La strage di capodanno contro i cristiani copti ad Alessandria d’Egitto porta in primo piano non soltanto la questione delle minoranze cristiane in Medio Oriente, ma anche l’assetto interno dell’Egitto in circostanze già delicate per il regime di Mubarak.
Ventuno morti, tra cui otto mussulmani, e ottanta feriti: questo il bilancio dell’attentato di capodanno nella Chiesa di al Qiddissine – dei Santi – nel quartiere alessandrino di Sidi Bishr.
Il regime fa di tutto per richiamare all’unità nazionale e tenere compatta la società, mostrandosi vittima di attentatori che colpiscono indiscriminatamente copti e musulmani. Del resto, da anni il presidente Mubarak continua a negare l’esistenza di problemi settari interni al paese, limitandosi ad evidenziare alcuni segnali positivi nelle relazioni ai vertici delle due comunità. Ma la sensazione diffusa è in realtà che i rapporti si stiano deteriorando.
Le strade del Cairo e di Alessandria hanno visto sfilare i copti con croci al collo per protestare contro un governo incapace di salvaguardare la loro incolumità. Come detto, il pericolo di attacchi nei loro confronti era nell’aria da tempo: almeno dal 31 ottobre scorso, quando, dopo la strage compiuta a Baghdad, Al Qaeda aveva apertamente minacciato di colpire le chiese egiziane qualora non fossero state rilasciate le mogli di due preti copti, convertitesi, a quanto dicono i qaedisti, all’Islam. Secondo la versione copta sarebbero stati i musulmani a rapirle per farle convertire forzatamente alla loro religione, mentre per i seguaci di Maometto sarebbero i copti a tenerle nascoste per punirle della loro conversione. Temendo che le minacce di Al Qaeda potessero trasformarsi in fatti, erano state le stesse autorità irachene a mettere in guardia da possibili complotti in concomitanza con le festività natalizie. Eppure, a presenziare la messa di capodanno della chiesa di Al Qiddissine, menzionata esplicitamente tra i possibili obiettivi di attacco, vi erano solo tre poliziotti.
Nell’intervento televisivo a seguito del massacro, dopo aver richiamato copti e musulmani all’unità nazionale, il presidente Mubarak ha dichiarato che dietro l’attacco “si nascondono mani straniere”e ha invitato tutti figli dell’Egitto a serrare le fila contro il terrorismo. “Taglieremo la testa del serpente, affronteremo il terrorismo e lo sconfiggeremo”. Non ci sono state rivendicazioni, ma si pensa che dietro l’attacco possano esserci cellule salafite basate nel Sinai, già responsabili, nella metà del decennio scorso di terribili attentati a importanti località turistiche della penisola. Non sorprende quindi la dichiarazione rilasciata dopo l’attentato dal gruppo Al Mujahedin, la cui firma era già apparsa dopo il massacro di Sharm El Sheikh del 2005. Anche se non si può considerare una vera e propria rivendicazione, nel comunicato si dice che “ogni devoto musulmano deve dimostrare solidarietà con gli attacchi alla Chiesa piena di gente”.
Anche il ministro degli interni, accusato da più fronti di essere stato incapace di proteggere la popolazione, ha immediatamente accollato la responsabilità dell’attacco a un attentatore suicida appartenente a cellule estremiste estranee al paese. A dar man forte alla versione ufficiale del regime sono stati anche numerosi esperti del centro strategico di Al Ahram, una delle massime istituzioni del paese, che dalle colonne degli organi di stampa ufficiali hanno sollevato il governo da ogni responsabilità.
La comunità copta egiziana è la più numerosa al mondo: i cristiani nel paese (quasi tutti, appunto, copti ortodossi) sono circa otto milioni, cioè il dieci per cento della popolazione.
Anche se la costituzione egiziana recita che “sono garantite la libertà di espressione e libertà di opinione” a tutti i cittadini, e garantisce la libertà di credo e di pratica di riti religiosi, i copti restano una minoranza emarginata. Il settarismo è molto cresciuto di intensità a livello popolare da quando, negli anni ’70, la spinta fondamentalista si è manifestata in Egitto.
Le autorità di Al Azhar (il maggiore centro islamico del paese) continuano a stringere le mani del papa copto, e anche in questa occasione il gran mufti Ali Gomaa è stato tra i primi a condannare l’attentato. Ma quello che avviene ai piani alti non coincide con le tendenze a livello popolare. Non sono pochi quelli che denunciano di faticare a trovare lavoro o fare carriera. Sono poi ben note le difficoltà nella costruzione delle chiese, che fino a pochi anni fa richiedeva addirittura l’autorizzazione del presidente stesso; oggi sono le autorità locali a gestire le pratiche, ma questo ha prodotto altri problemi. E’ il caso degli eventi del novembre scorso, alla vigilia delle elezioni parlamentari, quando un gruppo di dimostranti copti si è scontrato con le forze di polizia a Giza proprio in relazione una questione di permessi per l’ampliamento di alcuni locali della comunità copta. Si tratta purtroppo di un terreno fertile per episodi violenti.
Anche se il regime continua a sostenere che i contrasti settari non hanno avuto alcun ruolo nell’attentato di capodanno, l’episodio mette certamente in difficoltà il governo su vari fronti. Secondo quanto scrive Dina Hussein sulle colonne del quotidiano liberale Al Misry al Yaoum, il settarismo egiziano “non è altro che un sintomo della crescente intolleranza che si respira nel paese.” Intolleranza che porta da anni malcontento: ecco come potrebbe spiegarsi l’azione dei gruppi estremisti che trova adepti soprattutto nelle fasce di maggiore disagio sociale – un fenomeno ben noto anche nel resto della regione. E’ questa la chiave interpretativa utilizzata da molti analisti locali che pensano a una possibile collaborazione tra qaedisti stranieri e fondamentalisti locali.
L’Egitto è già stato vittima di attacchi terroristici, come nel 1997 quando sessanta turisti furono uccisi nel tempio faraonico di Luxor. Negli ultimi dieci anni sono state colpite importanti località turistiche del Sinai. Quello degli attacchi ai fedeli nelle chiese è però un fenomeno relativamente nuovo: nel 2006 ci fu un attentato nella stessa chiesa di Al Qiddissine ad Alessandria. Fino ad ora, il massacro più brutale era stato quello compiuto il 7 gennaio 2010 a Nag Hammadi, dove musulmani armati avevano sparato sull’assemblea copta in uscita dalla celebrazione natalizia.
Come si vede, i segnali erano molti e gravi, e purtroppo ci sono ora i sintomi di una vera escalation. Il sangue delle vittime ha macchiato sia la facciata della chiesa sia quella della moschea adiacente, quasi a simboleggiare che, in ogni caso, la questione della persecuzione dei cristiani coinvolge l’intero paese.