La Grecia avrà un governo. Questo è certamente il dato più importante che emerge dal voto del 17 giugno. Dopo lo stallo seguito alle consultazioni del 6 maggio, che non avevano permesso di giungere alla formazione di una maggioranza, Atene torna ad avere un esecutivo espressione di un voto democratico.
Rispetto a maggio, il voto si è concentrato soprattuto sui partiti che avevano una possibilità di vittoria e dunque sui conservatori di Nea Dimokratia e su Syriza (Raggruppamento della Sinistra Radicale): avendo ottenuto rispettivamente il 29,7% e il 26,9%, crescono entrambi di oltre il 10% rispetto alle precedenti consultazioni.
I socialisti del Pasok, ormai terza forza politica del paese, hanno perso un ulteriore punto percentuale, attestandosi al 12,3%, mentre Sinistra Democratica ha sostanzialmente confermato il precedente risultato con il 6,7%. Ha perso invece oltre il 3% dei voti, fermandosi al 7,5% il movimento dei Greci Indipendenti che, fortemente contrario al memorandum firmato in marzo con la troika (UE, BCE, FMI), ha probabilmente visto il proprio elettorato emigrare verso Syriza, avendo quest’ultima maggiori possibilità di vincere le elezioni.
Un discorso a parte merita il partito comunista (KKE), che ha condotto una campagna elettorale all’insegna dell’isolamento politico e del rifiuto di qualsiasi collaborazione con le altre forze politiche della sinistra. Tale scelta non è stata apprezzata dall’elettorato, che ha dimezzato il consenso dei comunisti, scesi al 4,5%. Si conferma invece al 7% il partito neonazista di Alba Dorata. Molti osservatori ritenevano probabile un suo crollo, che invece non si è verificato a riprova di un malessere sociale sempre più radicato e diffuso.
Se la vittoria di Nea Dimokratia non è numericamente in dubbio, l’analisi del voto fa emergere elementi di incertezza e segnali contraddittori. A dividere Nea Dimokratia e Syriza – i due partiti che si sono contesi la vittoria e il premio di maggioranza di 50 seggi che viene assegnato dalla legge elettorale al partito che ottiene il maggior numero di voti – è stata soprattutto la posizione in merito al memorandum siglato con l’Unione Europea, che ha imposto al paese pesanti sacrifici e severe misure di austerità. Nea Dimokratia, pur dicendosi disposta a chiedere una revisione del piano, si è presentata agli elettori greci e alla comunità internazionale come il partito pro-memorandum. Syriza, al contrario, ha chiesto il voto degli elettori per discutere un nuovo accordo completamente nuovo, convinta che l’Europa non avrebbe comunque permesso l’uscita della Grecia dall’Euro.
La vittoria di Nea Dimokratia non può leggersi come un mandato del paese per una posizione pro-memorandum: circa il 46% dei votanti si è infatti espresso a favore dei partiti contrari all’accordo, dimostrando come vi sia una profonda spaccatura nella società greca in merito ai patti sottoscritti con la troika. Se a ciò si aggiunge il fatto che l’astensione ha raggiunto quasi il 40%, appare chiaro che i partiti pro-memorandum non hanno l’appoggio della maggioranza dei cittadini greci.
È questo un elemento di cui Antonis Samaras, il leader di Nea Dimokratia, deve ovviamente tenere conto in vista della formazione di un governo di “salvezza nazionale” per cui ha già ottenuto l’appoggio del Pasok e di Sinistra Democratica. I tre partiti, insieme, potranno contare su una solida maggioranza parlamentare, ma devono attendersi una dura opposizione: Syriza è la seconda forza politica del paese (con 71 deputati) e il giovane leader Alexis Tsipras ha respinto l’offerta di entrare a far parte della coalizione di governo. Alla base della sua decisione vi è, molto probabilmente, la considerazione che, nel caso in cui l’attuale governo non dovesse riuscire a ottenere risultati nel breve periodo, si aprirebbe una nuova crisi politica di cui Syriza sarebbe il principale beneficiario. C’è poi il ruolo di Alba Dorata, che certamente non ha alcun interesse ad assumere posizioni responsabili.
Intanto, la situazione sociale appare sempre più esplosiva. La Grecia, al quinto anno consecutivo di recessione, deve fare i conti con una disoccupazione stimata attorno al 23%, che nel caso dei giovani supera ampiamente il 50%. Su queste basi, un rispetto rigoroso dei patti non sembra possibile, a cominciare dagli 11 miliardi di tagli alla spesa pubblica previsti per il 2012. È evidente che in un simile contesto il rischio di una disgregazione sociale e dell’esplosione della violenza non è assolutamente da sottovalutare.
Il governo avrà dunque il delicato compito di fornire garanzie all’Unione Europea e ai creditori internazionali, ma al tempo stesso di ottenere alcune modifiche al calendario di riforme concordato, al fine di liberare risorse per rilanciare lo sviluppo del paese e arginare i costi sociali della crisi.
Da questo punto di vista sono parse incoraggianti le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo tedesco, che hanno compiuto delle aperture rispetto alla possibilità di rivedere alcuni aspetti degli accordi sottoscritti. La Germania non sarà certo disposta a modifiche sostanziali, e tuttavia Berlino si rende conto che sono necessari alcuni passi per rafforzare il prossimo esecutivo greco. A Bruxelles a Francoforte si dovrà formare in tempi brevissimi un nuovo consenso su come sostenere questo delicato processo.