“Mai disturbare un avversario che sbaglia”: questo deve aver pensato il candidato SPD Olaf Scholz nei primi mesi di campagna elettorale. E i suoi due rivali per la Cancelleria, il candidato CDU-CSU Armin Laschet e quella dei Verdi Annalena Baerbock, hanno infatti sbagliato, tanto. La domanda, a pochi giorni dalle elezioni tedesche del 26 settembre, è se abbiano sbagliato troppo. E se quello che un tempo sembrava il favorito, Armin Laschet, possa essere ancora capace, con uno scatto finale o con abili manovre di coalizione post-voto, a sconfiggere Scholz e diventare il prossimo Cancelliere.
I sondaggi parlano chiaro: Olaf Scholz è oggi nettamente in vantaggio (gli ultimi danno il suo partito tra il 25 e il 27%), Laschet è secondo con uno svantaggio che può essere più o meno ampio (le rilevazioni lo indicano tra il 19 e il 23%), Baerbock sembrerebbe invece fuori dai giochi per la prima posizione (i Verdi sono stimati tra il 15 e il 17%).
Ma la partita non è certo chiusa. Durante il secondo “triello” televisivo tra i candidati, Laschet ha ad esempio attaccato frontalmente Scholz in merito alle perquisizioni avvenute di recente nel ministero delle Finanze, di cui Scholz è a capo, nel contesto di un’indagine sulle mancanze della Finance Intelligence Unit ministeriale nella lotta al riciclaggio di denaro. Perquisizione di cui, per le sue evidenti tempistiche, la SPD ha insinuato una motivazione politica. Alla fine del faccia a faccia, la maggioranza relativa dei tedeschi secondo i sondaggi ha comunque riaffermato una preferenza per il socialdemocratico. La campagna resta però molto legata alle singole personalità dei candidati, e dunque a possibili sorprese dell’ultimo minuto.
La resurrezione socialdemocratica
Per mesi e mesi, ancora prima che i rispettivi partiti scegliessero i loro candidati, i sondaggi e le analisi prospettavano il primo governo schwarz-grün (nero-verde, ossia tra Cristiano-Democratici e appunto Verdi) della storia tedesca. Un’opzione vista come un nuovo sincretismo bipartisan, dopo le grandi coalizioni CDU-SPD, capace di aprire con un profilo di “rinnovamento nella continuità” la delicata fase del dopo Merkel. Nella scorsa primavera, con i Socialdemocratici considerati in un irrecuperabile declino, e fuori dai giochi, il solo dubbio principale era se il prossimo governo sarebbe stato effettivamente nero-verde, cioè a guida della Union CDU-CSU, o verde-nero, cioè a guida dei Grünen.
L’altalena è durata per mesi. Quando Armin Laschet è diventato il Kanzlerkandidat della Union, imponendosi con stratagemmi di partito che poco sono piaciuti all’opinione pubblica, ha cominciato a brillare la stella della Kanzlerkandidatin verde Annalena Baerbock, che è stata subito spinta da un incredibile hype mediatico nazionale e internazionale. Quando lo slancio di Baerbock si è però arenato a causa delle crescenti polemiche sulla sua persona e sulla sua competenza, è stato invece Laschet a rivedere una veloce crescita dei consensi.
Durante l’estate, tuttavia, l’opinione pubblica ha cominciato a mostrare segni di stanchezza per la sfida tra i due, che si è trasformata in una specie di gioco lose-lose, di cui d’un tratto non hanno più beneficiato né Baerbock né Laschet.
Le drammatiche alluvioni in Renania-Palatinato e Nordreno-Vestfalia dello scorso luglio sono state un punto di svolta. Baerbock, che non ha alcun ruolo di governo regionale o nazionale, non ha saputo posizionarsi di fronte all’emergenza in atto e il suo partito, al contrario di quanto inizialmente immaginabile, è sembrato sì capace di fare generici appelli ambientalisti ma non di offrire risposte sul piano della gestione contingente della crisi. Armin Laschet, da parte sua, ha fatto uno degli errori più gravi e imbarazzanti della sua carriera politica, facendosi filmare nei luoghi dell’alluvione mentre rideva ripetutamente e sguaiatamente alle spalle del Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier.
