Cosa osservare per capire il voto del 3 novembre 2020

I sondaggi non sono voti e, anche qualora fossero corretti al millimetro, i sondaggi nazionali non indicano necessariamente chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. In elezioni che prevedono la nomina di grandi elettori assegnati Stato per Stato con il sistema maggioritario puro sono – come sempre – i risultati degli Swing States a pesare. Guardare a questi è dunque più utile che non guardare alle percentuali assolute.

Ricordiamolo ancora una volta: il presidente Trump ha conquistato la presidenza nel 2016 grazie ai successi in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, con lo 0,2%, 0,7% e 0,8% di scarto, in totale meno di 80mila voti. E Al Gore perse le presidenziali del 2000, contro G. W. Bush, per 500 voti in Florida. Un piccolo spostamento in una singola contea può quindi cambiare il risultato finale di tutto il paese.

Gli Stati che decideranno il risultato

I numeri dei sondaggi sugli Stati da seguire per sapere chi vincerà le presidenziali, e quale partito otterrà la fondamentale maggioranza in Senato, considerato impossibile che i Dem perdano la Camera, ci indicano però due cose: Joe Biden è nettamente favorito e, soprattutto, ha più strade possibili per arrivare alla Casa Bianca. Il numero di Stati in bilico è infatti piuttosto alto e in tutti o quasi l’ex vicepresidente appare in vantaggio. Può permettersi di perderne diversi, e vincere comunque. Ma esiste ancora l’eventualità che li perda tutti, ed è per questo che il fantasma del 2016 continua ad agitare il sonno degli strateghi democratici.

A oggi sono in ballo gli Stati del cosiddetto Blue Wall, Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, proprio quelli che regalarono a sorpresa la vittoria a Trump, e anche Ohio e Iowa, che condividono alcune caratteristiche demografiche ed economiche con parte del Blue Wall. In più, la solita Florida a Sud, l’Arizona a Sud-Ovest, e la North Carolina e la Georgia, due stati divenuti cerniera tra il Sud e il Nord della East Coast.

 

Il duello della ruggine

Trump ottenne un buon risultato a sorpresa nel Blue Wall, cioè l’ex roccaforte operaia democratica, per diverse ragioni; non vinse perché la classe operaia bianca scelse il partito repubblicano, ma certo la white working class fu un bacino importante. Le zone industriali dell’Ohio, il Nord carbonifero e ricco di gas da fracking della Pennsylvania, le città industriali in decadenza e preoccupate del futuro, comprarono la promessa di far tornare in America il lavoro industriale (e preservare quello minerario).

Promessa mancata: gli Stati della “cintura della ruggine” sono quelli dove, anche prima del coronavirus, il mercato del lavoro era meno dinamico che altrove. In Michigan, Ohio, Wisconsin e Minnesota i posti di lavoro nel manifatturiero sono cresciuti in maniera blanda dal 2010 al 2018 per poi prendere a calare alla fine dell’anno a causa della guerra commerciale con la Cina. Prima dello scivolone da coronavirus l’occupazione industriale nella regione era calata dello 0,5%, mentre a livello nazionale cresceva dello 0,7%. Nessun miracolo prima, dunque, e oggi una situazione pessima: le miniere di carbone, nel frattempo, continuavano a chiudere. Questa delusione, che favorirebbe Biden, potrebbe essere però controbilanciata da una alta partecipazione alle urne degli evangelici, che già nel 2016 furono essenziali per vincere.

I sondaggi ci dicono che Biden è in testa e se recupererà quei 78mila voti – usiamo questo numero per dire se vincerà Pennsylvania, Wisconsin e Michigan – è quasi certo di tornare alla Casa Bianca. Per vincere gli servono un po’ di quei consensi che altrove sono meno cruciali per i democratici: quelli dei lavoratori bianchi senza laurea che, ad esempio in Ohio nel 2016 erano il 55% degli elettori totali (in questi Stati tutti i bianchi sono attorno al 75% dei residenti).

