Puntata 1: Pandemia, il futuro è adesso
Puntata 2: Deglobalizzazione e protezionismo, spirali pericolose
La riunione del Consiglio Europeo (dunque, i capi di Stato o di Governo dell’UE) del 10 dicembre ha segnato un passaggio particolarmente rilevante. Forse addirittura un passaggio dirimente per il processo di integrazione europea e per la capacità dell’intera area di procedere lungo un percorso post-pandemia finalizzato a una crescita economica strutturalmente sostenibile, sia dal punto di vista finanziario che sociale e ambientale. L’oggetto della riunione è stato l’approvazione del bilancio europeo per il periodo 2021-2027 insieme all’approvazione del Next Generation EU, ossia il pacchetto di misure concordate nei mesi scorsi per il rilancio dell’economia europea.
In realtà, allargando l’orizzonte ai trend economici e geopolitici globali, l’esito della riunione acquisisce un significato ulteriore di pari importanza – quello sulla capacità di tutti gli attori della governance globale (in questo caso l’Unione Europea) di uscire dalla crisi rafforzando la cooperazione internazionale ed evitando l’affermarsi di politiche nazionali “sovraniste” – termine con cui possiamo qui intendere semplicemente un approccio del tutto focalizzato sul proprio “particulare”, nell’accezione di Guicciardini.
Nelle precedenti puntate di questa serie abbiamo analizzato gli snodi cruciali che si sarebbero presumibilmente posti sulla strada del superamento della crisi economica generata dal Covid, sottolineando come l’approccio alle soluzioni possibili avrebbe determinato il futuro della ripresa economica e della dinamica geopolitica a livello globale. In particolare, abbiamo sottolineato il bivio davanti al quale i maggiori paesi – ossia i loro governi e popolazioni – si sarebbero trovati nell’affrontare la crisi economica e sanitaria: semplificando[1], da un lato maggiore cooperazione internazionale, multilateralismo, accelerazione degli scambi internazionali; dall’altro lato, protezionismo, bilateralismo, ritorno al sovranismo (come sopra definito) e al nazionalismo. Da queste scelte, sarebbero poi derivate le misure di politica monetaria, fiscale e industriale, potenzialmente generatrici di maggiori o minori frizioni internazionali. Il rischio che finissero con il prevalere sovranismi conflittuali e posizioni di chiusura era accentuato dalle asimmetrie con cui si erano manifestati gli effetti economici della pandemia.
Dopo nove mesi dall’esplosione della pandemia, alcune di queste scelte sembrano aver indirizzato i rapporti internazionali e l’economia globale verso la strada della cooperazione. Basti citare tra queste scelte l’elezione di Joe Biden negli Stati Uniti, con la sua promessa di minor protezionismo, di rientro nel WTO e negli accordi di Parigi; a livello più generale, si è manifestata una forte consapevolezza del quadro multilaterale anche nel le modalità di cooperazione internazionale nella gestione della crisi sanitaria, nelle politiche monetarie espansive, convergenti e tali da non creare tensioni valutarie, nel ribadire la volontà comune di affrontare le problematiche del cambiamento climatico.
Dato il peso delle economie asiatiche in chiave globale, è poi di particolare importanza sia l’avanzamento del progetto commerciale a guida cinese noto come RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), sia la prospettiva di un rilancio da parte americana della Trans Pacific Partnership (TPP, a guida proprio americana fino alla rinuncia decisa da Trump nel 2017). Se in prima battuta le due iniziative possono vedersi come tra loro competitive, va notato infatti che entrambe attivano strumenti multilaterali per la riduzione di barriere agli scambi, e innescano dunque una dinamica virtuosa nonostante le innegabili tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino. Non a caso, la grande maggioranza dei Paesi coinvolti – che comprendono tra gli altri Giappone, Corea del Sud e Australia, cioè membri cruciali della rete americana di alleanze – perseguono in parallelo i due filoni negoziali, cercando una strada mediana per coltivare i rapporti tanto con gli USA quanto con la Cina.
Tornando al livello propriamente globale, due osservazioni vanno tenute presenti: a) alcune emergenze globali come il terrorismo, la lotta a riciclaggio e cybercrime, i flussi migratori ampi e sostenuti nel tempo (per citarne solo alcune), pur avendo la caratteristica di essere transfrontaliere, non sono in relazione “diretta” con le problematiche sollevate dalla pandemia e la loro soluzione ha ceduto priorità rispetto a questioni più urgenti – nel mondo post-pandemia, rimarranno quindi come snodi da superare e che potrebbero avere riflessi negativi importanti sulla strada di apertura e cooperazione internazionale; b) le scelte effettuate finora non possono essere date per acquisite definitivamente e permangono vari rischi che potrebbero far invertire la rotta e far pendere la bilancia verso la chiusura e il sovranismo/nazionalismo.
La riunione del Consiglio Europeo del 10 dicembre rappresentava uno di questi rischi. Il pacchetto di misure per l’emergenza approvate dalle istituzioni europee con tempestività a marzo affiancava alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita e alla politica monetaria non convenzionale della Banca Centrale Europea (BCE) una politica fiscale fortemente espansiva basata sia su strumenti esistenti che di nuova istituzione – MES sanitario, investimenti della BEI di supporto a PMI, il fondo SURE per la salvaguardia dell’occupazione, il FEAD per il sostegno al reddito delle fasce indigenti. Nel mese di luglio i leader europei raggiungevano un accordo per sostenere il rilancio delle economie dell’area nel medio lungo termine combinando il bilancio 2021-2027 della UE (€1074 miliardi) con il pacchetto NGEU (€750 miliardi) inteso per il supporto finanziario al Green Deal, alla transizione tecnologica e digitale e al rafforzamento della resilienza delle economie europee.
