Non è una novità: è sempre l’economia a dominare i sentimenti degli americani che si apprestano a votare alle elezioni di midterm. L’istituto Gallup dice che la crescita anemica è ancora la questione fondamentale nel dibattito politico, seguita dalla contrazione, ormai cronica, del mercato del lavoro e dalle disfunzioni del sistema politico di Washington. Nella classifica dei temi chiave di questa campagna elettorale, tuttavia, c’è anche l’avanzata dello Stato Islamico: l’unico tema che riguarda ciò che succede fuori dai confini americani. Un dato particolarmente significativo se si pensa che, ad aprile, ISIS non era nemmeno fra le opzioni offerte dai sondaggisti. “All politics is local”, diceva lo storico speaker della Camera Tip O’Neill, ma a guardare la sfida in corso le cose non stanno più così.
Se, complessivamente, l’America vota in queste elezioni per il rinnovo della Camera e parte del Senato guardando al portafogli più che ai notiziari di politica estera, l’ascesa del nuovo gruppo di estremisti in Iraq e Siria, e gli attacchi aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, hanno cambiato la dinamica della campagna. Le ultime settimane hanno registrato un’invasione di spot, slogan, messaggi e discorsi tagliati su questioni di politica estera che normalmente trovano spazi limitati – si tratta, in sostanza, di elezioni di natura locale, più legate agli eventi del distretto o dello stato che agli scenari globali.
I candidati repubblicani hanno trovato terreno fertile nelle indecisioni che il Presidente, Barack Obama, sta mostrando nella conduzione della guerra (ma la Casa Bianca preferisce, appunto, parlare di “operazione militare” e altri sinonimi) contro lo Stato Islamico. Così, molti hanno rimodellato il proprio messaggio elettorale secondo una direttrice comune: Obama non è in grado di garantire la sicurezza degli Stati Uniti, dicono, e sotto il cappello della percezione dell’insicurezza nazionale proliferano gli slogan che infondono paura.
I conservatori stanno seguendo una strategia precisa coordinata dal National Republican Senatorial Committee (NRSC), la commissione repubblicana che si occupa del Senato – cioè il ramo del Congresso dove il GOP spera di conquistare la maggioranza (di cui già dispone alla Camera). Si tratta innanzitutto di ridicolizzare gli avversari che hanno sottostimato le minacce globali. In Colorado gira a ciclo continuo da un paio di settimane un video del Senatore democratico Mark Udall che dice: “ISIS non rappresenta una minaccia imminente per il paese”. In questo contesto, non sarà facile per il Senatore resistere all’attacco del Repubblicano Cory Gardner. In Arizona uno spot del NSRC cavalca una diceria smentita dalle fonti ufficiali ma che ha fatto comunque presa nell’immaginario collettivo: i terroristi dell’ISIS stanno tentano di entrare negli Stati Uniti dal confine messicano. Così la Deputata democratica Ann Kirkpatrick, che ha sempre votato contro l’aumento delle misure di sorveglianza sul confine, ora è sotto attacco: “Da dove entreranno i terroristi dell’ISIS? – recita lo spot – dal backyard dell’Arizona”. In Arkansas uno degli astri nascenti del Grand Old Party (GOP), Tom Cotton, sta attaccando l’esperto Senatore democratico Mark Pryor sullo stesso terreno. Wendy Rogers, un’altra candidata repubblicana del Sud, ha addirittura usato una parte del video in cui il giornalista americano James Foley viene decapitato per descrivere nei termini più crudi l’incapacità obamiana – e per estensione democratica – di garantire la sicurezza nazionale. I Senatori Ted Cruz e Rand Paul hanno usato anche la minaccia dell’ebola per ribadire un concetto simile.
Intanto i Super Pac conservatori – i comitati che, a certe condizioni, possono spendere senza limiti nelle campagne elettorali – hanno reindirizzato i fondi sulla politica estera. Crossroads Gps, l’associazione dello stratega Karl Rove, ha da poco speso oltre cinque milioni di dollari per uno spot televisivo che attacca la Senatrice della North Carolina Kay Hagan, rea di avere saltato un’interrogazione parlamentare sull’ISIS per andare a un evento di fundraising. John Bolton, ex Ambasciatore americano presso l’ONU negli anni di George W. Bush e irriducibile falco repubblicano, ha raccolto attraverso le fondazioni che a lui fanno capo oltre sette milioni di dollari da ridistribuire ai candidati del GOP, cosa che, ha spiegato al Washington Post, “smentisce l’opinione comune secondo cui la sicurezza nazionale non è una questione politica fondamentale”.
La politica estera è insomma ripiombata improvvisamente sul tavolo del dibattito politico, e sono i Repubblicani a giocarsi la possibilità di capitalizzare sul repentino cambiamento nella percezione dell’elettorato.