Dopo l’Iowa, la rischiosa lotta a tutto campo tra i Democratici

Non potevano iniziare in modo peggiore le primarie del Partito Democratico per scegliere il candidato che sfiderà Donald Trump il 3 novembre per la Presidenza degli Stati Uniti. Il voto in Iowa è il primo della lunga contesa che poi si terrà, nei prossimi mesi, in tutti gli Stati del Paese e si chiuderà alla Convention del partito a Milwaukee a metà luglio. Ma dopo due giorni dalla chiusura dei “caucus”, le assemblee che scelgono i delegati nelle 99 contee dello Stato, i risultati non sono ancora definitivi.

L’incredibile attesa è dovuta al guasto di una app sviluppata da un’azienda digitale collegata al partito, i cui componenti avevano già lavorato sia per la campagna di Hillary Clinton nel 2016 che per il Comitato Nazionale Democratico: la app doveva raccogliere ed elaborare i risultati elettorali, ma non ha funzionato. Nell’imbarazzo generale, lo stato maggiore del partito ha puntato il dito su alcuni passaggi tecnici specifici, ma da quello che si è potuto sapere dai seggi dell’Iowa, il fallimento è legato all’errore di non testare il meccanismo su larga scala prima del voto. Addirittura, in alcuni casi, non è stato possibile caricare i dati sull’app perché i cellulari non avevano abbastanza campo per funzionare: eventualità possibile in uno stato come l’Iowa, esteso e poco popolato, con molte abitazioni e piccoli centri urbani isolati e a grande distanza l’uno dall’altro.

Così, solo 21 ore dopo la chiusura delle operazioni sono stati comunicati dati riguardanti il 62% dei seggi, raccolti a mano e non si sa bene come. Al momento, 36 ore dopo la fine del voto, i dati disponibili coprono soltanto il 71% dei seggi. E’ abbastanza per dire chi ha vinto? Sì, ma non con estrema precisione, dato il gran numero di candidati.

Se partiamo dalla media dei sondaggi della vigilia per valutare il risultato, appaiono immediatamente un vincitore e uno sconfitto.

Iowa, media dei sondaggi pre-elettorali. Fonte: New York Times

 

Iowa – Risultati (71% dei seggi scrutinati). Fonte: New York Times

 

Il vincitore è Pete Buttigieg, ed è una sorpresa. Buttigieg, veterano dell’Afghanistan, sindaco di una città di centomila abitanti nell’Indiana, senza esperienza politica a livello nazionale, ha superato i senatori (di nome e di fatto) Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, e l’ex vicepresidente degli Stati Uniti (dal 2008 al 2016, con Barack Obama) Joe Biden.

A nostro avviso, tre fattori spiegano questo risultato. Per cominciare, l’Iowa è uno stato con caratteristiche simili all’Indiana, sebbene ancora più rurale e meno popolato. La più grande area metropolitana dell’Indiana raccoglie meno di un milione di abitanti, mentre la capitale dell’Iowa, Des Moines, ne conta duecentomila. Buttigieg sarà stato certamente in grado di parlare e farsi capire dagli elettori di un territorio simile a quello dove vive, che amministra e conosce bene.

Le primarie del 2016 avevano dato la vittoria a Hillary Clinton di misura, 49,8% contro il 49,6% di Bernie Sanders. Un voto dunque che premiava la novità della proposta di Sanders. La ricerca del volto nuovo, della ventata di aria fresca rispetto a candidati già conosciuti e anche abbastanza anziani, potrebbe aver premiato il 37enne Buttigieg soprattutto in confronto al 78enne Sanders (stavolta non era lui “il nuovo”) e al 77enne Biden, ma anche alla 70enne Warren. E Pete Buttigieg di novità ne incarna parecchie, non solo nella sua proposta politica ma anche nella biografia: il papà, emigrato maltese, è stato per 29 anni professore di letteratura alla celebre università di Notre Dame, dove ha tradotto per primo in inglese i Quaderni dal Carcere di Antonio Gramsci. Buttigieg, che ha fatto coming out cinque anni fa, ha accumulato premi come miglior sindaco d’America e ha sposato il suo compagno nel 2018.

