La risorsa più scarsa dopo la pandemia non saranno i semiconduttori, le terre rare, il petrolio o la salute. Sarà la fiducia. A scriverlo sono gli analisti del National Intelligence Council (NIC), organismo di analisi e previsione del sistema di sicurezza degli Stati Uniti nel suo aggiornamento quadriennale sugli scenari futuri.
Il Covid-19 ha spezzato drammaticamente il senso di fiducia nelle comunità occidentali, cancellando il positivismo tipico delle democrazie liberali di mercato. E’ dai tempi della Rivoluzione industriale che l’equazione “più benessere, più opportunità, più sviluppo” ha avuto alla base una forte leva psicologica: fiducia e ottimismo hanno mosso mercati, investimenti, consumi e la nascita di alcune delle più note imprese di successo.
Con il Covid però qualcosa si è rotto. Innanzitutto perché si fa fatica a immaginare un ritorno alla crescita senza limiti che ha ispirato ed animato le nostre comunità fino a poco tempo fa e nonostante le molte fragilità del sistema. Inoltre perché la pandemia ha fatto emergere la crisi del rapporto di fiducia tra cittadini, istituzioni e scienza.
Il rapporto tra scienza e politica e quello tra scienza e cittadini saranno probabilmente i termometri più importanti per testare la capacità reattiva delle democrazie di fronte allo shock della pandemia. Le autocrazie non hanno bisogno di chiarire i rapporti tra i due binomi, le democrazie sì. Ed è su questo tema che le nostre comunità dovranno investire la maggior parte delle energie e delle risorse. I piani di resilienza e ripresa di cui si parla in questa fase guardano alla capacità dei sistemi economici di modernizzarsi. Ma le conseguenze più rilevanti del Covid le vedremo probabilmente sul piano sociale, politico e forse perfino psicologico. Senza fiducia non ci sono consumi e non c’è crescita; senza fiducia non c’è innovazione e dunque il vantaggio competitivo dell’Occidente rischia di essere messo in discussione irreversibilmente.
Come per molti altri aspetti, anche in questo caso il Covid agisce sta agendo come un poderoso acceleratore. Veniamo da anni in cui il rapporto tra politica e cittadini ha assunto i contorni di vera e propria rivolta verso le élite. Ma anche da anni in cui la politica ha assecondato le pulsioni anti-scientifiche e negazioniste di fette sempre più ampie della popolazione. Fino al punto in cui l’anti-scienza si è fatta politica ed è entrata nelle istituzioni. La pandemia ha infine mandato in cortocircuito anche il rapporto tra politica e scienza.
Nelle autocrazie e nei Paesi governati da leadership populiste e negazioniste, la politica ha piegato la scienza ai propri interessi. Nelle democrazie il nodo di questo rapporto non è mai stato realmente sciolto. Tutt’oggi ci troviamo a dibattere su come e quanto gli scienziati possano guidare le decisioni della politica nella gestione della pandemia o della campagna vaccinale. Ma è vero anche il contrario, vale a dire in che modo la politica debba prendere decisioni ragionevoli e commisurate sulla base di dati scientifici che spesso per definizione sono incerti o probabilistici.
Colpiscono molto le dichiarazioni recenti del capo dei virologi americani Anthony Fauci sul tema dei vaccini. Di fronte alle pressioni crescenti perché gli Stati Uniti mettano a disposizione le dosi di vaccino in eccesso anche all’Europa, in nome di una rinnovata solidarietà transatlantica, lo scienziato americano ha risposto che ci sarà una disponibilità non appena tutta la popolazione sarà vaccinata. Ma sarà una disponibilità per i Paesi a basso e medio reddito. Quei Paesi cioè più permeabili alla geopolitica vaccinale di attori come Russia o Cina.
Quella di Fauci è una vera e propria dottrina strategica e una dichiarazione di pura politica estera. Da questo punto di vista l’Occidente è passato dalla tracotanza, quando ad esempio Donald Trump negava il beneficio di indossare le mascherine e Fauci stesso predicava nel deserto, all’abdicare al proprio ruolo di guida.
Il Covid si sta dunque dimostrando il più importante agente di cambiamento, anche geopolitico. La Salute starà al mondo di domani come la Difesa è stata al mondo post-11 settembre.
