Brasile 2018: le elezioni surreali

Il 7 ottobre, più di 147 milioni di brasiliani andranno alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, più coloro che a partire dal gennaio 2019 saranno i nuovi deputati, senatori e governatori dei vari stati federali. Chiunque abbia seguito in passato altre campagne elettorali qui in Brasile ha la sensazione netta che questa volta l’indecisione fra le persone comuni sia molto alta.

A un mese dal voto si respira un clima surreale, perché l’ex Presidente della Repubblica Luiz Ignácio Lula da Silva, pur essendo in prigione da aprile 2018 per corruzione passiva e riciclaggio, è in testa a tutti i sondaggi di DataFolha con il 33% dei consensi. Con la decisione del 31 agosto del TSE (Tribunale Superiore Elettorale) che ha deciso l’ineleggibilità di Lula, forse le cose si stanno un po’ chiarendo, anche se c’è ancora una possibilità di ricorso da parte dei suoi avvocati; ma al momento le possibilità che Lula possa rimanere candidato sono molto remote. Così come sembra difficile che l’ex Presidente riesca a trasferire i suoi voti al suo vice Fernando Haddad, che nei prossimi giorni lo dovrebbe sostituire come candidato alla presidenza. Sempre secondo Data Folha, al momento solo un terzo degli elettori di Lula sarebbe disposto a seguire Haddad.

C’è da dire che Lula si è sempre dichiarato innocente e che a favore della sua possibilità di partecipare alla campagna elettorale si è dichiarato anche l’ONU; il TSE però non si è convinto. I giudici infatti, a maggioranza, hanno detto di voler rispettare la legge della “ficha limpa” che in Brasile prevede che chi riceve una condanna in seconda istanza non possa partecipare alle elezioni.

Per quanto riguarda gli altri schieramenti la vera novità è Jair Bolsonaro, che con un linguaggio politico a noi europei ormai noto, rappresenta l’ala sovranista brasiliana. Ad oggi è dato al 21% e questo gli assicurerebbe il passaggio diretto al secondo turno rispetto a tutti gli altri candidati che si trovano intorno al 10% (con l’eccezione di Haddad al 13%).

Jair Bolsonaro circondato da i suoi sostenitori, coordinati via WhatsApp

 

La situazione, insomma, è molto parcellizzata. Questa è tra l’altro un’altra novità rispetto al passato, dove sostanzialmente il confronto era tra i due schieramenti di centro destra con PSDB e il centro sinistra col PT.

Jair Bolsonaro, che rappresenta l’estrema destra, è appoggiato dall’esercito e i toni da lui usati per la risoluzione dei problemi sono addirittura più duri, o naïf, di quelli di Donald Trump – a cui naturalmente vanno le sue simpatie. Ma qui entra in ballo la situazione attuale del Brasile, che arriva da una crisi profonda. Alcuni problemi sono recenti, ma altre questioni sono endemiche.

Sicuramente, a favore di Bolsonaro gioca la violenza diffusa nel Paese, presente soprattutto nelle grandi città ma non solo. Il 2018 ha visto il primo semestre con più di 26mila omicidi e un 2017 con quasi 64mila vittime. Cifre che collocano il Brasile fra le società più violente del pianeta. La soluzione di Bolsonaro è quella di rispondere alla violenza con ancora più violenza, promettendo di dare un’arma a tutti i cittadini e potenziare l’esercito e la polizia. Un’idea che, in realtà, non solo mancherà di risolvere i problemi, ma rischia decisamente di aggravarli: lo si è visto di recente a Rio, dove negli ultimi 5 mesi ci sono stati 3.479 omicidi di cui 738 a carico dell’esercito, coinvolgendo molti civili che nulla hanno a che fare col narcotraffico.

Ma a favore di Bolsonaro gioca anche la situazione economica. La previsione per il prossimo trimestre si aggira su una crescita dello 0,6%, sostanzialmente una situazione di stagnazione con un numero di disoccupati che tocca i 13 milioni, circa il 13% della popolazione attiva.

