Hamas, i Fratelli Musulmani, e il dilemma israeliano

Il governo israeliano ha annunciato che intende intensificare i rapporti diplomatici con i Fratelli Musulmani in Egitto, come anche con le altre forze islamiste uscite vincenti dalle recenti elezioni parlamentari nel paese. Il nuovo ambasciatore israeliano al Cairo, Jacob Amity, sarebbe stato incaricato di avviare contatti perfino con i partiti salatiti – tra cui il partito al Nour, oggi la seconda forza politica egiziana dopo il partito Libertà e Giustizia (appunto, i Fratelli Musulmani). Per ufficializzare “il nuovo corso” delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi si dovrà attendere l’esito della lunga maratona elettorale egiziana (fino alle elezioni presidenziali in estate) ma è già chiaro che il governo Nethanyau sembra ispirarsi a una buona dose di pragmatismo. Questa scelta pone tuttavia un problema specifico per Israele e il rapporto con il mondo palestinese: il boicotaggio di Hamas, in vigore dal 2007. Come potrà il governo israeliano continuare a spiegare alla sua stessa opinione pubblica il mantenimento di un double standard rispetto ai Fratelli Musulmani egiziani (e addirittura i gruppi salafiti) da un lato, e Hamas dall’altro? I due partiti sono per molti versi espressione della stessa ideologia politica.

Il quesito è particolarmente urgente dato che Khaled Maashal, leader della fazione armata del partito, ha annunciato in occasione del recente secondo round di negoziati Hamas-Fatah (il cosiddetto Interim Leadership Forum) appena tenutosi al Cairo, una potenziale svolta storica per l’organizzazione: Hamas sarebbe disposto a stringere una tregua con Israele, passando dalla lotta armata a quella “popolare”, e sarebbe pronto a riconoscere e sostenere l’istituzione di uno stato palestinese entro i confini del ’67 (pur senza rinunciare al diritto al ritorno dei profughi palestinesi). Non vi è stata alcuna menzione ufficiale al riconoscimento di Israele, ma è indubbio che nessun leader del movimento si era mai spinto tanto avanti sulla via delle concessioni in vista della possibile riunificazione nazionale.

Hamas ha molte e buone ragioni concrete per compiere questo passo: la sua base strategica di appoggio in Siria è stata minata dalla repressione che Assad conduce ai danni del suo popolo: la credibilità del regime di Damasco è ormai pregiudicata nell’intero mondo arabo. Non a caso, sono circolate voci secondo cui il braccio armato di Hamas starebbe cercando riparo in Giordania – cioè il paese dal quale esso è stato espulso nel 2000, come del resto era accaduto all’OLP nel 1970. Un portavoce del governo giordano si è preoccupato immediatamente di smentire le indiscrezioni, ma resta il dato oggettivo di un momento assai delicato per l’organizzazione che controlla la Striscia di Gaza.

E’ chiaro che Hamas sta cercando una nuova collocazione alla luce delle transizioni arabe in atto, sia per evitare di finire come un “danno collaterale” dell’isolamento internazionale della Siria, sia per sfruttare in qualche modo la rinnovata popolarità dei Fratelli Musulmani. Per far ciò, ha però bisogno di accreditarsi nuovamente come una grande forza politica popolare, piuttosto che come un gruppo di resistenza armata: una forza che, in continuità con i risultati del 2006, chiede che si tengano nuove elezioni in Palestina – con la prospettiva di conquistare il potere anche in Cisgiordania, alla luce del successo politico ottenuto con il rilascio di oltre un migliaio di prigionieri palestinesi nello scambio con il Caporale israeliano Shalit. Stiamo dunque assistendo a passi importanti verso la possibile trasformazione di Hamas in un partito politico moderato, che naturalmente modifica il quadro palestinese e pone una grande sfida per Fatah.

Su questo sfondo, i legami con i Fratelli Musulmani egiziani sono cruciali, anche per la continua valenza politica della questione palestinese in chiave regionale: in occasione della visita di Haniyeh al quartier generale dei Fratelli Musulmani al Cairo, lo scorso novembre, il suo omologo egiziano Mohammed Badie dichiarò che la Palestina era sempre al centro delle preoccupazioni e dell’impegno della Fratellanza. Il viaggio in Egitto, per Haniyeh, é stato del resto solo la prima tappa di un tour che ha toccato molti dei centri vitali della umma islamica, ovvero Sudan, Qatar, Bahrein, Tunisia e Turchia: nella selezione delle mete si è voluto lanciare il messaggio che Hamas appoggia le rivolte popolari e le rivoluzioni in corso, e guarda ai Paesi caratterizzati da un islamismo moderato.

L’operazione tentata da Hamas non è facile, ma si tratta comunque di una sfida nuova per Israele, oltre che per il mondo palestinese. Una sfida che nasconde un’opportunità, visto che le forze islamiste guidano oggi Paesi importanti tuttora alla ricerca di un modello di democrazia che coniughi valori islamici e rispetto dell’espressione della volontà popolare. Il governo Netanyahu ha per una volta la possibilità di anticipare, piuttosto che subire, i cambiamenti in atto nella regione, con scelte che andrebbero a beneficio di tutti.

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