In sintesi, fino ad oggi l’intervento delle istituzioni europee è stato non solo di dimensioni enormi ma strutturato in modo da coprire tutti i nodi della crisi pandemica. Tornando con il pensiero alla farraginosità della struttura istituzionale, simboleggiata dal voto all’unanimità per qualsiasi decisione rilevante, e alle frequenti frizioni nei processi decisionali, i dubbi (da noi stessi sollevati) sulla capacità di reazione e sulla volontà di cooperazione da parte dei paesi europei sembravano dissipati.
Tuttavia, la problematica legata al voto all’unanimità si è ripresentata su un tema alquanto inatteso che riguardava i valori fondamentali dell’UE e più specificamente il rispetto della “Rule of Law”, ossia dello Stato di diritto, collegato da una clausola del bilancio pluriennale alla possibilità di accesso ai fondi UE. Sorprendentemente, l’opposizione a questa clausola è venuta da due dei paesi – Polonia e Ungheria, entrambe accusate di violazione degli standard democratici – che pur essendo tra i maggiori beneficiari di fondi dell’Unione avrebbero potuto, con il loro voto negativo, mettere in discussione l’intera impalcatura messa in piedi negli ultimi mesi dall’Europa a 27. NGEU e bilancio strutturale europeo e rispetto della Rule of Law costituiscono il cuore della sopravvivenza sia economica che dei valori democratici, e rendono evidente come si fosse di fronte a un intreccio di questioni tecniche e fortemente politiche: un bivio decisionale, appunto.
Fortunatamente i due paesi che si erano dichiarati contrari al compromesso ventilato nel luglio scorso hanno poi finito per accettarlo – a seguito di un compromesso. Secondo questa soluzione “creativa” i tagli ai finanziamenti diventerebbero possibili soltanto dopo un’eventuale pronuncia della Corte di Giustizia – che solitamente impiega molti mesi per raggiungere un verdetto, e nel contesto di un impegno collettivo (come indicato in vari paragrafi del Comunicato finale del vertice) a non inasprire le dispute. Peraltro, è comunque necessario che l’ipotesi di inadempienza del rispetto dello Stato di diritto sia approvata da una maggioranza qualificata di 15 Stati membri in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione dell’UE – numeri che secondo molti diplomatici non sarebbe facile superare.
Il compromesso, in sostanza, adotta un escamotage tecnico, come spesso accade: d’altra parte, non ci si sarebbe potuto aspettare che l’UE rinunciasse a un principio costitutivo dell’Unione, tanto più che lo stesso Manfred Weber, leader del gruppo parlamentare europeo European People’s Party (EPP) in cui siede il Primo Ministro ungherese Orban, aveva dichiarato di non voler cedere sulla “Rule of Law”. In linea teorica, la Commissione europea avrebbe potuto procedere con una NGEU senza Ungheria e Polonia, (come sottolineato dallo stesso Manfred Weber) attraverso una procedura di “cooperazione rafforzata” che avrebbe portato alla creazione del fondo NGEU da parte di soli 25 Stati membri anziché 27. Tuttavia, il bilancio europeo andava approvato in ogni caso entro il 31 dicembre, pena la sospensione dell’erogazione dei fondi (con l’eccezione di quelli per l’agricoltura).
Di certo la posta in gioco era elevatissima. Se bilancio e NGEU non fossero stati approvati, la perdita di credibilità che ne sarebbe risultata avrebbe messo a rischio la stabilità economica e finanziaria dell’area, con impatti non quantificabili ma sicuramente molto pesanti sull’intero sistema economico globale. Allo stesso tempo, i critici dell’UE (soprattutto ma non solo di area populista) avrebbero avuto gioco facile ad accusare la costruzione europea di incapacità e di non riuscire a superare i dissidi interni neanche in una situazione così drammatica.
Con l’incontro del 10 dicembre si è quindi superato un bivio cruciale. Ma questo non sarà comunque l’ultimo atto della strada da percorrere per salvaguardare la coesione dell’Unione. Per l’Unione rimangono ancora da attraversare una serie di prossimi bivi su questioni portatrici di potenziali conflitti quali l’implementazione del NGEU, la gestione dei flussi migratori e la Brexit. Senza dimenticare la recente proposta del Presidente del Parlamento europeo David Sassoli della cancellazione del debito pubblico dei Paesi membri dovuto alla pandemia – proposta per ora discussa solo nei media italiani ma che se fosse fatta per le vie ufficiali porterebbe probabilmente a una grave spaccatura.
Nel complesso, le vicende europee sono inestricabilmente connesse all’evoluzione del quadro geopolitico globale: pur con tutte le sue peculiarità (organizzative, decisionali, valoriali), la UE appare per certi versi come un microcosmo dei dilemmi che le politiche economiche devono affrontare quasi ovunque nel mondo. Nelle molte difficoltà del contesto europeo, non va dimenticato che alcuni di questi dilemmi possono realmente porre l’Unione in una posizione di apripista, innovativo e costruttivo. Si tratta anzitutto di imboccare la strada giusta, e poi trovare la forza per percorrerla costruendo e coltivando il consenso dei cittadini.
[1] Per una analisi più dettagliata si vedano gli articoli:
Gli effetti economici della pandemia: le prime possibili valutazioni, 28 Marzo 2020 – E. Rossi;
Pandemia, il futuro è adesso, 19 Giugno 2020 – R. Menotti, E. Rossi;
Deglobalizzazione e protezionismo, spirali pericolose, 16 Luglio 2020 – R. Menotti, E. Rossi