Cigni bianchi di fine anno

E’ naturale concentrare l’attenzione sugli eventi che appaiono sorprendenti e straordinari; eppure, molto spesso negli ultimi anni gli osservatori e gli analisti politici sono stati vittime di un’illusione ottica, intravvedendo “cigni neri” un po’ ovunque. In effetti, se gli strumenti analitici sono carenti, allora le vicende politiche – come i cigni – sembrano assumere strani colori. Proviamo a ricordare qualche caso importante in cui le previsioni prevalenti (o comunque fatte da numerosi esperti) sono state corrette, e dunque gli eventi sono stati per nulla sorprendenti. Hanno semmai sorpreso i giocatori di Risiko su misteriose scacchiere planetarie abitate da complotti che nessun altro sarebbe in grado di comprendere.

Planisfero con il mare al posto delle terre emerse

 

Errare è umano, ma compiono meno errori di prospettiva coloro che ricordano, con onestà intellettuale, le previsioni fatte. Ed è quindi utile tornare sugli eventi passati per testare, e soprattutto affinare, le proprie capacità di comprensione e interpretazione.

Caso n.1: Brexit ha prodotto danni economici notevoli, soprattutto alla Gran Bretagna (e certo anche alla UE, in un classico scenario “lose lose”). Come sempre accade, le difficoltà economiche si sono intrecciate con le vicende governative, per cui il Paese ha visto susseguirsi cinque Primi Ministri in sei anni. I dati sulla traiettoria economica britannica non lasciano comunque alcun dubbio, a cominciare da quelli di un ente ufficiale come l’Office for Budget Responsibility (OBR) e più recentemente dalle British Chambers of Commerce. La serie di scioperi pre-natalizi in vari settori-chiave confermano intanto che il dissenso è forte e diffuso. Da notare che la stragrande maggioranza degli osservatori esterni avevano tracciato esattamente uno scenario di questo tipo fin da prima del referendum del giugno 2016, che fu preceduto nel Paese da una campagna mediatica apertamente populista nei toni e “sovranista” nella sostanza.

 

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Caso n.2: l’intera esperienza politica di Donald Trump è stata un disastro senza precedenti per il sistema istituzionale americano, e la sua presidenza ha lasciato strascichi che ancora influenzano la vita politica in vista del voto del novembre 2024. In particolare, l’ingombrante presenza di Trump è un problema irrisolto per il Partito Repubblicano, che va oggi letteralmente rifondato se vuole uscire dal tunnel di rivendicazioni anti-establishment in cui si è infilato. Quando un capo di Stato e di governo (nel contesto degli USA, una singola figura) mostra palesemente e orgogliosamente uno scarsissimo senso delle istituzioni, forse c’è un problema serio. Chi si è poi sorpreso, o magari perfino pentito, ha sbagliato tutto nel valutare il 45° Presidente degli Stati Uniti.

 

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Caso n.3: la quasi erratica gestione cinese del Covid-19 dimostra, una volta di più, la profonda inefficienza del regime politico fondato sul partito unico e sul leader unico. Molti sono stati abbagliati dai tassi di crescita economica – che giustamente sono stati valutati, di fatto, come la più grande operazione di riduzione della povertà nella storia umana – scambiandoli per un successo del modello politico. In realtà, gli obiettivi che la Cina ha raggiunto nei primi anni 2000 sono il frutto di decisioni prese dalla leadership precedente a quella attuale, e il Paese si è ormai avvitato in una vera trappola per cui il sistema produttivo non può cambiare senza che cambi anche il sistema di governo. Il modo, tutto repressivo e arbitrario, in cui si è affrontata la pandemia è solo lo specchio di questa contraddizione. Il caos sanitario di fine 2022 è un assaggio del caos socio-economico che la Repubblica Popolare dovrà presto affrontare. Su questo sfondo, la Cina rimane un cruciale attore globale, per le sue dimensioni attuali e per il suo potenziale; ma non è certo una perfetta macchina da guerra. Tutt’altro.

 

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Caso n.4: il sostegno americano all’Ucraina di Zelensky è solido e duraturo, come ha confermato la visita del Presidente ucraino a Washington il 21 dicembre. Il forte appoggio diplomatico, che si sostanzia in forniture militari (compresa la cruciale intelligence) crescenti per quantità e qualità, manifesta un dato di fondo: l’amministrazione Biden intende dotare l’Ucraina delle capacità necessarie a impedire che un attacco russo come quello del febbraio scorso si ripeta. Il punto è fondamentale per il futuro della sicurezza europea, e non soltanto per le sorti del brutale conflitto in corso, visto che il Paese andrà ricostruito (con aiuti soprattutto europei) e messo in grado di difendersi anche dissuadendo il possibile avversario. Ci saranno certamente garanzie della NATO e un rapporto privilegiato con la UE, ma la prima linea di un’efficace deterrenza verso la Russia sarà proprio in Ucraina. E così si spiega la posizione americana, che non guarda esclusivamente alla sopravvivenza del governo di Kyiv ma anche al futuro di uno Stato indipendente che possa reggere l’urto e la probabile instabilità di una Federazione Russa ridotta oggi a “Stato-canaglia”. Arriverà il momento di un negoziato – probabilmente non con la leadership russa nella sua attuale configurazione – ma ogni trattativa dovrà riconoscere il fallimento dell’invasione russa; in altre parole, come pochi analisti hanno sostenuto fin dalla primavera scorsa, Mosca ha già perso e dovrà subirne a lungo le conseguenze.

 

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Caso n.5: l’attenzione sul Qatar, stimolata dai mondiali di calcio e dal cosiddetto Qatargate e gli episodi di corruzione al Parlamento Europeo, rientra nel difficile rapporto tra “società aperte” e Paesi non democratico-liberali. Sono ovviamente gravi le eventuali responsabilità in termini di influenze indebite sui processi decisionali europei, ma l’aspetto sorprendente non sta certo nell’intreccio tra diplomazia, affari e politica. Quell’intreccio è perfettamente noto a chiunque si occupi, ad esempio, di contratti per la fornitura di materie prime – proprio come quelli appena stipulati, ad esempio dall’Italia per il gas naturale, con lo stesso Qatar, l’Algeria e l’Angola. Non si tratta di condonare i comportamenti illeciti, di cui si deve ora occupare la giustizia europea e soprattutto la politica europea, ma di ricordare che le relazioni internazionali implicano sempre delicatissimi compromessi tra interessi e principi. Da un lato, quindi, la scelta di far organizzare i mondiali di calcio al Qatar è in linea con una tendenza generale dello sport professionistico mondiale da circa un ventennio; dall’altro, i governi come quello qatarino dovranno abituarsi ad essere oggetto costante di attenzione mediatica e indagini giornalistiche, iniziative di singoli individui con grande visibilità pubblica, e perfino critiche da parte di governi con cui si fanno comunque affari. Si può chiamarla globalizzazione, o anche soltanto interdipendenza. Le sue regole sono ferree per tutti.

 

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Insomma, i cinque casi appena ricordati sono effettivamente “cigni bianchi”, cioè episodi per nulla sorprendenti e in buona parte previsti. Detto ciò, possiamo fissare un proposito per l’anno 2023: continuare ad affinare le capacità di analisi. I cigni neri sono rari, ma esistono davvero.

 

 

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