Il quadro interno tedesco e i suoi riflessi sulle scelte di Berlino

Ad ogni passaggio politico davvero decisivo, l’Europa guarda a Berlino. Non solo alla potente Cancelliera, ma anche al Parlamento, il cui ruolo cruciale non deve sfuggire. In una tendenziale eclissi del ruolo delle assemblee rappresentative nazionali, ed in attesa (forse vana) che un giorno il Parlamento europeo possa consolidarsi quale effettivo bilanciamento rispetto a Consiglio e Commissione, proprio il Bundestag sembra emergere come una sorta di potere legislativo di ultima istanza nel vecchio continente.

Se la politica è ormai sempre più il risultato del concorso (e dello scontro) di solo due poteri, Esecutivo e Giudiziario, tanto da ricordare ad alcuni la combinazione premoderna di gubernaculum e iurisdictio, il caso tedesco mette in luce la resistenza del terzo, che non accetta di essere relegato ai margini. Nel conservare ancora un peso, è comunque vero che la funzione propriamente legislativa, cioè di concepire, elaborare, discutere e infine produrre leggi, non è più la principale: il ruolo residuale, ma ancora cruciale, è essenzialmente di controllo politico sull’operato dell’Esecutivo.

Giocando di sponda, si può dire, con la Corte costituzionale federale di Karlsruhe (altro luogo-chiave della sfuggente mappa del potere reale europeo), il Parlamento di Berlino ha conservato (o riconquistato) una prerogativa che ormai nessun altra Camera europea possiede sul serio: ogni scelta operata dal governo tedesco nelle sedi delle relazioni intergovernative deve essere ratificata non solo formalmente dai rappresentanti del popolo. Il risultato è che i delicati equilibri politici tedeschi giocano un ruolo significativo nel momento delle scelte (o delle non-scelte) di Angela Merkel. La Cancelliera non è affatto “padrona” della sua maggioranza parlamentare, come accade invece in altri sistemi politici democratici, nei quali i gruppi che sostengono il Governo si limitano essenzialmente al ruolo di difensori d’ufficio dell’operato dell’Esecutivo di fronte all’opposizione. Nello stato economicamente più forte dell’Unione Europea, il sistema dei partiti, l’architettura delle istituzioni e la cultura costituzionale concorrono nell’impedire all’esecutivo di conquistare un eccessivo spazio di manovra.

In Germania, il rapporto fra i due poteri ricorda per molti versi più quello che esiste a Washington fra Campidoglio e Casa Bianca, che non la situazione tipica dei paesi europei. Non è un caso che lo scioglimento anticipato del Parlamento – quasi ovunque de facto nelle mani di chi conduce le danze, ossia il Capo del Governo – a Berlino sia quasi un tabù. Costituzionalmente ammissibile, politicamente problematico. In un Paese con una forte e radicata cultura democratico-parlamentare, frutto della durissima lezione della storia, si tende a pensare che nessuno debba disporre con eccessiva disinvoltura di quella facoltà. Tantomeno il Cancelliere, che già gode di significativi poteri e di uno status maggiore di un semplice “presidente del consiglio dei ministri”.

Il Capo del Governo federale tedesco, infatti, viene eletto in quanto istituzione unipersonale dal Bundestag, e solo successivamente procede alla nomina dei ministri. Per sfiduciarlo con il Misstrauensvotum (il voto di sfiducia), gli oppositori devono designare qualcuno al suo posto, secondo il meccanismo della sfiducia costruttiva, una delle garanzie della stabilità (e serietà) del sistema. Il Cancellierato è un’istituzione forte, dunque. E proprio per questo è in certa misura controbilanciata dalla sua stessa maggioranza, assai meno disponibile che in altri Paesi, per costume e senso del proprio ruolo, ad essere strumentalizzata dal Capo del Governo. Solo due volte nella storia è successo che il Cancelliere in carica abbia posto la Vertauensfrage (la questione di fiducia) per farsela intenzionalmente negare dalla propria maggioranza, e fare quindi indire dal Presidente della Repubblica nuove elezioni: nel 1982 con Kohl e nel 2005 con Schroeder.

Dal punto di vista politico, di grande rilievo è il fatto che il sistema di pluralismo partitico favorisca a livello federale il formarsi di coalizioni di governo: queste, per definizione, impongono al Cancelliere (leader del maggiore partito della coalizione) di tenere in seria considerazione l’opinione dell’alleato, che detiene così un certo potere di “ricatto”. Il ruolo della liberale FDP nell’attuale maggioranza risponde esattamente a questo schema. Bisogna inoltre considerare che l’Unione democristiana è formata da due partiti, fratelli ma distinti: quando, come ora, la CDU governa, il consenso della Unione social-cristiana bavarese (CSU) non è necessariamente garantito. Se gli interessi elettorali di quest’ultima, situati esclusivamente nella ricca Baviera, si impongono su altri fattori, la CSU non esita a dare del filo da torcere al partito fratello. Anche da questo punto di vista, l’esperienza del Gabinetto Merkel sta a dimostrarlo.

Nel valutare la politica interna tedesca, è poi tenere presente la condizione di quasi permanente campagna elettorale: ogni anno si vota in almeno un paio di Länder. In uno stato federale come la Germania, la politica “regionale” non è seconda per importanza a quella federale, anche perché la Camera degli stati federati (il Bundesrat in cui sono rappresentati i governi di ciascun Land) contribuisce in maniera significativa alle scelte nazionali. Nuovamente, la storia recentissima ha dato più di un esempio del peso che può avere il voto in un singolo stato federato: basti tornare con la memoria al temporeggiare di Angela Merkel, prima delle elezioni (poi perse) nel Baden-Wuerttemberg, in merito al cosiddetto «fondo salva-stati» lo scorso marzo. O alle elezioni nella città-stato di Berlino di settembre, quando la sconfitta cocente dei liberali ha creato, al contrario, condizioni più facili per politiche “più generose” verso l’Europa meridionale in crisi.

Anche per ragioni di interesse di partito, quindi, il Bundestag è riuscito a conservare il proprio ruolo. E la Cancelliera Merkel, che una parte dell’opinione pubblica tedesca sembra considerare a volte eccessivamente disponibile verso le necessità dei soci comunitari, è destinata a continuare a far buon viso a cattivo gioco sino al termine della legislatura, previsto per il 2013. La sua sopravvivenza politica è legata alla conservazione della cosiddetta Kanzlermehrheit, la «maggioranza del Cancelliere»: anche nelle votazioni che vedono SPD e Verdi votare con la maggioranza,  la somma dei voti espressi dai deputati dei tre partiti di governo non deve mai essere inferiore a quella dei deputati dell’opposizione. Altrimenti il Cancelliere diventa un’anatra zoppa. Ragion per cui, prima di ogni scrutinio-chiave, ogni gruppo parlamentare in cui ci siano vedute divergenti realizza un «voto di prova» al proprio interno: se l’esito di questa Probeabstimmung non garantisce la maggioranza, si riprende a trattare. La politica tedesca non ammette quasi mai sorprese.

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