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Trump e il fattore imprevedibilità nella vicenda ucraina

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 Esiste, nella tragica vicenda ucraina, un fattore sottovalutato: l’imprevedibilità di Donald Trump può rivelarsi un problema anche per Vladimir Putin, non soltanto per Kiev o per noi. E’ vero che Trump vuole evitare, come Biden prima di lui, rischi di escalation con Mosca: ne è conferma l’esitazione su forniture di missili Tomahawk. Non solo: Trump non intende umiliare la Russia, che considera più rilevante dell’Ucraina per gli interessi degli Stati Uniti.

Donald Trump e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca

 

Ma è vero anche che il capo della Casa Bianca, e certamente larga parte del Partito Repubblicano al Senato, non vuole fare “vincere” la Russia sul fianco Est della NATO. Vuole spingerla a interrompere la guerra, aumentando una volta gli incentivi e l’altra i disincentivi. Di qui la via di mezzo in cui si trova Trump, con le sue oscillazioni. Inclusa la recente decisione di attivare sanzioni economiche contro due grandi colossi del settore energetico russo. E’ il primo serio passo di questa amministrazione – dopo nove mesi di presidenza – per aumentare i costi della guerra di Putin. E quindi per dimostrare al Cremlino che il tempo non gioca in realtà a suo favore.

Vedremo fino a che punto le sanzioni saranno efficaci. Conteranno soprattutto gli effetti secondari, ossia l’impatto sui compratori più rilevanti di petrolio russo oggi, Cina e India.  Che per ora hanno scelto una posizione di attesa ma che in effetti temono l’esclusione dal circuito finanziario del dollaro per una parte delle proprie banche e imprese in affari con Mosca.

 

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Sappiamo che esistono, nell’applicazione delle sanzioni, scappatoie infinite. Sappiamo anche che la riduzione dell’export energetico russo potrà essere in parte compensata dall’aumento iniziale del prezzo del petrolio. Con effetti paradossali: costo quasi zero per gli Stati Uniti (l’interscambio con la Russia è ridotto), costi potenziali importanti per Ungheria e Slovacchia (ancora dipendenti dall’oro nero di Mosca) e costi per la Germania (alla ricerca di esenzioni per tre raffinerie in origine collegate a Rosneft). Mentre è incerto l’impatto sugli squilibri fiscali di un bilancio russo da economia di guerra, coperto al 30% da entrate petrolifere. Resta in ogni caso il significato politico delle sanzioni di Trump: se Putin contava su una sponda americana, la sponda non è poi così solida.

Altri due fattori sono rilevanti, per il calcolo costi/benefici del Cremlino: la tenuta dell’Europa, su cui ricadono i costi del sostegno all’Ucraina; l’atteggiamento della Cina, che per ora è la grande beneficiaria della guerra.

L’Unione Europea ha il problema di come strutturare un “reparation loan” che le permetta di continuare a supportare l’Ucraina con 70 miliardi di euro all’anno. Il Consiglio Europeo ha dichiarato che riuscirà a varare il nuovo fondo nel dicembre prossimo; nei fatti, è difficile raggiungere un accordo sull’utilizzo delle risorse congelate russe, come alternativa a bilanci nazionali o anche a un bilancio europeo con pochi margini di spesa.

La questione, in discussione da tempo, resta difficile e divisiva: l’uso degli asset russi pone problemi legali, di rischio finanziario e di credibilità dei depositi in euro. Anche sugli aiuti militari esistono posizioni diverse fra i governi che aprono all’acquisto di armi americane (i Patriot, per Germania e Italia) e quelli, come la Francia, che vogliono privilegiare il “made in Europe”, in aggiunta alle forniture europee già stanziate o promesse. Mentre l’Ungheria continua ad opporsi a qualunque decisione, dal 19° pacchetto di sanzioni (che include il bando progressivo degli acquisti di LNG russo), ad aiuti ulteriori, all’eventuale ingresso di Kiev nell’Unione.

L’Europa regge nel sostegno all’Ucraina, vedendo nella resistenza di Kiev la prima linea della difesa continentale. E offre, con la coalizione dei volenterosi, teoriche garanzie di sicurezza per un dopo cessate-il-fuoco. Ma non è così chiaro fino a quando i governi europei riusciranno a compensare il declino degli aiuti americani. Dal punto di vista russo, l’Europa è diventata comunque il “nemico principale”: gli interventi ibridi di Mosca sui cieli est-europei servono a testare la coesione dell’UE e della NATO ma il risultato potrebbe essere opposto, dimostrando a un’opinione pubblica incerta fra burro e cannoni che la difesa europea va consolidata.

 

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Su questo sfondo delicato, l’atteggiamento della Cina sarà decisivo. E’ la sponda vera di Mosca, che rende tuttora possibile la guerra contro Kiev. E che rafforza, rendendola sistemica, la minaccia alla sicurezza europea, perché salda le ambizioni di Mosca con la penetrazione cinese, la coercizione economico-tecnologica, il tentativo comune di dividere l’Atlantico.

L’energia è un settore sensibile per Xi, perché le forniture russe sottocosto sono state una grande boccata di ossigeno per l’economia cinese dal 2022 in poi. Ma come risultato della partita incrociata dazi/sanzioni, Pechino potrebbe anche decidere che i costi del sostegno a Mosca stanno diventando superiori ai vantaggi. Sarà una variante essenziale, di cui coglieremo alcuni indizi con l’incontro annunciato fra Xi e Trump in Corea del Sud, durante il tour asiatico del Presidente americano. Se è difficile cambiare i calcoli di Mosca, potrebbero cambiare quelli di Pechino.