germania dopo Merkel, a Berlino serpeggia invece un altro dubbio: la ricucitura dell’asse transatlantico è solida o è solo temporanea? Se Joe Biden rappresenta infatti una generazione politica americana ancora molto legata all’Europa, non è chiaro cosa succederà quando si farà egemone, anche tra i Democratici, una generazione politica oggettivamente meno vincolata alla stretta collaborazione con le cancellerie europee. Sarà a quel punto sempre possibile restare assolutamente e tradizionalmente amici pur non concordando su molteplici dossier? E, ovviamente, cosa accadrà invece ai rapporti Germania-USA se la vittoria democratica alla Casa Bianca si rivelasse solo una parentesi e i Repubblicani dovessero tornare al potere fra tre anni?

La visita finale di Merkel a Washington ha anche avuto lo scopo di rimandare queste domande, guadagnare tempo e creare le condizioni per la ricostruzione di un dialogo tatticamente al passo coi tempi. Angela Merkel è così riuscita a chiudere le relazioni transatlantiche della propria lunga era in maniera narrativamente ottimale. Ma, come sempre e ancora una volta, la Kanzlerin ha attivamente procrastinato la soluzione pratica delle incognite in campo.

 

 

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