La Costituzione della Repubblica Federale Tedesca è la base giuridica dell’elezione del “Cancelliere Federale”, investito di ampi poteri nell’ambito del governo del Paese – tanto che per il sistema tedesco si usa la formula di “democrazia del Cancelliere”.
La Costituzione formalmente approvata l’8 maggio del 1949 fu poi controfirmata dagli Alleati ed entrò in vigore pochi giorni dopo nel territorio di quella che allora era la Germania Ovest. Fu estesa alla ex Germania Est al momento della riunificazione, nel 1990. La Carta fu concepita anche allo scopo di correggere gli errori e i difetti che avevano provocato il crollo della Repubblica di Weimar negli anni ’30 e l’avvento del nazismo. Prevede un sistema parlamentare, in cui i Cancellieri sono eletti dal Bundestag, (corrispondente alla Camera dei Deputati), a cui devono rispondere.
Il Cancelliere non può essere rimosso prima della scadenza del suo mandato quadriennale, a meno che il Bundestag non si accordi previamente sul nome del successore. Questo meccanismo, chiamato della “sfiducia costruttiva”, è stato pensato per evitare le degenerazioni del parlamentarismo weimariano, quando i capi di governo spesso perdevano la fiducia del parlamento, ma il parlamento era troppo diviso al suo interno per formare altre maggioranze, cosa che conduceva a continue paralisi e ripetute tornate elettorali. Nel sistema attuale – come in Italia – il Cancelliere non ha il diritto di indire elezioni anticipate.
Diversamente che in Italia, invece, per prassi diventa Cancelliere il capolista – di solito anche il leader politico – del partito più votato alle elezioni. Vista la natura parlamentare del sistema, la scelta del Cancelliere viene però subordinata all’accordo politico tra i partiti che dovranno dargli la fiducia al Bundestag. Può dunque darsi il caso – successe nel 1980, 1976 e 1969 – che sia il capolista di un altro partito a costruire una coalizione capace di avere la maggioranza in parlamento.
La proliferazione dei partiti è impedita da una soglia di sbarramento nazionale al 5%. Metà dei 598 membri del Bundestag è eletta in 299 collegi uninominali, in cui i singoli partiti si sfidano e il candidato più votato passa al primo turno. Gli altri 299 sono ripartiti proporzionalmente secondo il voto dei partiti a livello nazionale; però, se i partiti ottengono risultati molto diversi nella quota maggioritaria e in quella proporzionale, si attiva un meccanismo di riequilibrio che porta il numero effettivo di seggi assegnati ad aumentare anche di molto: nel 2021 siamo ormai a 735. Ad esempio, un partito come i Verdi è riuscito a conquistare solo 16 seggi uninominali, ma grazie al suo 14,8% a livello nazionale ha diritto a un riequilibrio che gli frutta ben 118 seggi totali al Bundestag.
Inoltre, se un partito riesce a eleggere almeno tre candidati nei collegi uninominali, ha diritto alla rappresentanza parlamentare anche se non supera il 5% dei voti a livello nazionale. E’ stato il caso della Linke nelle elezioni appena concluse: il partito di sinistra radicale si è fermato al 4,9% a livello nazionale, ma avendo vinto nei collegi di Berlino Treptow-Köpenick, Berlino Lichtenberg e Lipsia II avrà comunque 39 deputati al Bundestag.
I partiti hanno dunque un ruolo fondamentale nella politica tedesca e nella scelta dei Cancellieri. Il sistema partitico tedesco, tra i più stabili a livello europeo, ha visto un andamento “a fisarmonica” nei decenni. Le prime elezioni, nel 1949, videro la partecipazione della CDU/CSU (che le vinse, con Konrad Adenauer), dei socialdemocratici della SPD e dei liberali della FDP: tre partiti che sono ancora oggi sulle schede elettorali tedesche. Ma insieme a loro c’erano anche il Partito Comunista, il Partito di Baviera e il Partito Tedesco, formazioni che scomparvero nel giro di un decennio perché messe fuorilegge (il caso dei comunisti) o perché la soglia di sbarramento gli impediva di competere. A partire dagli anni ’60 dunque il sistema tedesco si ridusse a soli tre partiti: democristiani, socialdemocratici e liberali furono gli unici sulle schede elettorali nazionali per vent’anni, dal 1961 al 1980, finché nel 1983 l’arrivo dei Verdi iniziò un’epoca di maggiore complessità e frammentazione, che continua a crescere ancora oggi.
Ormai, con sei partiti in gioco (SPD, CDU/CSU, Verdi, FDP, Alternative für Deutschland, Linke) non è più tanto semplice costruire un governo. Diversamente dall’Italia, il presidente della Repubblica tedesca non ha la funzione di arbitro delle trattative, né c’è un limite di tempo per formare una maggioranza. La prassi prevede che i partiti partano con dei negoziati esplorativi, e poi una volta definiti i soggetti della nuova maggioranza si procede ad elaborare un “contratto di governo” più dettagliato, che fissi le linee politiche del futuro esecutivo. Il contratto è sottoposto all’approvazione dei congressi dei partiti interessati, ma ad esempio la SPD nel 2013 e nel 2018 ha sottoposto il suo accordo di governo con la CDU di Angela Merkel al voto di tutti gli iscritti (che lo hanno accettato).
All’indomani delle elezioni del 2021, tutti i partiti tranne Alternative für Deutschland, che è esclusa di comune accordo da tutti gli altri, sono potenzialmente coinvolti nella formazione del futuro governo. La frammentazione del sistema partitico ha portato la Germania da una situazione all’inglese, con due partiti ad alternarsi da soli al potere magari con la stampella di un terzo, a una olandese o scandinava, con governi multi-partito costruiti dopo lunghi mesi di trattative. Per la cronaca, i Paesi Bassi, che hanno votato nel marzo del 2021, ancora non hanno un nuovo governo. Anche per la Germania la scelta del Cancelliere necessiterà di non poco tempo.
Finiti i negoziati, il Presidente della Repubblica comunica al Bundestag il nome del candidato Cancelliere, che è eletto a maggioranza assoluta. Se la maggioranza assoluta non si raggiunge, il Presidente può decidere di nominare lo stesso l’eletto che gode solo di maggioranza relativa, oppure di sciogliere il Parlamento. Ma finora questi due casi non si sono mai verificati, relegando il Capo dello Stato a una posizione di semplice notaio.
Nel 2017 però il fallimento dei complessi negoziati tra CDU/CSU, Verdi e Liberali ha spinto il Presidente Frank-Walter Steinmeier ad assumere un ruolo più simile a quello del suo omologo italiano: Steinmeier ha esortato i partiti a cercare un nuovo accordo, e ha condotto colloqui con i loro rappresentanti, con l’obbiettivo di trovare punti di convergenza. Alla fine sono state CDU/CSU e SPD a raggiungere l’intesa, arrivando a insediare il governo Merkel IV quasi sei mesi dopo le elezioni.