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L’Italia nella sicurezza economica europea

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*Questo articolo è il terzo contributo di una serie, parte di un progetto di ricerca e analisi su nuove tecnologie e sicurezza economica europea che Aspen sviluppa assieme al Politecnico di Torino, allo Studio Bonelli Eredi e alla LUISS. Il progetto è supportato dalla Compagnia di San Paolo.

 

In che modo l’Italia si pone e può porsi in una nuova strategia di sicurezza economica europea, capace di fatti e non di parole? In primo luogo, dovremmo comprendere i nostri punti di forza e le nostre debolezze, in un contesto in cui le filiere industriali e le capacità tecnologiche fanno sempre più parte della competizione internazionale.

 

Consideriamo allora la struttura dell’Italia come economia esportatrice e la risposta delle imprese italiane agli shock degli ultimi vent’anni. Partendo da un valore di circa 370 miliardi di euro nel 2008, sceso a 290 miliardi nel 2009, l’export di beni ha attraversato fasi di contrazione e rimbalzi, superando la soglia dei 626 miliardi di euro nel 2023 e puntando verso l’obiettivo di 700 miliardi per il 2026-2027, secondo le stime ufficiali del Governo[1]. A una fase incentrata sulla risposta al crollo del mercato interno, dopo la Grande Recessione e nella prima parte degli anni ’10, è seguita la capacità degli esportatori di risalire la catena del valore, separando la performance dell’export italiano dalla pura competitività sul prezzo, con un miglioramento della base manifatturiera. Anche la risposta agli shock del Covid e della crisi energetica, nei primi anni del nostro decennio, è stata superiore alle aspettative. Una relativa diversificazione geografica ha ridotto la dipendenza dai mercati europei a favore del Nord America e di nuove geografie di crescita.

Come ha notato Paolo Bricco, la media impresa internazionalizzata è stata al centro di questa dinamica, rafforzando l’imperativo per cui “non possiamo non dirci manifatturieri”[2]. L’idea che dobbiamo essere un Paese fondato sull’enogastronomia e sul turismo risponde a uno stile di vita che ammiriamo e che riceve continui e opportuni riconoscimenti, come quello della cucina italiana ufficialmente definita patrimonio dell’umanità dall’UNESCO proprio in questo dicembre 2025. Solo che il nostro benessere e il nostro rilievo geopolitico non si possono basare solo sulla prelibatezza dei nostri piatti e sulla mera attrazione del nostro stile di vita. Se parliamo di sicurezza economica, l’Italia può avere un ruolo significativo solo come Paese industriale. Se invece ci illudiamo di diventare un gigantesco “Antico Vinaio”, realizzeremo progetti di oggettivo successo, meritevoli di elogi perché capaci di creare occupazione e attrazione internazionale, ma non potremo mantenere né diffondere il benessere in modo adeguato alle nostre aspirazioni, di cui in ogni caso può far parte il settore agro-alimentare con le sue strette interconnessioni con l’industria e con l’innovazione.

Se la spina dorsale manifatturiera, meccanica e meccatronica è un fattore imprescindibile per la crescita e la capacità innovativa dell’Italia, non si può pensare che le quote di mercato italiane siano al sicuro, con la competizione globale sulla manifattura tra Stati Uniti, Cina e vari attori dell’Asia orientale e del Sud-est asiatico.

Il rafforzamento delle capacità delle medie imprese esportatrici ha dato forma a una serie di distretti e di realtà significative, dall’ecosistema del packaging (con segmenti specifici di macchinari per il confezionamento, in particolare per i settori farmaceutico, cosmetico e alimentare) alla filiera robotica. Non a caso, durante gli anni ’10 anche numerose delle acquisizioni cinesi – nel percorso accelerato che ha portato Pechino a divenire la principale potenza robotica mondiale – si sono incentrate sull’ecosistema robotico e componentistico italiano, al fine di acquisire proprietà intellettuale.

