Gli effetti economici della pandemia: le prime possibili valutazioni

Il dibattito su quali misure sanitarie adottare per mitigare il diffondersi dell’epidemia del Covid-19 prescinde nella fase iniziale dalla valutazione dell’effetto economico di tali misure. Davanti al numero di decessi e all’effetto dirompente sui sistemi sanitari, le preoccupazioni per l’impatto economico delle misure di contenimento del virus passano inevitabilmente in secondo piano. Ciò non toglie che alcune valutazioni possano essere fatte senza attendere che la scienza ci dica che il contenimento del virus ha avuto successo.

Ovviamente differenti durate e profondità dell’epidemia determineranno effetti sul sistema economico significativamente diversi, sia in senso quantitativo che temporale. Inoltre, l’impatto economico immediato va distinto da quello di lungo termine.

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L’effetto immediato delle misure di contenimento si esplica principalmente via: a) minori consumi discrezionali (circa il 40% della spesa nei paesi avanzati) tra cui in forte calo il 15% rappresentato da spesa per viaggi, turismo ed eventi; b) shock negativo sull’offerta di lavoro e conseguente ostacolo alla produzione; c) minori investimenti, causati da incertezza; d) disruption della supply-chain; e) contagio finanziario con rapida discesa dei prezzi azionari e spread significativamente più elevati. Inoltre, alcuni consumi sono posposti, come l’acquisto di abbigliamento, auto, arredamento, acuendo il rallentamento immediato dell’attività economica – ma contribuendo alla ripresa nel momento in cui si affievoliranno le misure di contenimento.

L’aeroporto di Pechino, svuotato dalla pandemia

 

L’interdipendenza tra paesi e settori colpiti da questi effetti sfocia in un forte calo del commercio internazionale. La mitigazione di questi impatti negativi dipende dagli interventi a supporto del sistema economico che i policymaker decideranno di adottare.

A fronte di una durata media delle misure di contenimento mediamente inferiore a due mesi (ipotesi probabilmente ottimistica), le stime prevalenti indicano un impatto di una riduzione della crescita mondiale nel 2020 di oltre il 2% rispetto a quanto precedentemente atteso, con il risultato di entrare in recessione globale (PIL mondiale +0,5%, ossia inferiore a crescita della popolazione e secondo più debole negli ultimi 50 anni)[1]. La crisi sanitaria porterà a una crisi economica particolarmente profonda nella prima metà dell’anno, anche se occorre sottolineare che gli eventi sono in rapida evoluzione e che ad oggi non sono ancora disponibili i dati mensili che misurano l’attività effettiva su cui basare le prospettive a breve termine.

Nelle ultime settimane un ampio numero di paesi ha annunciato misure di contenimento draconiane. Le previsioni mostrano ora che l’economia globale e molte delle principali economie stanno entrando in una profonda recessione nella prima metà del 2020. In particolare, nell’ipotesi che le misure di contenimento del virus siano allentate a partire dalla metà del secondo trimestre, i tassi di crescita della prima metà dell’anno delle economie avanzate si attesteranno in territorio negativo, prevalentemente tra il -3% e il -8%. Ma riteniamo che, in linea con l’esperienza storica di altre crisi profonde, la ripresa dell’attività sarà molto forte una volta allentate le misure di distanziamento sociale.

Gli ingenti stimoli monetari e fiscali a cui stiamo assistendo in queste settimane si combineranno con una ripresa della spesa discrezionale e con la ricostituzione delle scorte. Le imprese in grado di superare la crisi dovrebbero essere preparate per una forte ripresa nella parte finale del 2020 e per un 2021 con una crescita globale in crescita fino al 5% in termini annuali.

Dopo la pandemia, un bivio

La dimensione della pandemia e dei suoi effetti sarà probabilmente tale da influire in misura significativa sui rapporti tra paesi e sugli equilibri geopolitici, creando frizioni non solo a livello diplomatico ma anche (e con effetto più grave) della percezione reciproca tra popolazioni. Questo sarà tanto più vero quanto più asimmetrica sarà la diffusione temporale del virus tra i vari paesi, generando necessità e policy sanitarie contrastanti con conseguenti tensioni politiche e temporanea chiusura delle frontiere.

L’eredità dell’epidemia sarà anche quella di cambiare la percezione che le popolazioni hanno del loro rapporto con il potere e la scienza (“chi mi difende?”). A epidemia domata ci troveremo quindi davanti a un bivio.

Da un lato, la strada della presa di coscienza che la globalizzazione, con i suoi molteplici pregi e vari difetti, è un processo irreversibile e inarrestabile dovuto innanzitutto alle nuove tecnologie – e che quindi le emergenze globali (sanitarie, cambiamento climatico e sostenibilità ambientale, terrorismo, lotta a riciclaggio e cybercrime, per citarne solo alcune) si possono risolvere solo con la cooperazione politica e tecnologica internazionale. Riprendere la strada della collaborazione globale consentirebbe di ritornare a un buon ritmo di sviluppo delle nuove tecnologie il cui nucleo è la condivisione dei costi e/o delle informazioni, come ad esempio la biogenetica, la robotica, l’intelligenza artificiale, Big Data, le auto a guida autonoma, la fusione nucleare, ecc.