Il “ressentimento” della popolazione, come lo definisce Clovis Rossi, editorialista della Folha de São Paulo, può, al pari di quanto sta accadendo in varie parti del mondo, dare benzina all’approccio “muscolare” di Bolsonaro. Tolto Lula, questi non ha al momento rivali; a meno di immaginare una coalizione fra tutti gli altri partiti che, sebbene abbastanza divisi, potrebbero unirsi in questa circostanza pur di vincere le elezioni e bloccare Bolsonaro. La domanda, però, è se l’elettorato li seguirebbe nelle indicazioni di voto, o se invece si sentirebbe libero di fare quel che vuole.

L’incendio che ha distrutto il Museo Nazionale di Rio de Janeiro, il museo più importante del Brasile, con più di 200 anni di storia e più di 20 milioni di reperti storici e scientifici, è uno degli eventi che ha sconvolto la campagna elettorale. Non sappiamo se sia una triste metafora del momento storico che il Brasile sta vivendo, dove corruzione e sprechi indicibili hanno portato al fallimento dello Stato di Rio de Janeiro, con la conseguenza di non fare tra l’altro la dovuta manutenzione dei suoi edifici più importanti; ma l’incidente è entrato nella polemica politica dei candidati, scatenando polemiche sulla funzione dello stato nella protezione dei beni comuni dei cittadini.

Il problema del Brasile, quindi, come sottolineato in analisi precedenti non è economico, ma di fiducia nella capacità dei governanti di risolvere i problemi dei cittadini. Un tema che in effetti condiziona un po’ tutte le ultime campagne elettorali, a livello globale. Le prossime elezioni brasiliane quindi seguono questa caratteristica ricorrente, con la coscienza ormai anche qui che la fiducia data una volta non sarà certo per sempre.

Resta comunque da sottolineare che il Brasile ha dalla sua alcuni fondamentali elementi positivi, a cominciare da un’età mediana della cittadinanza di ventinove anni (il dato per la vecchia Europa è ben oltre i 40). L’abbondanza di giovani porta a un utilizzo delle nuove tecnologie molto diffuso anche tra le varie classi sociali – chiaramente visibile nella presenza pervasiva dei social network. Una società civile giovane e dinamica è in grado di sfruttare al meglio le potenzialità dell’innovazione in tutti i suoi vari aspetti.

Qui, ad esempio il voto è elettronico al 100% già dal 1994. L’utilizzo delle reti sociali, come sottolinea una letteratura teorica ed empirica ormai ampia, porta a fenomeni di autorganizzazione economica che la connnettività ovviamente facilita. Basti pensare a Rio, dove su 150mila taxi, 120mila sono ormai di Uber. Viaggiando per il paese e incontrando studenti dell’Università e associazioni di imprese si nota in modo tangibile che lo sviluppo di incubatori di imprese, start up e parchi tecnologici è in continua crescita.

D’altro canto, troppe volte si è definito il Brasile come paese del futuro. Finora non è stato così: le grandi potenzialità sono state annullate da incredibili incertezze politiche e da un livello di corruzione davvero troppo alto.

Il secondo evento che ha sconvolto la campagna elettorale è stato altrettanto drammatico e clamoroso dell’incendio al museo. L’attentato subito da Bolsonaro – una coltellata inferta da uno squilibrato – disorienta ancora di più la cittadinanza. Per fortuna, oltre a una reazione unanime di condanna da parte di tutte le forze politiche, c’è anche da parte di tutti la volontà di ribadire le regole della costituzione e della democrazia. L’attentato sottolinea ancora la violenza endemica nel paese, ed è una fortuna che non sia stato mortale e che Bolsonaro sia stato velocemente soccorso ed operato. Le indagini su eventuali motivazioni e affiliazioni dello squilibrato attentatore sono ancora in corso.

Le conseguenze pratiche sulla campagna elettorale dipenderanno dall’eventualità che Bolsonaro possa tornare in campo. Le opinioni sono divise fra la possibilità che quest’onda emozionale lo porti addirittura a vincere il primo turno o che in realtà le sue condizioni fisiche lo rallentino danneggiandone la corsa.

Da qui al 7 ottobre molte cose possono ancora succedere e speriamo non di questo tipo, ma il Brasile sicuramente sta vivendo le sue elezioni più difficili di questi ultimi vent’anni. Chiunque le vinca, dovrà comunque porsi il tema di fondo: parafrasando lo scrittore William Gibson, il futuro è già qui, ma è molto mal distribuito.

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