In questo contesto di gaffe e debolezze tattiche di Laschet e Baerbock, si è così d’improvviso affermata la figura di Olaf Scholz, attuale vice-premier del governo Merkel IV. Da tempo, a dire il vero, Scholz poteva contare su alti livelli di gradimento popolare, soprattutto grazie al suo ruolo di ministro delle Finanze durante la crisi Covid. E’ però dalle ultime settimane che Scholz è infine riuscito a trascinare dietro al proprio consenso personale anche un’intenzione di voto per la sua SPD, che si è quindi posizionata come terza alternativa tra CDU e Verdi.
Consumati da un anno e mezzo di pandemia, scioccati dalla violenza dell’alluvione, preoccupati di fronte a crescenti problematiche sociali, molti tedeschi hanno così trovato nell’accondiscendente e sorridente Scholz quella figura moderata, rassicurante e capace che né Laschet né Baerbock sono stati capaci di interpretare.
Temi sociali decisivi
Secondo una delle molteplici rilevazioni di questi giorni (effettuata da INSA), il tema più sentito in questa campagna elettorale è quello del clima, considerato primario dal 35% degli intervistati. Sarebbe però sbagliato, e i sondaggi lo dimostrano, credere che questa attenzione per il cambiamento climatico porti automaticamente sostegno per i Verdi. Il tema, infatti, è divenuto trasversale, mentre la sensibilità per l’argomento va ormai intesa come un interesse più complessivo anche per la svolta energetico-produttiva scelta dalla Germania, con tutto ciò che ne consegue sul piano sociale.
Altrettanto importante è notare quali altri temi vengano visti come vitali dai tedeschi: con il 33% emergono le pensioni, con il 26% quello le abitazioni e degli affitti, con il 26% la gestione del Covid, con il 24% la salute e i sistemi sanitari, con il 21% scuola, asili e formazione, con il 20% l’immigrazione. Percentuali che delineano la domanda di soluzioni chiare a problemi sociali rimasti troppo a lungo aperti. In un paese in cui il 50% più povero della popolazione possiede soltanto l’1,3% della ricchezza privata nazionale, l’arrivo del Covid ha esacerbato contraddizioni un tempo assorbite con meno problemi dalla corsa mercantilista e dalla crescita economica della Germania.
In questo senso l’avanzata di Scholz nei sondaggi è quindi anche dovuta al programma dei socialdemocratici, il cui profilo sociale è, almeno formalmente, molto marcato. La SPD prevede ad esempio una nuova sovrattassa del 3% per i redditi molto alti (250mila euro annui o più), un nuovo salario minimo a 12 €/ora, il superamento del contestato sistema di sussidi “Hartz IV” (in vigore da circa quindici anni) verso un Bürgergeld che sia una forma diversa di reddito di base e garantito, una nuova stagione di investimenti pubblici. Ovviamente si tratta di un programma che, dall’altro lato, non convince per niente altri settori sociali, culturali e professionali, come mostra la costante crescita nei sondaggi dei liberal-liberisti di FDP, un partito da sempre molto attivo nella critica dell’intervento statale nell’economia, che oggi vengono stimati nei sondaggi tra il 10 e il 13% (e, secondo alcuni, sarebbe addirittura capace di sfidare i Verdi per il terzo posto).
Il criterio “fit to be Merkel”
C’è però una voce nei temi di questa corsa elettorale che meriterebbe comunque il primo posto. Si tratta della capacità complessiva di ciascuno dei candidati di essere all’altezza della uscente Angela Merkel. Per buona parte dei tedeschi il prossimo Cancelliere dev’essere soprattutto anche capace di rassicurare con la propria cautela strategica, come ha fatto per sedici anni la Kanzlerin. Paradossalmente, questa corsa al “fit to be Merkel” è stata alla fine sfruttata al meglio proprio dalla SPD, il partito che secondo tutti era stato stritolato dalle larghe intese, che è arrivato a lanciare per Scholz lo slogan: “Er kann Kanzlerin”, vale a dire “è in grado di fare la Cancelliera” (con Kanzlerin al femminile, proprio per definire una continuità rispetto a Merkel).
L’operazione ha funzionato e ha messo in enorme difficoltà i cristiano-democratici. La capacità di Olaf Scholz di sfruttare l’immagine di Merkel ha gettato la CDU così tanto nel panico che la stessa Cancelliera, che voleva notoriamente tenersi fuori dalla contesa elettorale e assumere un profilo ultra-istituzionale, è invece dovuta scendere in campo per dichiarare l’ovvio: il proprio sostegno personale per il candidato del suo partito, Armin Laschet.