Anche nel settore dei semiconduttori, l’Italia dispone di realtà rilevanti, di piccole dimensioni rispetto alla scala dell’industria alla base della vita digitale e al centro della conflittualità tra Pechino e Washington, ma comunque di rilievo. Technoprobe, azienda di Cernusco Lombardone (Monza), è leader mondiale nella produzione di probe cards, dispositivi microscopici utilizzati per testare il funzionamento dei chip e pertanto permettere la loro validazione e la loro immissione sul mercato. L’azienda, grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo e alla strategia di integrazione e acquisizioni, è divenuta partner di riferimento per TSMC e Samsung, ed è entrata nel segmento HBM (High-Bandwidth Memory, una tecnologia ad alte prestazioni), di grande rilievo per i sistemi di intelligenza artificiale. Simili campioni nazionali sono stati quindi in grado di trovare opportunità nel ciclo tecnologico attuale sia nelle quote di mercato che nei processi, come mostrano anche i più recenti macchinari di collaudo automatico e progetti[3] di Spea, che ha sede a Volpiano (Torino).

 

Gli altri contributi della serie:
Il pericolo della trappola tecnologica per l’Europa: strategie di “reskilling” e “upskilling”
Ripensare la strategia di sicurezza economica europea: un dibattito necessario

 

Un ambito centrale per la competitività italiana, ed entrato di recente nel radar delle istituzioni pubbliche e private, è quello dell’economia marittima nelle sue varie diramazioni (costruzioni navali, infrastrutture energetiche e di telecomunicazioni, sicurezza subacquea, tecnologie di sensoristica e sorveglianza). Tanto le soluzioni di Fincantieri, e il suo ruolo come capo-filiera e integratore, quanto lo sviluppo di sistemi autonomi per la sicurezza marittima rientrano in questo dominio. A ciò si lega la capacità dell’Italia, con Leonardo e con gli altri attori dell’ecosistema, di agganciare gli sviluppi del ciclo di investimenti sul fronte difesa-sicurezza, e di una difesa a forte intensità tecnologica, che caratterizzerà l’Europa dei prossimi anni.

Come si evince anche da questi ultimi esempi, un elemento di forza di questo secolo è la tenuta relativa della grande impresa a partecipazione pubblica. Si ricordi, per esempio, l’investimento precoce di Eni sul supercalcolo (cioè, su quello che attualmente chiamiamo “intelligenza artificiale”), la sua partnership con NVIDIA per lo sviluppo di soluzioni per il suo core business (esplorazione e produzione in campo energetico) e di recente la sua capacità di realizzare accordi con uno degli attori più rilevanti nel finanziamento dei data center a livello internazionale, l’emiratina MGX[4].

Alla tenuta della grande impresa a partecipazione pubblica tuttavia, come sappiamo, non ha corrisposto un’adeguata espansione della grande impresa privata. Nella dialettica tra nicchia e scala che caratterizza la competizione tecnologica, l’Italia dispone quasi esclusivamente di alcune nicchie, e non della scala richiesta dalla competizione internazionale. A parte alcune storie di successo, di cui EssilorLuxottica sia per il suo ruolo negli smart glasses che per investimenti importanti come quello sulla giapponese Nikon (presente anche nella filiera dei semiconduttori) rappresenta una punta di diamante, non si sono sviluppate nuove grandi imprese in grado di avere un ruolo dominante. È proprio perché EssilorLuxottica è una grande azienda con scala internazionale, con una partnership già attiva con Meta, che può costituire una collaborazione di ricerca con la Fondazione Chips-IT di Pavia[5]. Quando gli asset industriali non ci sono, non è possibile accelerare la ricerca applicata su una scala adeguata.