Sostenitori di Trump a Bethlehem, Pennsylvania. Nello Stato, il vantaggio medio di Biden nei sondaggi è +4,9%

 

La formula è far dimenticare il Nafta, il famigerato trattato nordamericano di libero scambio accusato di aver portato posti di lavoro americani in Messico, e la globalizzazione clintoniana, e promettere una qualche forma di futuro. E parlare molto alle donne che vivono nella enorme suburbia di questi Stati, che con le fabbriche che hanno chiuso rischia di conoscere anch’essa, come le città, una decadenza senza ritorno.

 

The F Factors

Per mille ragioni la Florida fa storia a sé. Assieme all’Ohio è lo swing state per eccellenza, cambia spesso colore, e come l’Ohio nelle ultime tornate elettorali ha votato più repubblicano che in passato. Il Sunshine State è lo Stato dove le due campagne hanno speso di più. La Florida è importante perché pesa molto dal punto di vista dei grandi elettori (29) e perché è uno specchio dell’America con la popolazione bianca poco sopra al 50%, una minoranza ispanica molto grande e diversificata (i cubani e i portoricani ne compongono il 42%, chi viene da Messico, Guatemala, Honduras, ecc. il 35%) e un’ampia minoranza afroamericana (16%). In più, nella parte Nord e non costiera dello Stato, specie a ovest, vive una popolazione bianca che somiglia molto a quella evangelica degli Stati del Sud, mentre Miami è una specie di regno del peccato – e della fiction televisiva latinoamericana. Infine, gli over 65 sono il 5% in più della media nazionale e questo è un vantaggio oggettivo per il Grand Old Party, solo in parte attutito dal fatto che una parte dei pensionati al sole della Florida si è trasferita dalla democratica New York City.

Data questa mappa, non è un caso che i terreni di scontro maggiori siano tre: il corteggiamento del voto cubano da parte repubblicana contro un corteggiamento del voto latino (tutto) da parte di Biden; il tentativo di impedire il voto degli ex-detenuti portato avanti dai repubblicani; e infine lo scontro simbolico, e non solo, nella suburbia per anziani per eccellenza, i “Villages”, cioè le gated community dove vivono circa 100mila pensionati.

Il movimento dei “golf carts” nei Villages della Florida, a favore di Joe Biden – dato alla pari con Trump nei sondaggi locali.

 

Del voto ispanico c’è poco da dire: la scommessa di Trump è quella di dipingere Biden come un castrista, cosa che non è detto funzioni con i cubani di seconda e terza generazione che erano favorevoli alla riapertura del dialogo con L’Avana. Biden, dopo una percezione di non entusiasmo da parte della comunità latina nel suo complesso (che gli preferiva Bernie Sanders grazie al suo legame con la deputata di origine portoricana Alexandria Ocasio-Cortez) ha organizzato eventi e reclutato figure che mobilitassero il voto ispanico.

Quanto agli ex-detenuti, un referendum approvato nel 2018 tornava a concedere il diritto di voto ai detenuti (un milione di persone, si calcolava al tempo), ma una legge repubblicana approvata successivamente, con un cavillo, torna a ostacolare questo diritto civile: lo congela nel caso gli ex detenuti abbiano multe da pagare. La contromossa, immaginata da Michael Bloomberg, è quella di pagare le multe. Difficilmente funzionerà e così, a Biden, per vincere serviranno decine di migliaia di voti in più – dato che i detenuti americani, spesso afroamericani, tendono a votare democratico.

Ma gli anziani sono il vero terreno di scontro nello Stato dei pensionati. Vivono nella suburbia e in gated communities, in molti apprezzano Trump e la sua promessa del ritorno all’America che fu. Molti altri apprezzano la moderazione di Biden o detestano il presidente. Ai Villages, la tipica comunità perfetta, ricca di attrattive e senza una cartaccia fuori posto, le cronache raccontano di tensioni tra sostenitori delle due fazioni. Un sondaggio di probabili elettori condotto alla fine di agosto e all’inizio di settembre per l’AARP (American Association of Retired Persons), la lobby dei pensionati, ha mostrato che Biden è un punto avanti a Trump tra gli ultra 65enni. Si tratta di un vantaggio minimo, ma nel 2016 questo gruppo regalò a Trump un margine di vantaggio su Clinton di 17 punti. La Florida, con la North Carolina, resta indubbiamente lo Stato più indeciso.

