Dopo la COP30: il futuro del Brasile da capitalismo estrattivo a capitalismo di trasformazione

La COP30 di Belém si è chiusa senza un accordo aggiornato e onnicomprensivo sui combustibili fossili, ma ha comunque raggiunto alcuni obiettivi importanti: in particolare, con l’approvazione del Global Mutirão, introduce nuove aree di lavoro sulla riduzione delle emissioni e sull’aumento dei finanziamenti per l’adattamento climatico. L’intesa si ispira alla tradizione amazzonica della collaborazione collettiva. Il presidente della conferenza, André Corrêa, ha annunciato la stesura di due tabelle di marcia volontarie: una per fermare e invertire la deforestazione, l’altra per accompagnare la transizione energetica. L’accordo prevede inoltre di triplicare entro il 2035 i fondi destinati all’adattamento climatico dei Paesi in via di sviluppo, con una stima di 120 miliardi di dollari.

Foto di gruppo dei dirigenti politici alla COP30, con Lula al centro

 

In questa impostazione complessiva delle politiche ambientali è evidente l’impronta del Paese ospitante, il Brasile. Il Presidente Luiz Inácio Lula Da Silva ha evocato la necessità di costruire “una governance globale più solida, in grado di garantire che le parole si traducano in azioni. La proposta di creare un Consiglio per il clima, collegato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è un modo per dare a questa sfida l’importanza politica che merita”.

Ma, guardando al quadro interno di quella che è comunque una delle prime dieci economie al mondo per PIL (al numero 9 secondo le stime 2025), il vero problema del Brasile rimane difficile da affrontare: è da sempre rappresentato da un contesto dinamico e complesso, con un ampio mercato interno basato su un capitalismo estrattivo che però è poco diversificato. In tale contesto si inserisce il crescente impegno verso la transizione ecologica e una particolare attenzione all’innovazione industriale e digitale.

La presidenza Lula è entrata nel suo terzo anno di amministrazione e, come ci dicono i dati della Banca Centrale brasiliana, l’economia torna a crescere dopo tre mesi in calo. Nei primi otto mesi dell’anno si è registrata una crescita del 2,6%. Il dato positivo arriva dopo tre mesi consecutivi di contrazione economica. Rispetto ad agosto del 2024 la crescita è stata dello 0,1%. Nel corso dei primi otto mesi dell’anno l’economia brasiliana segna un’espansione del 2,6%.

Sebbene l’agricoltura e le materie prime rimangano centrali nell’economia del Paese, nelle intenzioni del presidente c’è quella di trarre vantaggio nel prossimo futuro anche da settori emergenti come le infrastrutture digitali e il turismo per contribuire ad una crescita del PIL e ad una stabilità economica che sia anche diversificata.

In particolare, nel panorama globale dell’intelligenza artificiale, il Brasile inizia a configurarsi come un attore significativo, soprattutto per il crescente impegno normativo del governo. Le aziende stanno investendo in iniziative di intelligenza artificiale per promuovere innovazione ed efficienza. Dalle startup alle grandi aziende, l’ecosistema brasiliano dell’intelligenza artificiale è fiorente, con centri di ricerca, incubatori e hub di innovazione che stanno emergendo in tutto il Paese.

Lo stato di Minas Gerais, ad esempio, si colloca al sesto posto assoluto in Brasile per le migliori condizioni di sviluppo dell’innovazione, secondo i risultati della prima edizione dell’Indice Brasiliano di Innovazione e Sviluppo, affermandosi come un centro di innovazione grazie ad alcune iniziative che rafforzano la collaborazione tra aziende e istituzioni: una nuova vitalità economica che non è più data solo dalle riserve minerarie ma anche per i parchi industriali avanzati e i centri tecnologici. Il tutto unito alle politiche pubbliche volte alla modernizzazione normativa e all’attrazione degli investimenti.

Il Brasile è anche leader nella sicurezza informatica: secondo i dati di Mordor Intelligence, il mercato brasiliano è il più grande in termini di fatturato. Le proiezioni della società di consulenza indicano una crescita annua di circa il 10% e un fatturato di 4,85 miliardi di dollari entro il 2027. Questo è stato possibile perché il Brasile sta finalmente guardando al futuro avviando un investimento importante nella formazione e nello sviluppo costante dei propri team delle aziende tecnologiche, e su start up emergenti che seguono le nuove tendenze gettando un occhio sia sugli Stati Uniti che sulla Cina.

Uno dei risultati più significativi dell’ultimo studio condotto dall’Associazione Brasiliana delle Aziende di Software (ABES) in collaborazione con l’International Data Corporation (IDC) è che il 75% delle aziende brasiliane di medie e grandi dimensioni prevede di aumentare i propri investimenti in Information Technology (IT) entro il 2025.

Il Brasile è attualmente il nono mercato mondiale per investimenti in ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), con una crescente attenzione al settore del software e dei servizi. È in questo contesto che l’intelligenza artificiale sta avendo un forte impatto. Secondo lo stesso studio, il 96% delle aziende utilizza già o intende utilizzare l’IA nei prossimi 12 mesi.

Ciò di cui ha realmente bisogno il governo brasiliano è di rigenerare la fiducia collettiva e rinnovare la politica valorizzando partecipazione, legittimità e nuovi modelli civici tra le organizzazioni governative e i cittadini. Si tratta di processi che maturano dall’interno delle istituzioni stesse, sfruttando tecnologia, partecipazione e capitale sociale come leve di trasformazione. Come ha sottolineato il politologo brasiliano Sérgio Abranches, noto per aver coniato l’espressione “presidenzialismo di coalizione”: «La sopravvivenza della democrazia brasiliana dipende dalla capacità delle sue istituzioni di rinnovarsi senza spezzarsi».

Come hanno notato molti analisti, il Brasile ha in effetti tutte le carte in regola per affermarsi come attore di primo piano nell’ambito della transizione energetica, soprattutto per quanto riguarda le tecnologie ecosostenibili.

Nonostante i progressi in corso, il Brasile deve puntare con coerenza su un capitalismo di trasformazione, ma non può sottovalutare la carenza di talenti e infrastrutture adeguate, che possono ostacolare lo sviluppo di nuove tecnologie.

È per questo che il governo Lula investirà 1 miliardo di R$ per rimpatriare gli scienziati e contrastare la fuga dei cervelli con il progetto Knowledge Brazil Program che offrirà borse di studio speciali del valore mensile di 13.000 reais ad almeno mille scienziati.

«Non serve a nulla che la scienza venga svolta solo negli istituti di ricerca, perché in questo modo il Paese non progredisce. Abbiamo bisogno di dottorati di ricerca in aziende che promuovano l’innovazione e lo sviluppo tecnologico basati sulle moderne conoscenze scientifiche», ha dichiarato il presidente del Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Scientifico e Tecnologico (CNPq), Ricardo Galvão, al quotidiano Folha de S.Paulo.

E’ un passo nella giusta direzione, che si è riflesso anche nel ruolo complessivamente costruttivo e accorto svolto dal Brasile nella delicata gestione della COP30.

 

 

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