Dall’altro lato del bivio ci si avvierebbe verso la strada di un vasto rigurgito di sentimenti nazionalistici il cui sbocco potrebbe portarci indietro di alcuni decenni, con una sciagurata accelerazione del bilateralismo come metodo di definizione degli equilibri mondiali. Le conseguenze economiche negative sarebbero potenzialmente numerose: acuirsi delle tensioni protezionistiche sino-americane, effetto negativo sulla tenuta dell’Unione Europea e dell’euro, tentazioni di uscite dall’eurozona, esacerbarsi delle problematiche relative al debito nei paesi più esposti, limitazioni ai movimenti di capitale, hard Brexit.

I policymaker stanno oggi intervenendo in maniera massiccia con politiche monetarie e di bilancio molto espansive per minimizzare gli impatti negativi dell’epidemia su imprese e popolazione. Il lascito di questi interventi sarà un forte aumento dello stock di debito pubblico dei vari paesi e un ulteriore eccesso di liquidità nel sistema finanziario globale. Una volta passata la tempesta dell’epidemia i percorsi di rientro dal debito saranno inevitabilmente asimmetrici, con i paesi che presentano squilibri di finanza pubblica eccessivi che dovranno approntare misure più draconiane di altri. In un quadro eventualmente dominato da spinte nazionalistiche il potenziale di rottura tra paesi potrebbe diventare insanabile, rischiando di innestare crisi finanziarie su vasta scala.

Il ruolo delle politiche monetarie e fiscali, che in tempi “normali” è quello di stabilizzare il ciclo economico, sarà fondamentale nel forgiare l’atteggiamento dei popoli nei confronti delle istituzioni e dei loro governanti. Dopo la Seconda guerra mondiale e la spartizione in sfere di influenza, i grandi progetti di rilancio dei paesi occidentali definiti a Bretton Woods con l’avvio del Piano Marshall e la creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale contribuirono in maniera decisiva a risollevare le aspettative delle popolazioni e stringerle intorno a un progetto comune (anche ma non solo di difesa contro un avversario esterno). Con i dovuti distinguo (quei progetti furono sostanzialmente la politica di pace definita dal vincitore), anche dopo l’epidemia il ruolo delle politiche monetarie e fiscali sarà cruciale.

Occorrerà stabilire ragionevoli piani di rientro dagli eccessi delle politiche espansive “obbligate” dall’epidemia e allo stesso tempo rilanciare la fiducia delle imprese e delle popolazioni nelle istituzioni che le governano. Un equilibrio difficile da raggiungere. Se oggi in piena epidemia – o, paradossalmente ancor peggio, quando la crisi sanitaria sarà in via di superamento – questo ruolo sarà lasciato ai governi nazionali il risultato sarà quello di dar fiato ai sentimenti nazionalistici. Se viceversa le istituzioni internazionali sapranno cogliere l’opportunità di essere protagoniste nel gestire i fabbisogni dei sistemi sanitari, delle imprese e dei cittadini prima e a riequilibrare l’economia poi, allora la probabilità di un rilancio della globalizzazione aumenterà notevolmente.

Un passo incoraggiante in questo senso è la risposta della BCE che nel giro di poche settimane ha riavviato una politica monetaria non convenzionale aggressivamente espansiva, risposta che nella crisi finanziaria del 2008 fu inizialmente molto timida e arrivò di fatto solo nel 2012 con le operazioni LTRO (Piano di rifinanziamento a lungo termine).

Mario Draghi, ex presidente della BCE, e Christine Lagarde, presidente in carica

 

L’UE ha a sua volta sospeso il Patto di Stabilità e Crescita per consentire ai paesi membri di finanziare aziende e famiglie, senza la sorveglianza di Bruxelles sui conti pubblici per tutto il tempo necessario a superare l’epidemia.

Tra i cambiamenti epocali indotti dall’epidemia sul sistema delle imprese, quello che ci si può attendere sarà una maggiore attenzione alla gestione dei rischi conseguenti alla localizzazione geografica delle supply chain, insieme a un arresto o a un’inversione dei processi di delocalizzazione, inversione peraltro timidamente avviata negli ultimi anni. La supply chain disruption a cui stiamo assistendo a causa della pandemia è simboleggiata dallo stop operativo nelle fabbriche di Foxconn, società che assembla la maggior parte degli iPhone distribuiti su scala mondiale da Apple. Al picco dei contagi in Cina, Foxconn è stata costretta a chiudere la mega fabbrica “iPhone City” nella città di Zhengzhou, con impatto negativo importante sulle vendite di Apple. Improbabile d’ora in poi pensare a una dipendenza così forte da un solo fornitore.

 


[1] Per impatto su Italia ed Europa, si vedano anche:

Nicola Nobile, Italy: Coronavirus crisis will drive 3% fall in GDP in 2020, Oxford Economics, Marzo 2020

Ugo Panizza, Europe’s Ground Zero, CEPR, Marzo 2020

 

 

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