Nel suo ultimo rapporto, pubblicato nel 2022, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha riconosciuto —per la prima volta— l’importanza dei tribunali nella lotta contro l’inazione climatica. “Le azioni legali legate al clima da parte dei governi, del settore privato, della società civile e dei singoli cittadini”, si legge nel rapporto, “sono in crescita, con un gran numero di casi nei Paesi sviluppati e un numero molto più ridotto nei Paesi in via di sviluppo, e in alcuni casi hanno influenzato l’esito e le ambizioni della governance climatica”.
I numeri mostrano nettamente che negli ultimi cinque anni i tribunali sono diventati essenziali nella battaglia sul clima. Il numero totale delle cause internazionali legate al cambiamento climatico supera le duemila (dal 2015, il numero dei casi è raddoppiato). Secondo il Grantham Research Institute on Climate Change, che monitora l’evoluzione della cosiddetta “climate litigation”, l’offensiva giudiziaria sta guadagnando sempre più spazio in questo ambito: tra il 2020 e il 2022 sono state disposte o aperte almeno un quarto delle cause in corso.
I principali responsabili di questa tendenza sono soprattutto le organizzazioni di cittadini che, frustrate dall’aumento costante delle emissioni e della mancanza di accordi rilevanti a livello diplomatico, come successo anche nell’ultima COP in Egitto (COP27, lo scorso novembre), ricorrono ai tribunali.
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Il loro obiettivo è duplice: in primo luogo, far sì che i tribunali riconoscano l’esistenza del riscaldamento globale e le sue terribili conseguenze per l’uomo e per la natura; in secondo luogo, far sì che i giudici costringano governi e le aziende ad adottare le misure opportune per mitigare questi effetti, prima di tutto la riduzione delle emissioni.
L’importanza del caso Urgenda
Nella storia della “climate litigation” c’è un caso che ha mutato l’andamento delle cose, dimostrando che la strategia legale può essere efficace come “arma climatica”. Si tratta del caso Urgenda. Nel dicembre 2019, l’avvocata olandese Marjan Minnesma, fondatrice dell’ONG Urgenda, riuscì – dopo una battaglia giudiziaria durata sei anni – a fare in modo che l’Alta Corte si pronunciasse a suo favore e dichiarasse che i Paesi Bassi avevano l’obbligo legale di proteggere i propri cittadini dagli effetti nefasti del riscaldamento globale.
Di conseguenza, la Corte olandese stabilì che il governo doveva ridurre le emissioni di almeno il 25% rispetto al 1990. Non si trattava di una cifra scelta a caso: l’Olanda, di fatto, aveva preso quell’impegno dopo l’Accordo di Parigi del 2015, ma non lo stava rispettando. L’anno successivo alla sentenza, che imponeva al governo di prendere provvedimenti per ridurre immediatamente le emissioni, i Paesi Bassi le avevano ridotte del 25,5%.
La vittoria legale di Minnesma nel processo Urgenda mosse centinaia di organizzazioni e migliaia di attivisti in tutto il mondo, e valse all’avvocata il Goldman Prize 2022, uno dei più importanti riconoscimenti in campo ambientale. “È una grande soddisfazione, ma non ci fermiamo” racconta Minnesma ad Aspenia Online. Alla domanda sul perché abbia deciso di andare in tribunale, Minnesma spiega: “dapprima ho provato a dialogare con il governo, ma non ci hanno mai ascoltato”. “Sono stata alla prima COP (a Berlino nel 1995) e ho seguito tutti i successivi vertici per il pianeta”, dice. “Ho potuto constatare che, nonostante la comunità internazionale abbia firmato diverse convenzioni sul clima, la realtà è che le emissioni aumentano ogni anno. Stiamo andando nella direzione sbagliata”.
La battaglia legale di Minnesma non è finita. Attualmente Urgenda assiste gruppi internazionali della società civile per replicare nei loro Paesi la strategia legale utilizzata in Olanda. “Abbiamo creato una rete di esperti in climate litigation e ci lavorano quattro persone. Aiutiamo le ONG di tutto il mondo per i casi simili al nostro”.
Un movimento globale
Le azioni legali legate al clima stanno diventando una materia di studio accademico. La Columbia University, attraverso il suo Sabin Center, raccoglie e cataloga le azioni legali legate al clima da più di un decennio. In totale, il suo database – direttamente a disposizione di qualsiasi cittadino – consente l’accesso ai documenti di circa 2.000 cause. La maggior parte (circa il 75%) riguarda tribunali statunitensi, ma ci sono anche procedimenti da altri 50 Stati, dalla Spagna all’Irlanda, dall’Italia alla Corea del Sud.
Questa iniziativa, spiega ad Aspenia Online Maria Antonia Tigre, ricercatrice brasiliana del Centro Sabin, ha lo scopo di aiutare i ricercatori ad analizzare l’efficacia della “climate litigation” e, allo stesso tempo, fornire alla società civile strumenti giuridici che possano originare altre azioni legali a vantaggio del pianeta. “Monitoriamo le azioni legali in materia di clima da molto tempo e abbiamo assistito a un aumento del numero delle cause e anche delle giurisdizioni in cui vengono presentate”, spiega Tigre.
