Congo: miniere di cobalto e grandi interessi internazionali

La narrazione dell’Africa come miniera del pianeta non è peregrina, e fonda le proprie basi su un’industria estrattiva che oggi è ricca e in fase espansiva. Dietro al dato aggregato, ossia che specialmente la parte centrale del continente contribuisce in maniera sostanziale al fabbisogno globale di materie prime, l’estrazione di alcuni minerali essenziali per l’industria tecnologica è perfino più significativa. Il cobalto in particolare è salito all’onore delle cronache economiche perché rappresenta una componente – quella che lascia incamerare elettroni – indispensabile delle batterie al litio; e queste ultime alimentano gran parte della tecnologia “mobile” del presente e del futuro: dagli smartphone alle automobili e alle biciclette elettriche.

Probabilmente non esiste al mondo un paese che esemplifichi così bene la contraddizione tra ricchezza di risorse naturali e povertà della popolazione come la Repubblica Democratica del Congo (RDC) – l’ex Congo belga (da non confondere con la Repubblica del Congo, cioè l’ex Congo francese). Senza ombra di dubbio, le sue miniere sono le più ambite del pianeta: non solo per il quadro normativo molto elastico che ne regolamentava il funzionamento fino a poco tempo fa, ma soprattutto perché contribuiscono con una percentuale gargantuesca alla produzione mondiale.

Il tesoro minerario della Repubblica Democratica del Congo

 

Si calcola che oltre il 53% del cobalto in circolazione nel 2016 veniva estratto in RDC (66mila tonnellate su circa 123mila). È comprensibile quindi che la RDC sia oggi una destinazione molto ambita per le multinazionali, sia quelle che si occupano di estrazione, sia quelle che muovono le migliaia di tonnellate estratte verso le raffinerie – localizzate per la maggior parte in Cina.

La produzione di Cobalto nel 2016. Fonte: United States Geological Service

 

In realtà, a dispetto dei potenziali vantaggi che tale posizione potrebbe portare al paese, la situazione in RDC è attualmente molto delicata: nonostante le grandi risorse, il paese trae un beneficio molto esiguo da questo traffico internazionale di materie prime. La Federazione delle Industrie della RDC stima che, sempre nel 2016, solamente 88 milioni di dollari siano entrati nelle casse dello stato come risultato dell’attività estrattiva legata al cobalto, a fronte di oltre 2.600 milioni di introito complessivo generato dalle multinazionali. Una percentuale praticamente insignificante. Ma nel 2018, il presidente Joseph Kabila, di comune accordo con il Ministro delle Miniere Martin Kwabelulu ha proposto una revisione sostanziale del codice che regolamenta lo sfruttamento delle risorse minerarie del paese (incluso chiaramente il cobalto), e quindi degli accordi transnazionali.

 

Secondo molti, questo squilibrio fu inizialmente dettato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), al tempo creditore della RDC e di cui finanzia tutt’oggi lo sviluppo. Preoccupato di liberalizzare un mercato asfittico, negli accordi post bellici del 2002 il FMI impose una tassa molto esigua – appena del 2% –sull’estrazione e il trasferimento all’estero di rame e cobalto, una percentuale talmente bassa da rendere praticamente infruttifera (almeno per le casse pubbliche) l’intera produzione. Da allora però le tonnellate estratte sono più che raddoppiate, passando da 450.000 a oltre un milione. Per questo motivo, l’esplosione dell’industria del cobalto in RDC non ha un reale impatto sui conti dello Stato, e presenta un ritorno ancora minore sulla qualità della vita della popolazione: a titolo d’esempio, la RDC occupa criticamente il 176° posto sui 188 paesi del mondo classificati per lo Human Development Index dell’ONU.

Nell’attuale contesto, e nonostante la citata revisione del codice di sfruttamento, diverse multinazionali hanno potuto beneficiare dei ricavi prodotti dalla ricchezza del sottosuolo congolese. Industrie come Glencore, CDM, Randgold, China Molybdenum e altre hanno indirizzato le loro attività in RDC; ad esempio, gli svizzeri di Glencore concentrano nelle loro mani uno spaventoso 35% dell’intera produzione mondiale. Nel corso del tempo, molte altre industrie hanno aperto stabilimenti in diretta prossimità dei siti estrattivi (da Volkswagen ad Apple, da Microsoft a Huawei) assicurandosi così una fetta cospicua della torta mineraria congolese.

Questo quadro è aggravato dalle condizioni di lavoro in cui versano i minatori. Poiché il cobalto si presenta sotto forma di sedimenti dalle ridotte dimensioni, una parte significativa viene estratta a mano; oltretutto, spesso i filoni sono accessibili solamente attraverso tunnel angusti e scavati in modo rudimentale. Diverse organizzazioni non governative, ed in particolare Amnesty International e Afrewatch (che hanno pubblicato anni fa un rapporto congiunto) hanno denunciato le ripetute e continue violazioni dei diritti umani nelle miniere. Incidenti e morti bianche sono frequenti, specialmente nelle regioni del Katanga, dove le miniere costruite e gestite in maniera artigianale sono numerose. Gli orari di lavoro superano spesso le 12 ore giornaliere. Per di più, l’UNICEF ha stimato in circa 40.000 i bambini dai 3 ai 7 anni che lavorano quotidianamente nelle miniere; altre centinaia di migliaia di lavoratori operano in condizioni precarie che sfidano le più elementari regole sulla sicurezza del lavoro. Le (deboli) protezioni sindacali vengono facilmente aggirate, col risultato di gonfiare un traffico illegale di materie prime che elude i controlli e viene iniettato direttamente nei flussi di commercio internazionale.

Bambini al lavoro setacciando il terreno per raccogliere cobalto

 

Il nuovo codice minerario è entrato in vigore nel 2018. Ha previsto un aumento della tassazione dal 2% al 10%, allineando così il Congo alla media mondiale del settore. Tuttavia, la nuova legislazione ha ricevuto critiche da tutte le parti in causa, a cominciare dagli attivisti per i diritti umani che accusano il governo di aver perso un’occasione per regolamentare le condizioni dei minatori. Altri hanno richiamato l’assenza di provvedimenti in grado di contrastare la dilagante corruzione,  che è stata per anni un freno ad azioni più decise da parte del Governo. Il settore estrattivo ne ha messo in evidenza il pregiudizio economico ai propri danni.

In ogni caso, queste misure avranno una conseguenza sul mercato del cobalto. A maggior ragione, se si pensa che la maggior parte delle risorse sono concentrate in poche industrie estrattive, e raffinate per l’80% in Cina: le condizioni ideali di mercato sono ben lontane. Alcuni ritengono che le nuove tasse governative impatteranno sul prezzo del cobalto, ricadendo poi sul prezzo dei prodotti finiti: e il prezzo del cobalto è già aumentato del 195% negli ultimi 5 anni.

Domanda e offerta di cobalto nel mondo. Fonte: Qualenergi.it

 

Si tratta di un effetto diretto e cruciale per il mercato globale. La domanda sta crescendo in maniera molto più rapida rispetto all’offerta, e può mettere a repentaglio la tenuta del prodotto in futuro. Alcuni colossi della tecnologia stanno cercando di creare batterie senza cobalto da immettere sul mercato globale, e le ultime generazioni ne utilizzano effettivamente una quantità sempre minore; tuttavia, nel breve periodo è difficile immaginare che il mondo stacchi la spina dal cobalto.

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