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Gli “italici”, il soft power e i punti di forza dell’Italia

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A partire dalla pubblicazione, nel febbraio 2015, del volume “Svegliamoci italici!“, è ricorrente negli scritti e nelle interviste di Piero Bassetti l’invito ad individuare ciò che lega i 250 milioni di italici sparsi nel mondo per aggregarli in una “world community”. Ed un messaggio sembra sotteso: “saranno gli italici a salvare gli italiani”. Potenza del soft power che sa parlare al mondo intero scavalcando confini ormai inutili, grazie alla forza dei valori e della cultura.

Alcuni di questi temi sono emersi anche in occasione della presentazione del numero 100 di Aspenia, il 3 maggio scorso a Villa Aurelia a Roma. Il titolo del numero, “Noi italiani”, sintetizza il tentativo ambizioso – e per questo tanto più pregevole – di analizzare il nostro Paese con un approccio “glocale”, affrontando contemporaneamente una serie di tematiche internazionali e domestiche diverse, ma tutte strumentali ad agevolare una visione di insieme che consenta di guardare “oltre”.

 

Si inserisce perfettamente in questo quadro l’intervento di Gianfelice Rocca (presidente del gruppo industriale Techint e dell’Istituto Clinico Humanitas) e sulla chiusura delle sue considerazioni, quando ha invitato a superare la dimensione italiana in modo da avere una visione “italica” del ruolo del nostro Paese nel mondo.

Un invito ad allargare lo sguardo ed avere una visione a più ampio spettro, che è ben raffigurato dal cannocchiale riportato nell’immagine di copertina del numero di Aspenia. Questa illustrazione, ricordando un gioco che mi capitava di fare da piccolo, potrebbe peraltro benissimo essere rovesciata sostituendo sull’obiettivo la cartina dello stivale con la mappa del globo terrestre.

 

Le imprese italiane, dice Rocca in estrema sintesi, si sono da sempre tradizionalmente distinte per la loro capacità di combinare i fattori produttivi e competitivi dei singoli settori industriali con la cultura dei luoghi, dei territori in cui queste stesse imprese operano. Questa peculiarità di integrare elementi tratti da usi e tradizioni locali in contesti culturali ed economici globali ha permesso, malgrado la relativa ridotta dimensione delle imprese nostrane rispetto a quelle dei nostri principali concorrenti, di garantire, se non l’individuazione e l’introduzione di processi innovativi “disruptive” (in grado di sconvolgere in modo radicale schemi comportamentali e processi produttivi precedenti), quantomeno straordinarie capacità innovative di ordine “combinatorio” (capaci di creare e ottimizzare sinergie sfruttando anche approcci multidisciplinari). Una caratteristica quella della flessibilità culturale nell’assorbimento innovativo che ha permesso finora alle (prevalentemente) piccole e medie imprese italiane di competere nel mondo malgrado il fattore dimensionale caratterizzante i grandi gruppi stranieri; e nonostante i margini di miglioramento riscontrabili quali, ad esempio, un potenziale incremento nella capacità o disponibilità ad assumersi maggiori “responsabilità” (riproponendo, in questo modo, in un ragionamento prevalentemente economico, considerazioni di ordine etico-morali che riprendono note distinzioni espresse sulle differenze di visioni ed approcci in questo campo tra culture a matrice cattolica e protestante).

Da queste considerazioni emerge in maniera evidente come gli aspetti culturali rappresentino un fattore determinante per interpretare non solo come gli altri vedono noi italiani e viceversa, ma anche e soprattutto come il nostro Paese si possa posizionare in un mondo in rapida e straordinaria trasformazione, così come lo scenario delle relazioni internazionali che si va delineando nei prossimi anni.

Non deve quindi stupire il fatto che – proprio insistendo sulla cultura e sull’importanza di un “Nuovo Rinascimento” per rinsaldare i legami intra-europei e promuovere un rilancio del dialogo tra civiltà diverse – il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera del 21 aprile 2023, abbia anticipato l’invito a parlare di “italici” oltre che di “italiani”, stimolando in questo modo una riflessione sul concetto di “oltre” e sull’opportunità di affrontare le diversità, anzi, le “pluralità” identitarie con parametri valutativi aggiornati con i tempi.

Il Presidente della Repubblica immagina, infatti, “un’Europa unione di diversità, ispirata da una visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga dell’inciampo in limes, in barriere artificiosamente create”. L’intervista prosegue con delle considerazioni sull’Italia che “affascina per il suo spirito pubblico, il senso della comunità, la sua vocazione alla pace che si traduce in una straordinaria capacità diplomatica sul terreno della cultura, della scienza, dell’economia, della politica”.

 

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L’intervista si conclude con l’affermazione di come “il modello di vita italiano fa sì che … accanto agli italiani di quarta e quinta generazione che rivestono ruoli significativi nei Paesi di approdo, si facciano strada tanti tantissimi aspiranti italiani che apprezzano la nostra cultura. Italici, appunto, che alimentano quel soft power di cui c’è tanto bisogno in tempi di resipiscenza di violenze e aggressioni che riportano al secolo scorso”.

