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Come l’economia islamica cresce in Europa

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Nella categoria “finanza islamica” rientra un numero sempre crescente di costrutti bancari e finanziari diversi fra loro per natura e storia. Da una parte troviamo quei servizi bancari, come i “conti correnti islamici” o il “microcredito” islamico: sono prodotti nati a partire alla fine degli anni Settanta principalmente in Egitto come iniziativa economica privata per effetto dell’ondata di “liberalizzazione” inaugurata dall’allora presidente Anwar Sadat, e che hanno poi saputo in parte rispondere alle esigenze di comunità islamiche fortemente minoritarie – ma in crescita anche dal punto di vista economico – presenti in paesi di immigrazione. Dall’altra incontriamo quei prodotti finanziari come i sukuk – una tipologia di titolo obbligazionario che rispetta, sulla carta, i divieti che l’Islam pone in materia economica (principalmente il divieto di usura) – che sono stati sviluppati in forme sempre più sofisticate allo scopo di attirare investimenti di vari “soggetti finanziari islamici” facoltosi e globalizzati. Sono i paesi del Golfo a dare maggiore impulso al mercato dei sukuk, ma il numero di tali soggetti è in forte aumento e si è allargato ad altre regioni oggi è la Malesia a collocarsi ampiamente in cima alla classifica degli “investimenti islamici”.

Questa essenziale distinzione fra prodotti bancari e finanziari islamici rimane importante, anche se la loro storia si incrocia negli ultimi anni anche con la nascita del ramo assicurativo (takaful). Se l’Islamic banking, destinato alle comunità della diaspora (e non), ha una storia ormai lunga e consolidata – e ha catturato interesse anche in quanto “sistema etico” di gestione del denaro e degli interessi – la Islamic finance vera e propria è sbarcata in Europa solo da qualche anno, nella forma – peculiare – del “fondo sovrano”. Questa particolare tipologia riflette un tentativo di apertura del mercato finanziario europeo agli investitori islamici – o per dir meglio “islamicamente connotati” – a cominciare dagli investitori dei paesi rentier del Golfo, che hanno da tempo manifestato il loro interesse soprattutto nel settore immobiliare europeo (ma anche in quello dello sport, della moda e di svariati beni di lusso).

Dopo le esperienze pionieristiche in Germania (il primo sukuk sovrano emesso da un’entità “non islamica” è datato 2004 su iniziativa del Land della Sassonia-Anhalt) e la prima esperienza americana (Goldmann-Sachs a partire dal 2011 ha avviato un programma per l’emissione di sukuk) anche l’Europa ha iniziato a muoversi e in un buon numero di paesi europei l’apertura alla finanza islamica è in agenda. La Gran Bretagna hanno annunciato le prime emissioni di titoli di questo tipo in sterline nel 2014 e l’istituzione presso il London Stock Exchange di un Islamic Market Index a margine della nona edizione del World Islamic Economic Forum (Londra, 29-31 ottobre 2013). Il principale concorrente europeo in questo campo è il Lussemburgo, che ha approvato una legge sui sukuk nel luglio 2014 e, nell’ottobre di quell’anno, ha emesso sukuk sovrani europei con denominazione in euro. Altri paesi europei – Germania, Francia, Italia – hanno allo studio progetti simili (la Commissione finanze del Senato in Francia, 2008; la Consob in Italia, 2014; la Deutsche Bank tedesca attraverso le sue filiali nel Golfo e in Malesia fin dal 2007). Queste iniziative hanno ancora scarso peso in termini assoluti, rappresentano poco più di un crash test, e tuttavia segnalano l’avvio, un nuovo percorso, delineandone inoltre la fattibilità, e potrebbero diventare, nel medio periodo, realtà di dimensioni rilevanti.

Londra è all’avanguardia in Europa anche per quanto riguarda il ramo delle assicurazioni “islamicamente corrette” (operando d’altronde in un campo nel quale la City vanta la più blasonata tradizione al mondo). È attiva anche in un altro settore specifico nel quale la finanza islamica trova un suo sviluppo “naturale”, il sempre più consistente mercato dei cibi halal (quegli alimenti che rispettano le prescrizioni alimentari islamiche come il divieto di consumare carne di maiale o sostanze alcoliche). Nel primo caso è recente la nascita di una Islamic Insurance association of London che ha come obiettivo il debutto in gran Bretagna di strumenti per la copertura assicurativa di persone e soggetti economici che operano nel campo dell’economia islamica. Nel secondo caso è già avviata l’attività (l’apertura è del 2012), nelle campagne di Londra (Norfolk), del primo Halal park europeo dedicato esclusivamente alla macellazione secondo i riti e le procedure islamiche.

Altro settore sul quale importanti attori che agiscono nel campo della finanza islamica stanno ponendo la propria attenzione in Europa (di nuovo, seguendo modelli già affermati nei paesi islamici) è quello del turismo halal: gli investimenti puntano alla promozione di un circuito turistico di alto livello, sostanziato di una ricettività (hotel, ristoranti, aeroporti, compagnie aeree) fatta su misura per quei facoltosi musulmani che da diversi anni ormai hanno iniziato a girare il mondo. Si offre così un soggiorno europeo in luoghi disegnati appositamente per incontrare le loro esigenze: cibi halal, spazi e strutture per la preghiera, dress code rispettoso dei loro usi e costumi. Durante la prima conferenza sul turismo halal in Europa, svoltasi lo scorso settembre 2014 a Granada, si è discusso di standard minimi e schemi di certificazione halal per le strutture turistiche, e della nascita di organismi nazionali e internazionali europei adibiti a questo scopo. Anche qui la sfida è appena all’inizio e l’obiettivo non secondario è attirare investimenti “islamici”. È chiaro insomma l’intento di dar vita a un circuito virtuoso di domanda e offerta adeguata sulla base di un crescente flusso finanziario verso l’Europa.