Per la Cina, l’Unione Europea si è rivelata nel corso degli ultimi anni uno dei partner più importanti, ma anche meno facili da gestire. Pechino guarda con sempre maggiore interesse allo sviluppo e alle trasformazioni della costruzione comunitaria, e le elezioni europee del 25 maggio non faranno eccezione. Il corposo documento pubblicato dal ministero degli Esteri sulla “Politica cinese nei confronti dell’UE”, appena uscito a distanza di dieci anni da una precedente edizione dell’ottobre 2003, dimostra l’attenzione alle dinamiche europee: non tutti i partner economico-politici della Cina, anche di importanza paragonabile all’Unione, hanno meritato la pubblicazione di simili dossier.
Ci sono anche motivi culturali e geopolitici per cui Pechino considera positivamente e vuole migliorare i rapporti con l’Unione Europea, sebbene la ragione principale resti economica. Con il commercio tra i due partner che ha ormai superato i 590 miliardi di dollari l’anno, l’UE si è confermata per il decimo anno consecutivo il principale mercato commerciale per i prodotti cinesi; viceversa Pechino è ancora la seconda destinazione, dopo gli Stati Uniti, per quanto riguarda le esportazioni aggregate dei 28 membri dell’Unione. A conferma dell’importanza di un rapporto non solo attestato dai numeri, a fine marzo il presidente della Repubblica popolare e segretario del Partito comunista Xi Jinping ha viaggiato per dieci giorni in Europa (Olanda, Francia, Germania, Belgio) per stringere importanti accordi economici e rinsaldare il legame con alcuni dei più importanti Stati del continente.
Per quanto la Cina non voglia rinunciare a intrattenere rapporti con i singoli paesi, spera che le prossime elezioni europee portino maggiore coesione nell’Unione e allo stesso tempo riducano il peso della tanta burocrazia che rallenta accordi e processi decisionali. Come dichiarato da un esperto di rapporti tra Cina e Unione Europea, Shi Zhiqin, “la Cina è costretta a stringere accordi con ogni singolo paese europeo individualmente. Questo rende più lento e complicato il raggiungimento di buoni risultati, perciò vorremmo avere relazioni più semplificate a livello sovranazionale; tuttavia, il lento decision making europeo scoraggia questa possibilità”.
Nonostante le carenze nella governance delle istituzioni europee, è notevole l’interesse della seconda potenza economica mondiale (almeno adottando il criterio del PIL) verso l’Unione Europea, che costituisce il primo polo al mondo per volume di scambi commerciali. Che la Cina voglia più integrazione politica europea è comunque paradossale, per quanto comprensibile dal punto di vista economico, visto che le alte sfere del Partito comunista guardano con grande preoccupazione al principio che qualunque organismo sovranazionale (e quelli dell’UE lo sono al massimo grado) abbia un diritto di ingerenza negli affari interni dei singoli Stati.
Pechino cerca di inserire l’auspicata crescita della “cooperazione economica win-win in un’ottica di mutuo beneficio”, come recita il documento cinese sull’UE, in un’affermazione di rispetto per quella che viene definita la “grande civiltà europea”. Nonostante le tantissime differenze dal punto di vista tradizionale, spirituale e politico la Cina, che a ragione si ritiene la più grande “civiltà orientale”, considera l’Europa il fulcro e la culla della civiltà occidentale: ad avvicinare due mondi così lontani, come dichiarato da Xi durante il suo discorso al Collegio d’Europa di Bruges, è proprio il comune status di “civiltà”.
Quello del presidente cinese è un rilievo importante soprattutto perché modifica un precedente diffuso punto di vista, secondo il quale Pechino non risparmiava critiche al senso di superiorità che gli europei si attribuirebbero sia nell’ambito politico che in quello sociale. Alla base dell’apertura c’è forse il timore, da parte cinese, di ritrovarsi commercialmente isolati nel caso di successo delle trattative tra Bruxelles e Washington per la firma della partnership economica euro-atlantica (TTIP). Se l’Europa merita dunque lo status di “grande civiltà”, c’è ancora strada da fare per vedersi conferire dalla leadership cinese quello di “grande potenza” come gli Stati Uniti. In realtà, Pechino sembra sfruttare le attuali debolezze europee per rafforzare il proprio potere negoziale su alcune questioni spinose. Si descrive così il rapporto bilaterale come “una partnership strategica da rafforzare”, per poi presentare le “classiche” e prevedibili richieste cinesi: “La Cina chiede all’UE e ai suoi Stati membri di non appoggiare l’accesso di Taiwan a organizzazioni internazionali che abbiano la condizione di Stato tra i loro requisiti (…). L’UE non dovrebbe permettere ai leader del gruppo del Dalai Lama di visitare i suoi Stati membri (…) e dovrebbe smettere di usare questioni legate ai diritti umani individuali per interferire nella sovranità giudiziaria della Cina e nei suoi affari interni”.
A dispetto di queste divergenze ben note, è chiaro che l’Unione Europea può essere a seconda delle circostanze un buon alleato a livello internazionale per bilanciare il potere degli Stati Uniti: spesso negli ultimi anni Bruxelles non ha approvato la politica estera americana, o perlomeno i membri dell’UE si sono mostrati divisi e incerti rispetto alle scelte di Washington. A fare dell’Unione una possibile buona sponda diplomatica è anche la mancanza di mire espansionistiche europee nella sfera di influenza a cui è interessata la Cina; sfera che invece Obama sta cercando di penetrare direttamente con il suo Pivot to Asia.
Future ulteriori convergenze culturali e geopolitiche tra Cina e UE vedranno la luce solo se gli scambi economici continueranno ad essere fiorenti. In questo senso, la sfida del prossimo decennio sarà quella di siglare un accordo unico sul commercio, e di promuovere una crescita degli investimenti. Come ricordava recentemente il Giornale del popolo cinese, megafono del partito comunista, la Cina destina all’Europa appena l’1% dei suoi investimenti, mentre l’Europa in Cina non più del 4%. Cifre per le quali, naturalmente, c’è spazio per un sostanzioso aumento.
Per l’Unione Europea si presenta tuttavia un curioso paradosso. Per restare fedele ai principi che l’hanno resa una “grande civiltà” (come ricordato dallo stesso Xi Jinping), l’Europa dovrebbe subordinare questi accordi economici a un maggiore rispetto dei diritti umani in Cina, nel contesto di riforme giudiziarie e probabilmente di aperture politiche. Proprio quello che, naturalmente, Pechino vuole evitare. Si giocherà in questo dilemma molto del rapporto bilaterale nel mandato del prossimo parlamento e della prossima Commissione europea.