Sono state fatte diverse ipotesi in merito al fatto che dopo l’Italia sarà la Spagna, a seguito delle elezioni previste nel 2023, a virare a destra, questa volta con una maggioranza formata non solo con dai conservatori del Partito Popolare, ma probabilmente anche con partecipazione, diretta o indiretta, dell’estrema destra di Vox. Nel corso degli ultimi mesi, il grosso dei sondaggi in Spagna ha registrato questa possibilità. E d’altro canto, sono già tre (anche se con formule diverse, in Andalusia e a Murcia con appoggio esterno, in Castilla y León con responsabilità di governo), le regioni in cui il Partido Popular e Vox stanno governando insieme.
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Il paragone è dunque lecito, anche perché effettivamente ci sono elementi comuni ai due possibili assetti di governo conservatori, anche in termini di agenda. Eppure, vi sono anche delle differenze strutturali, che hanno a che vedere con l’ecosistema politico e culturale dei due paesi, i diversi cicli che questi stessi paesi stanno attraversando, ed infine le culture politiche degli attori al centro dell’analisi. Cinque di questi ci sembrano maggiormente rilevanti.
La prima differenza ha a che vedere con la storia dei due sistemi politici, e, dentro a quest’ultima, al modo in cui le destre si sono evolute nei due paesi. Vale la pena ricordare che l’uscita della Spagna dalla terribile dittatura di Francisco Franco alla fine degli anni Settanta avvenne con un cambiamento politico graduale: una ruptura pactada certamente promossa dalle forze dell’opposizione di sinistra e dal quadro europeo, ma in buona parte gestita, da un punto di vista istituzionale, dalla parte più aperturista e pragmatica degli eredi del regime, raccolti nella Unión de Centro Democrático (UCD) dell’allora presidente Adolfo Suárez, che fu allo stesso tempo l’ultimo premier del franchismo ed il primo della democrazia.
Fino all’ottobre del 1982 – quando, dopo il fallito golpe di Tejero nel 1981 i socialisti di Felipe González s’imposero per maggioranza assoluta – la UCD, una forza politica eterogenea, con ex franchisti divenuti liberali, centristi e democristiani sembrò essere il partito destinato a rappresentare il centro-destra nel nuovo sistema politico sorto dalla Costituzione del 1978. La parte degli eredi del franchismo invece meno disposta al cambiamento democratico si riuní in una formazione chiamata “Alianza Popular” e, con la leadership dell’ex ministro franchista Manuel Fraga, rimase in una posizione defilata e minoritaria. Nei primi anni ottanta però, UCD entrò in una crisi che portò addirittura al suo scioglimento. E durante gli anni del cosiddetto “felipismo” (la lunga esperienza di governo socialista, dal 1982 al 1996), la destra si ricompose a partire da Alianza Popular: nel 1990, questa si trasformò in Partido Popular (PP), raccolse una parte del personale politico dell’UCD e nel 1996 arrivò al governo con José María Aznar, che, giovanissimo, nel 1978 aveva espresso pubblicamente seri dubbi sul progetto costituzionale democratico.
Da lì in poi, il PP è stato – come ricorda spesso il giornalista de La Vanguardia Enric Juliana – il partido alfa della destra spagnola: il grande partito intorno al quale si è raccolta e riconosciuta tutta la destra.
Questo processo peculiare implica che l’antifascismo – così come l’abbiamo conosciuto nella gran parte dei paesi dell’Europa occidentale dopo il 1945 – non ha costituito un punto di riferimento operativo nel disegnare l’insieme delle regole del gioco della democrazia spagnola nata dalla costituzione del 1978. Almeno dagli anni ‘90, dunque, l’egemonia nella destra ce l’ha un partito che ha una cultura politica che non ha mai completamente rotto da un punto di vista narrativo e culturale con la dittatura, benché si caratterizzi per l’essere più neoliberista e atlantista, secondo le linee della destra americana, che nostalgica.
Vox è nato nel 2013 da una scissione del PP, e negli ultimi anni ha saputo intercettare molti dei venti dello scontento che soffiano sulla società spagnola. Ma non si è trattato – come in qualche modo è nel caso italiano – di una destra “altra” rispetto al mainstream del sistema politico, che arriva a conquistare la centralità. Semmai invece di di una mutazione funzionale e critica di una cultura politica che era già dentro alla destra dominante.
La seconda differenza ha a che vedere con i diversi cicli che attraversano i due sistemi politici. Non si entrerà qui nell’annosa discussione sulla prima, la seconda o la terza repubblica italiana. Vale la pena ricordare però che il livello di volatilità e di frammentarietà del sistema politico italiano è estremamente alto e viene come minimo dalla metà degli anni Novanta. Anche il sistema politico spagnolo ha sofferto uno stress senza precedenti come conseguenza degli effetti della crisi finanziaria del 2008: per la prima volta, nel 2014 i due grandi partiti PP e PSOE raccolsero insieme meno della metà dei suffragi espressi.