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Ogni mese, il Centro Sabin raccoglie i principali casi aggiunti al suo database, al quale lavorano non meno di 70 relatori che operano come volontari per aggiornare lo stato dei casi nei rispettivi Paesi. L’ultimo bollettino, pubblicato a novembre, riporta che in Indonesia 14 gruppi di cittadini hanno denunciato lo Stato per non aver adottato le misure per prevenire il riscaldamento globale. Un altro caso è stato quello della Russia, dove l’11 settembre 2022 diversi gruppi ambientalisti hanno denunciato il governo di Vladimir Putin presso la Corte Suprema per chiedere che il Paese riduca le sue emissioni e protegga la salute dei suoi cittadini.
Il documento riporta inoltre gli ultimi sviluppi della causa presentata dall’associazione A Sud Onlus contro l’Italia nel giugno del 2021. Nella causa, 200 ricorrenti (tra cui 162 adulti, 17 minori rappresentati in tribunale dai genitori e 24 associazioni) chiedono ai giudici di condannare lo Stato italiano per “lo scarso impegno nella promozione di conformi politiche di riduzione delle emissioni climalteranti, con conseguente violazione dei numerosi diritti fondamentali riconosciuti dallo Stato.” I giudici hanno deciso di tenere la terza udienza del processo – chiamato “Giudizio Universale” dalle ONG – il 13 settembre 2023.
Risarcimenti salati: i rischi per le aziende
Finora, le cause più importanti nell’area della climate litigation hanno contrapposto i membri della società civile ai governi, ma questa tendenza potrebbe presto riguardare le imprese. Robert Blood, fondatore e direttore di Sigwatch, una società di consulenza che analizza l’orientamento delle ONG e degli attivisti in Europa, stima che nei prossimi anni le aziende saranno subissate da azioni legali legate alle questioni climatiche. “Per quanto riguarda il cambiamento climatico, Greenpeace, Friends of the Earth e gli altri gruppi ecologisti mainstream sono particolarmente interessati all’impegno delle aziende e alla loro policy aziendale per combattere il cambiamento climatico. Ed è proprio quello che manca. Quindi gli ecologisti ricorrono alle cause legali, alle risoluzioni degli azionisti, alle pressioni sugli investitori. Tutte queste strategie hanno lo scopo di raggiungere un risultato concreto”, ha spiegato Blood.
Preoccupato per i possibili costi legati ai risarcimenti e ai processi, il sistema imprenditoriale comincia ad interessarsi al futuro delle cause sul clima. A novembre si è tenuto a Londra il Climate Litigation and Activism 2022, una conferenza organizzata dal settore produttivo dove decine di imprenditori, accademici, attivisti e avvocati si sono incontrati per discutere le tendenze del settore. L’avvocato specializzato in cambiamenti climatici Alex Cooper ha avvertito che ci troviamo in un periodo di “transizione”. “Uno dei rischi maggiori per le aziende è che il modello di contenzioso contro i governi venga utilizzato per processare le aziende”, ha spiegato durante la conferenza a Londra.
Questo può avere conseguenze finanziarie di vasta portata, e non solo per le questioni legate all’inquinamento ambientale, che un tempo erano la causa principale delle azioni legali contro le aziende. L’accademico Benjamin Franta, direttore del Climate Litigation Lab dell’Oxford Sustainable Law Programme, uno dei maggiori esperti mondiali di climate litigation, ha avvertito che la nuova frontiera potrebbe essere quella di processare le aziende che ingannano i consumatori o gli investitori facendo propaganda verde o greenwashing. “Presto vedremo nuovi contenziosi legati al greenwashing, questa diventerà una nuova strategia legale”, ha spiegato.
Nella conferenza tenuta a Londra, Franta consigliò alle aziende che prima di annunciare riduzioni di CO2 dovevano riflettere attentamente a quanto promettevano perché se poi queste promesse non si realizzavano avrebbero “ingannato” i consumatori. “Ho due consigli per gli imprenditori: primo, non fare greenwashing. Gli impegni per l’azzeramento delle emissioni devono essere supportati da piani aziendali reali, perché ciò influisce sulla vostra azienda e su ciò che gli investitori pensano della vostra azienda. In secondo luogo, bisogna essere consapevoli dell’esposizione del settore dei combustibili fossili.
Questo è il settore più esposto agli attacchi legali più intensi per il resto della sua esistenza, per il fatto che i cambiamenti climatici nel prossimo futuro continueranno a peggiorare”. I primi casi si sono verificati in Australia, dove una ONG ha chiamato in giudizio la miniera Glencore, principale produttore di carbone del Paese con i suoi 17 impianti, per aver “ingannato” i consumatori e gli investitori. Ora toccherà ai tribunali pronunciarsi.