La terza ragione del suo successo sta tutta nella debolezza del perdente del voto in Iowa: Joe Biden. Secondo i sondaggi, Biden era addirittura in testa nelle intenzioni di voto nazionali. Come spesso accade, però, la notorietà del personaggio ha “dopato” le stime. La proposta di Buttigieg, politicamente più moderata di quelle di Warren e Sanders, ha attirato quell’elettorato attribuito a Biden, candidato appesantito invece dall’appartenenza all’establishment, dallo scandalo in cui suo fratello è finito in Ucraina, e dallo scarso entusiasmo attorno al suo nome. Con il suo 15%, la candidatura Biden potrebbe già naufragare se andasse male anche nei prossimi appuntamenti, New Hampshire (11 febbraio), Nevada (22) e South Carolina (29 febbraio, dov’è favorito). Se accadesse, però, Buttigieg non potrebbe cantare vittoria: a disputargli l’elettorato meno radicale arriverà anche Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York e multimiliardario che ha deciso di non partecipare alle prime quattro primarie, concentrando invece la sua potenza di fuoco (finanziaria e di popolarità) sul Super Tuesday, il 3 marzo.

Il 3 marzo voteranno 14 stati nello stesso momento, tra cui California, Texas e Massachussets. Gli undici candidati di oggi saranno ridotti a un peloton finale. Chi ne farà parte? Molto probabilmente Bernie Sanders. Il senatore del Vermont puntava alla vittoria in Iowa, ma il suo 25% sarebbe comunque un risultato migliore di quanto gli attribuissero i sondaggi della vigilia. Inoltre, se invece della percentuale dei delegati si conta il singolo voto degli elettori, è lui a risultare in testa, di circa un migliaio di preferenze, su Buttigieg.

Iowa – risultati (voto popolare, 71% dei seggi scrutinati)

 

Il sistema dei caucus spiega questa doppia tabella: agli elettori è consentita una seconda scelta se, nel loro seggio, il candidato scelto in primo luogo non ha raggiunto il 15%. Sanders mostra una forza maggiore come prima scelta, quando stacca più nettamente i suoi avversari. Tuttavia, come seconda scelta, è Buttigieg a raccogliere la maggior parte dei voti di Biden e Klobuchar: ciò significa che il senatore del Vermont ha una certa difficoltà a pescare fuori dal recinto dei suoi supporter più caldi, e questo – se confermato – è un ostacolo decisivo al successo finale.

Nemmeno Elizabeth Warren può dirsi delusa: di fronte alla prospettiva di essere “mangiata” dalle proposte radicali di Sanders, di fronte alle quali le sue potevano apparire come la copia sbiadita, la senatrice del Massachussets (ma cresciuta in Oklahoma) dimostra una certa resilienza. La svolta “femminista” delle ultime settimane, o per meglio dire l’accento più forte e il protagonismo maggiore posto sulle donne dalla sua narrativa, hanno pagato: nella top 4, l’unica donna è lei.

Chi appare invece alle calcagna del gruppo di testa è Amy Klobuchar, unica candidata di mezza età (ha 59 anni) e popolarissima senatrice del Minnesota. Buon risultato il suo 12,6%: se fosse finita sotto il 10%, la sua gara sarebbe già finita. Ma Klobuchar ha avuto un balzo di notorietà grazie all’endorsement mediatico più prestigioso che potesse ricevere, quello del New York Times – che ha indicato anche Warren. Curiosamente, i suoi voti in Iowa sono arrivati soprattutto dalle contee del nord, quelle confinanti con il suo Minnesota, dove la conoscono meglio. Un segno di popolarità, certo, ma anche l’avvertimento di una possibile discesa appena si voterà in stati lontani dal Minnesota.

Mentre lo spoglio dell’Iowa è ancora in corso, Donald Trump ha dato il suo discorso sullo Stato dell’Unione. Il fallimento della macchina elettorale in Iowa ha depresso i Democratici, già gravati dal fallimento dell’impeachment, bocciato al Senato (come previsto), che ha offerto a Trump una veste di imbattibilità che non aveva. La Presidente della Camera Nancy Pelosi, Democratica della California, mentre Trump parlava, ha strappato la copia cartacea del suo discorso come gesto di eclatante dissenso. E’ un’altra prova dello scontro furioso e senza esclusione di colpi che si preannuncia in vista del 3 novembre. E che i Democratici hanno cominciato con il piede sbagliato.

 


Iowa – mappa elettorale dei risultati per contea. Fonte: New York Times

 

 

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