Però in Spagna l’atomizzazione è stata meno pronunciata, e in ogni caso il sistema in qualche modo si è ricomposto in un modo in cui può ancora essere funzionale, mantenendo per di più le grandi linee del bipolarismo tra destra e sinistra. A sinistra il PSOE ora convive con lo spazio di Unidas Podemos (in via d’evoluzione grazie alla leadership della ministra del lavoro Yolanda Díaz); a destra il PP convive con Vox. In più, a caratterizzare il sistema spagnolo fin dal 1978, le diverse declinazioni dei partiti nazionalisti, autonomisti e indipendentisti. Negli ultimi anni – anche grazie all’apparizione fulminea della formazione liberale Ciudadanos, ora verso la scomparsa – ci sono stati accenni a grandi coalizioni o a formule centriste, ma in realtà l’alternanza è rimasta tale: almeno per ora non si immaginano formule diverse da blocchi di sinistra e di destra contrapposti.
La terza differenza ha a che vedere col ciclo politico interno allo spazio delle destre. La nuova leadership del PP di Alberto Núñez Feijóo – ex presidente della regione Galizia, dove Vox non è riuscita neanche ad ottenere un seggio nel parlamento regionale – per il momento sembra ben accolta dai sondaggi. Dopo l’impennata demoscopica degli ultimi mesi, la tendenza è quella di un chiaro riassorbimento dell’elettorato conservatore che era momentaneamente passato a Vox. Quindi al momento chi detta la linea nel tandem delle destre è la formulazione classica del PP, non la nuova destra di Santiago Abascal, il leader di Vox.
E questo porta alla quarta differenza. In Spagna le issue delle destre sono almeno in parte diverse, rispetto all’Italia. Le grandi narrazioni delle destra spagnola sono sempre state una minore pressione fiscale, la glorificazione del settore privato e una ben poco nascosta tendenza alla svalutazione salariale e ai tagli ai servizi pubblici come formula per risolvere i problemi economici. Sulle questioni tipiche delle guerre culturali delle nuove destre (diritti, difesa dei ruoli tradizionali di genere, addirittura rapporto con la scienza…) le posizioni sembrano essere meno incisive.
Vox ha sì tentato di utilizzarne alcune (l’immigrazione, o i diritti delle donne), ma si è scontrata con il fatto che soprattutto su alcuni temi che in Italia sono oggetto di grande battage elettorale da parte delle destre (come l’aborto, o i diritti del collettivo LGTBI) il grosso della società spagnola non è disposto a tornare indietro, anche fra settori significativi dell’elettorato di destra. Le ragioni possono essere molte e, sicuramente, una di esse è il fatto che il passaggio dalla dittatura alla democrazia ha significato il consolidamento di diritti e libertà negati in maniera assoluta dal franchismo fino a date improponibili per un paese dell’Europa Occidentale. Solo per fare due esempi, non solo da quando è entrato in vigore (ormai 17 anni fa) il matrimonio civile fra persone dello stesso sesso non si è verificato neanche un caso di “obiezione di coscienza” fra i consiglieri comunali del PP che avrebbero dovuto celebrare i matrimoni, ma solo poche settimane fa, Isabel Díaz Ayuso, potentissima presidenta della regione di Madrid ed esponente di spicco della destra del PP, non ha esitato a difendere la legge – presentata da poco – che permette alle ragazze dai 16 ai 18 anni di abortire senza dover ottenere il consenso dei genitori.
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Infine, la quinta differenza ha a che fare con la situazione delle sinistre. Per le destre (moderate o estreme che siano), non è la stessa cosa avere un avversario che sembra sconfitto in partenza – come sta accadendo in Italia per queste elezioni grazie ai meccanismi della legge elettorale – o dover competere con una sinistra che non solo ha ancora forza elettorale, ma gode anche di un certo prestigio in diversi settori della società. Ciò si deve ad esempio alle conseguenze di un ricambio generazionale potenziato e accresciuto dal movimento degli Indignados e dai suoi attivisti. Un ricambio che in Italia non c’è stato, in Spagna ha funzionato in termini programmatici ed anche in termini di capacità di interloquire e comunicare con la società, anche perché la generazione più giovane è alle prese con problemi sociali ben diversi dalle precedenti. Questo ha avuto un riflesso sull’insieme dell’agenda politica, certamente per tutto quello che riguarda diritti e libertà, ma anche per quello che riguarda le questioni socioeconomiche.
La regolazione dei prezzi dell’energia – che il governo progressista di Pedro Sánchez ha adottato, tentando (insieme all’Italia) di estenderla al resto dell’Unione Europea, la riforma del mercato del lavoro voluta dalla ministra Díaz che ha ridotto drasticamente la precarietà, e, più recentemente le proposte di un equo canone sugli affitti o di una limitazione dei prezzi del paniere degli alimenti, secondo tutti gli studi d’opinione sono misure e proposte che hanno fatto breccia anche in settori significativi dell’elettorato conservatore. Hanno quindi consentito che i partiti di sinistra mantenessero un forte ancoraggio elettorale nelle fasce sociali medio-basse, al contrario di quanto accade in Italia.