Il paradigma del “pericolo rosso”
Fondamentale è notare come Merkel abbia espresso il proprio sostegno a Laschet rifiutando i paragoni con Scholz, e criticando apertamente
la possibilità di un governo SPD che contenga la Linke, dunque un’alleanza della sinistra alla guida del paese. “C’è una forte differenza tra me e lui (Scholz) rispetto al futuro della Germania”, ha detto la Kanzlerin.
Accusare Scholz di voler creare una coalizione di governo Rot-Rot-Grün (rosso-rosso-verde) con Linke e Verdi è l’argomento polemico attualmente più usato dalla CDU. Per evitare che parte dell’elettorato centrista-moderato si sposti verso Scholz, la Union sta agitando ormai ogni giorno lo “spauracchio rosso”, cercando di riattizzare il tradizionale anti-socialismo del ceto medio tedesco. I cristiano-democratici sostengono che l’apparentemente moderato Scholz stia in realtà nascondendo un’egemonia “di sinistra” all’interno della sua SPD, rappresentata dalla doppia leadership di partito di Saskia Esken e Norbert Walter Borjans (che nel dicembre 2019 hanno sconfitto proprio Scholz nella corsa alla segreteria). Sicuramente la corrente di sinistra è oggi molto forte tra i socialdemocratici e, se i numeri lo permetteranno, diversi segmenti della SPD prenderanno in seria considerazione l’alleanza Rot-Rot-Grün.
Gli ostacoli a questa opzione di coalizione sono però molteplici. La leadership dei Verdi non sembra ad esempio molto aperta a dialogare con la Linke, sebbene questa sia molto lontana dai suoi fasti dei primi anni 2000. Dopo anni passati a spostarsi verso una realpolitik centrista, i Grünen non vogliono tornare al governo con una forza che giudicano troppo internamente divisa tra fazioni anche molto radicali per poter governare in modo funzionale ai progetti verdi.
C’è poi la questione geopolitica: Olaf Scholz ha testualmente detto che una sua eventuale coalizione di governo dovrà seguire al 100% il posizionamento della Germania nella NATO. Un discrimine che escluderebbe già facilmente la Linke, che è tradizionalmente filo-russa e ostile all’alleanza atlantica. Se è vero che Olaf Scholz, più volte interrogato in merito, non ha mai davvero escluso una coalizione Rot-Rot-Grün, l’impressione è che lo abbia sempre fatto per due motivi: il primo è non creare inutile scompiglio nel suo stesso partito, il secondo è poter usare la possibilità dell’opzione verso sinistra in quelle che saranno le contrattazioni post-elezioni con Verdi, CDU e FDP.
Comunque vada, sarà complesso
La coalizione di sinistra rosso-rosso-verde resta quindi meno probabile di altre. Un clamoroso ritorno della Große Koalition SPD-Union non è da escludere completamente. Ma, con la crescente frammentazione del voto, una coalizione di governo a tre sembra essere la più ipotizzabile. Tra le coalizioni possibili che contengano sia Union e SPD ci sono la coalizione Kenya tra Union, SPD e Verdi, e la coalizione Deutschland, formata da Union, SPD e FDP. Attualmente molto discussa è la coalizione Jamaika, formata da Union, Grünen e FDP. L’opzione che invece escluderebbe la Union dal governo, mandandola all’opposizione dopo ben 16 anni, è la cosiddetta Ampelkoalition (coalizione semaforo), con SPD, Grünen e FDP.
Osservando tutte le opzioni sul tavolo si può notare come tutti i partiti attualmente presenti nel Bundestag potrebbero in un modo o nell’entrare nel prossimo governo, fatta eccezione per la destra radicale AfD, con cui nessuno si è mai detto pronto a collaborare. Se SPD e Union sembrano giocarsi il primo posto, il ruolo dei Verdi potrà essere ugualmente determinante, soprattutto al momento della scelta dei ministeri, mentre la FDP potrebbe presto rivelarsi la forza king-queenmaker.
I tedeschi hanno già iniziato a votare per posta da giorni. Secondo un recente sondaggio INSA, ben il 50% degli elettori sarebbe quest’anno orientato a questa forma di partecipazione: benché non sia semplice classificarne gli effetti, come minimo votare per posta rende inutile l’ultima parte della campagna elettorale per una certa percentuale dell’opinione pubblica. Solo la sera del 26 settembre si potrà però davvero capire come siano andate le cose. Le successive dinamiche per la formazione di un esecutivo potranno essere tutt’altro che semplici.