Il caso di Bending Spoons[6], azienda italiana del digitale in grado di raggiungere una valutazione di 10 miliardi e di crescere costantemente attraverso acquisizioni e integrazioni, non è stato eguagliato da altre realtà. Ciò anche perché tra gli elementi di debolezza dell’Italia permane l’orizzonte finanziario, con “armi proprie” scarse (per citare Machiavelli) e una sostanziale impossibilità per le aziende e start-up italiane di piccola dimensione di attrarre capitali davvero significativi senza abbandonare l’Italia. La crescita della capacità finanziaria non può essere affidata solo alla mano pubblica, anche se ovviamente un ruolo di attori come CDP Equity per accompagnare l’era della sicurezza economica può essere utile.

La sicurezza economica italiana sarà anche determinata dalla capacità di conversione di ecosistemi industriali (si veda il caso di Torino e il processo già in corso dall’automotive all’aerospazio e ai materiali) e dalla possibilità di operare da parte di segmenti sottovalutati ma che continuano a rappresentare la base della tecnologia: le materie prime, la chimica, i gas industriali e gas tecnici.

A partire dai suoi asset, l’Italia può essere ancora protagonista della diffusione industriale dell’intelligenza artificiale. Un tema compreso da iniziative come AI4I a Torino[7], l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale per l’Industria, e i suoi progetti di lanciare e diffondere piattaforme incentrate sul matching tra i bisogni concreti delle imprese manifatturiere e le soluzioni tecnologiche disponibili sul mercato o nei laboratori di ricerca. Vanno in questa direzione, di recupero del divario digitale e di diffusione della tecnologia nelle soluzioni delle imprese, anche comunità come Digital Industries World[8], da anni attive nella trasformazione digitale dell’industria e iniziative come ForgIA di Assolombarda. Tuttavia, secondo il 2025 Digital Decade Country Report, solo l’8% delle imprese ha adottato l’intelligenza artificiale, e soprattutto solo il 45% della popolazione ha competenze digitali di base[9]. La capacità di formare le persone e i ricercatori è la base di tutti questi ragionamenti: senza le persone in grado di sviluppare e gestire questi sistemi, l’hardware e i dati rimangono inerti.

In secondo luogo, gli asset dell’Italia, e i suoi limiti, implicano comunque alcune scelte, di settori e di priorità. Quali capacità si vogliono sviluppare? Chiaramente, l’Italia non potrà fare tutto, né può limitarsi a sostenere un pò di tutto, senza peraltro misurarne l’impatto. Occorre quindi rendere più esplicito ciò che l’Italia vuole effettivamente fare, la sua scala di priorità e il suo rapporto tra mezzi e fini, anche con l’elaborazione, invocata a lungo e in modo più intenso e ufficiale dal 2023, di una Strategia per la Sicurezza Nazionale. Si tratta di definire con quale supply chain si voglia operare, con quali materiali, con quale sistema di permessi, con l’abolizione di quali passaggi.

 

 


Note:

[1] Questo è l’obiettivo del Piano per l’Export del Governo: https://www.esteri.it/wp-content/uploads/2025/03/Piano_dAzione_export_italiano.pdf

[2] Si veda tra l’altro P. Bricco, “Non possiamo non dirci manifatturieri, nonostante la cultura anti-industriale”, Piazza Levante, 29/3/2023, https://piazzalevante.it/non-possiamo-non-dirci-manifatturieri-nonostante-la-cultura-anti-industriale-di-paolo-bricco/

[3] Si veda per esempio https://www.spea.com/en/industries/artificial-intelligence-for-automatic-defect-detection/

[4] Si veda https://www.datacenterdynamics.com/en/news/eni-partners-with-saudis-mgx-and-g42-to-develop-1gw-of-data-centers-in-italy/

[5] Si veda https://www.essilorluxottica.com/it/area-stampa/comunicati-stampa/essilorluxottica-una-collaborazione-con-fondazione-chips-it/

[6] Per una spiegazione esaustiva su Bending Spoons, si veda https://technicismi.substack.com/p/la-vera-storia-di-bending-spoons

[7] https://ai4i.it/

[8] https://digital-industries.org/it

[9] https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/factpages/italy-2025-digital-decade-country-report