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Di certo l’Occidente ha ancora molto da dire e da fare, come dimostra chiaramente la storia dello sviluppo di vaccini efficaci, innovativi e prodotti in tempi da record. Il punto cruciale per il futuro però sarà la capacità delle democrazie di dimostrare di essere moderne, innovative e inclusive. Quando si parla di Salute ciò è particolarmente vero.
Si pensi all’Italia: il nostro Paese ha tenuto saldi i valori scritti nella Costituzione e ciò è assolutamente un motivo di vanto. In particolare l’universalismo delle cure e il diritto all’accesso gratuito alle cure. Ma non abbiamo modernizzato gli strumenti, non abbiamo considerato la Salute come una questione di sicurezza – anche economica – nazionale. E non abbiamo dunque coinvolto i cittadini in una necessaria operazione di compartecipazione alle scelte cruciali. Gli anglosassoni la chiamano science literacy, alfabetizzazione scientifica. Secondo la Commissione europea la science literacy è il prerequisito per la piena ed attiva partecipazione dei cittadini alla vita politica, civile, sociale di un Paese. Di nuovo, qualcosa di cui le autocrazie non hanno alcun bisogno.
Ora siamo ad un punto di svolta storico. Come fu a Yalta nel 1945 per i rapporti tra le potenze dopo la Seconda guerra mondiale, la geopolitica del contagio definirà le nuove sfere di influenza, con vaccini, scienza e ricerca a fungere da nuova cortina di ferro. La sfida per noi è duplice: da un lato ricostruire il rapporto di fiducia tra sapere, cittadini e istituzioni, dall’altro ricostruire attorno a questi valori una nuova comunità occidentale, una nuova missione per le democrazie. Si tratta di contrapporre alla aggressiva diplomazia vaccinale delle autocrazie e alle leadership negazioniste (ormai diffuse in tutto il mondo ma travolte dai numeri della pandemia) un nuovo multilateralismo pragmatico e efficace.
Le scene dell’assalto a Capitol Hill a Washington dello scorso 6 gennaio rimarranno impresse a lungo, sono la ferita più dolorosa legata alla fase del Covid, assieme alle tante vittime del virus nel mondo. Ma non sono irreversibili. Possiamo dimostrare e fare in modo che della democrazia si senta ancora il bisogno nel mondo.
Con la Presidenza Biden negli Stati Uniti si aprono nuove possibilità. Le democrazie vivono anche di simboli e di immagini. Sapere che nello Studio Ovale oggi campeggia il ritratto di Benjamin Franklin, scienziato e padre fondatore, è una buona notizia e una buona ispirazione. Non basta però. Come detto, la politica dovrà riprendere il suo ruolo di guida e promuovere un sistema basato su competenza e riconoscimento del ruolo del sapere.
Non basterà nemmeno ritornare al segno “più” davanti alle statistiche del Prodotto Interno Lordo nei prossimi anni. D’altronde le autocrazie giocano da tempo proprio su questo terreno: rinunciare ai diritti sociali e politici per garantire crescita ed opportunità economiche. Ma come evidenziato da tanti analisti ed economisti, la sostenibilità di un modello economico si fonda sulla capacità di innovare e sul senso di fiducia. Hanno ragione dunque gli esperti di intelligence a sottolineare come la fiducia, questa risorsa sempre più scarsa, sarà il principale asset nella sfida tra modelli politici ed economici del futuro.
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Ultima nota: il Covid-19 non è un cigno nero. E’ dall’attentato alle Torri Gemelle che il mondo è entrato irreversibilmente in una dimensione asimmetrica della sicurezza nazionale ed internazionale. 11 settembre 2001, crisi finanziaria del 2008, e pandemia, vanno dunque lette assieme, sono manifestazione di un unico grande trend. Ecco perché è da vent’anni che i documenti ufficiali di intelligence riportano un elenco sterminato di questo tipo di minacce. Ed ecco perché la prossima crisi sistemica avrà esattamente queste caratteristiche di marcata asimmetria.
Sarà un nuovo spillover di un virus da animali ad essere umani? Saranno batteri resistenti agli antibiotici? Sarà l’impatto di una crisi climatica? Sarà un attacco cibernetico su vasta scala? Qualunque sarà la forma della prossima crisi dovremo fare in modo di aver imparato la lezione e ricucito il patto di fiducia alla base delle nostre democrazie.