 

Il Sud verso Nord e l’effetto delle migrazioni interne

E a proposito di Carolina, la demografia che cambia e una forte presenza delle minoranze rendono lo Stato e la confinante Georgia competitivi nonostante uno sforzo davvero notevole del Partito Repubblicano di ostacolare anche qui il diritto di voto. In entrambi gli Stati (con la Georgia assai più in dubbio), molto dipende dal voto degli afroamericani e dei nuovi residenti insediati in questi due Stati del Sud che hanno una struttura economica ben più dinamica del resto della regione. Se dovessero perdere in questi Stati, per i repubblicani sarebbe un disastro che implicherebbe  una probabile valanga democratica altrove. La North Carolina è un vero swing state, perso però dai democratici a partire già dal 2012. La Georgia invece non è mai stata in discussione, se non alle elezioni per il governatore del 2018, quando solo l’aver cancellato migliaia di persone dalle liste elettorali consentì all’attuale governatore repubblicano Brian Kemp di vincere.

Infine c’è l’Arizona, che non sarebbe uno swing state se non per dinamiche demografiche che riguardano tutto il West e per un brand repubblicano relativamente moderato che nello Stato ha una tradizione recente incarnata dai senatori John McCain e Jeff Flake. Il secondo, critico di Trump, non si è ricandidato nel 2018 e ha annunciato il voto per Biden, come del resto la vedova del veterano che fu candidato contro Obama nel 2008. Qui la popolazione bianca è il 54%, i nativi potenzialmente pesano (sono il 5%) e hanno pagato un prezzo alto a causa del coronavirus, e gli ispanici sono circa un terzo della popolazione. Si tratta soprattutto di ispanici “nativi” i cui antenati divennero cittadini statunitensi a partire dal 1850, dopo la guerra USA-Messico.

Nel 2018 la senatrice democratica Kyrsten Sinema conquistò il 70% dei loro voti e questo è l’obbiettivo di Joe Biden. I sondaggi dicono che una parte dei giovani latinos potrebbe scegliere Trump in misura maggiore che non nel 2016. Si tratta di piccoli numeri che potrebbero comunque fare la differenza. La dinamica migratoria che ha portato molti giovani bianchi a trasferirsi qui specialmente dalla California, pure gioca un ruolo. Con Texas e Florida, l’Arizona è il terzo Stato per crescita di popolazione recente, Phoenix e tutta la Maricopa County sono il polo che attrae di più. Il paradosso politico è che la contea votò a più riprese Joe Arpaio come suo sceriffo, una delle figure più radicali e di destra che la politica nazionale USA abbia conosciuto negli ultimi anni.

L’area metropolitana di Phoenix guida lo spostamento a sinistra dell’Arizona

 

Questa dinamica migratoria cambia la mappa elettorale: i sondaggi indicano un netto vantaggio per Biden tra i bianchi con laurea, un gruppo che quattro anni fa votò in maggioranza Trump. Spostamenti di popolazione simili rendono competitivo persino il Texas, non tanto in termini di voto generale ma per la possibilità che i democratici guadagnino qualche seggio alla Camera.

Dunque, in vista del 3 novembre è opportuno avere massima attenzione sugli swing state, fiducia nel quadro complessivo tracciato dai sondaggi, ma anche consapevolezza che pochi voti possono di nuovo fare una grande differenza.

In molti degli Stati di cui si parla qui è anche in ballo un seggio per il Senato e quelle corse possono trascinare o essere condizionate dal voto nazionale. In Arizona, ad esempio, il candidato democratico Kelly ha un vantaggio maggiore nei confronti della sua rivale, di quello di Biden. Kelly potrebbe insomma aiutare l’ex vicepresidente. Le battaglie senatoriali, inutile sottolinearlo, sono quasi importanti come quella generale. Chiunque vinca tra Trump e Biden, senza una maggioranza nella Camera alta rischia di vedere bloccata la sua agenda.

 

 

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