Vale la pena citare questi ampi brani dell’intervista in quanto, oltre alla sua importanza per le riflessioni innovative in essa riportate, fornisce delle significative risposte ai quesiti simpaticamente posti da Marina Valensise nel suo articolo sui motivi della fascinazione della cultura italiana da parte di non-italiani originari da paesi e civiltà anche molto lontani.

L’intervento del Presidente Mattarella stimola altresì riflessioni in relazione al tema trattato da Franco Pavoncello nel numero di Aspenia sull’importanza del “capitale sociale” in un Paese come l’Italia che tenta di compensare crescenti difficoltà di ordine socio-economico, così come ritardi nelle riforme istituzionali, con l’esistenza di forme di relazioni derivanti da tradizioni socio-culturali e modelli di vita identitari (importanza del nucleo familiare e del peso del Terzo Settore, del ruolo del volontariato etc.).

 

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Ed è necessaria una maggiore attenzione al tema demografico, per affrontare così una preoccupazione (condivisa) del suo impatto sull’evoluzione della struttura demografica in relazione a possibili (purtroppo probabili) squilibri crescenti di varia natura (cioè non solo economica) nel Paese. Un trend che, per essere modificato, necessita di complessi e lungimiranti interventi strutturali combinati anche con delle politiche “attive” sui flussi migratori e su di una visione realisticamente, pragmaticamente “aperta” nei confronti dei “nuovi italiani” senza strumentali o provocatori riferimenti a “razze” o “etnie”.

Nel caso della questione demografica, così come del ruolo attuale e potenziale del nostro Paese sfruttando il peso del proprio “soft power”, torna in tutto il suo rilievo il tema degli “Italici” così come definiti da Piero Bassetti (“Svegliamoci Italici! Manifesto per un futuro glocal” Marsilio editore 2015).

L’aggettivo “italico” non rappresenta per Bassetti un’alternativa, bensì un’integrazione, anzi un arricchimento o ampliamento della qualifica di “italiano”, in quanto “Italico non è solo chi è nato in Italia o iscritto alla lista dei passaporti italiani. È qualunque uomo al mondo che condivide la cultura italica, cioè il modo di ragionare e affrontare certe situazioni, un modello di vita, una cultura, l’umanesimo che ci rappresenta”.

Bassetti prosegue affermando che “definirsi Italici significa accogliere un’identità più ricca e sfaccettata e rivedere anche il concetto di patria … con una cittadinanza pluri-identitaria, valorizzata dal patrimonio di memorie, valori, lingue e modi di sentire”, per concludere con l’auspicio che “nelle prossime elezioni europee si possano vedere in campo liste che superano la rappresentanza nazionale, motivate da programmi ed ideali comuni, più europei”.

Giuliano Amato ha sottolineato recentemente, proprio su Aspenia, come l’Italia non risulti inclusa tra i “protagonisti” della politica estera mondiale, così come di quella europea (malgrado ne sia uno dei Paesi fondatori) salvo in quei casi in cui si è fatta promotrice di un progetto, di una proposta concreta e innovativa. Di qui la suggestione che “il mondo che si annuncia potrebbe chiedere al nostro Paese di … indicare la via agli altri”, di “coniugare il bello e il buon vivere con la raffinatezza della tecnologia, l’eleganza naturale con la creatività” come ci dice Salvatore Rossi nel suo ultimo libro (“Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia” Il Mulino, 2023).

Anche qui ci viene in soccorso l’intervista del Presidente Mattarella con l’invito a pensare ad una politica che si riconnetti per finalità non solo domestiche, ma anche e soprattutto internazionali alle sue fonti, alle tradizioni e valori culturali in quanto “lo scambio apre le menti… Consente di rimuovere pregiudizi e nozioni artefatte che ostacolano la conoscenza, ricacciandoci in confini neo-tribali. Il progresso del mondo è avvenuto anche, se non soprattutto, grazie agli scambi con le culture altre”.

Una delle questioni essenziali in questo invito ad un nuovo percorso di riflessione politica risulta essere, oltre ad una disponibilità ad affrontare idee diverse, la conoscenza delle culture, necessaria per il loro scambio.

Sono tutte idee utili per proseguire nel cammino del dialogo e dell’approfondimento culturale sull’Italia e sull’Europa, facendo partecipare a questo percorso di “ibridazione culturale” sempre più cittadini non italiani e, tra questi, anche “Italici”!

Ci sono di sicuro studiosi, Associazioni ed Istituti di ricerca, capaci di far incontrare ed aggregare i 250 milioni di italici sparsi nel mondo, a vantaggio di un proficuo dialogo, di uno sviluppo della cultura ed anche di un’ulteriore valorizzazione del made in Italy.