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La Francia colpita al cuore e i quesiti aperti

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L’11 settembre francese. È questa in sintesi l’immagine che la reazione internazionale ancor più di quella dei francesi associa all’eccidio commesso nella sede di Charlie Hebdo. Il sentimento prevalente tra la cittadinanza e dunque, almeno all’inizio, nell’atteggiamento dei media e della politica è quello dello sconvolgimento di fronte a un fatto clamorosamente inatteso, del dolore inferto da una ferita profonda che sarà possibile rimarginare solo con lo sforzo comune di tutta la nazione.

Di “barbarie terrorista” ha parlato il Presidente della Repubblica nel suo appello all’unità nella difesa della libertà; che uno dei cardini dello Stato francese sia stato attaccato è uno dei concetti più ripetuti da François Hollande. “Colpire persone ‘influenti, insolenti, indipendenti’ significa colpire il messaggio di giustizia e pace che la Francia difende nel mondo”, ha aggiunto Hollande, riferendosi a uno dei possibili moventi della strage: la politica estera francese degli ultimi anni, molto attiva sui fronti caldi del mondo arabo. Il Capo dello Stato ha decretato una giornata di lutto nazionale per giovedì 8 gennaio. Si tratta di un atto solitamente dedicato a celebrare la scomparsa di importantissime personalità politiche, e utilizzato finora solo dopo l’11 settembre 2001 per esprimere cordoglio in seguito a un attentato.

A esprimere una ferma e massiccia risposta della cittadinanza sarà anche diretta la “marcia repubblicana” che domenica percorrerà le strade di Parigi, e a cui anche gli esponenti del centro-destra hanno dato la loro adesione. Le parole del principale di loro, l’ex Presidente Nicolas Sarkozy, hanno riecheggiato quelle di Hollande, sia nella compostezza che nella fermezza; piuttosto diffusa nelle dichiarazioni dell’opposizione moderata l’appello congiunto a non confondere tutti i musulmani francesi (almeno 6 milioni di persone) con gli autori dell’attentato – punto, questo, generalmente ignorato dai socialisti – e a una durissima offensiva sia poliziesca che legislativa, sul modello del Patriot Act americano.

La sinistra libertaria è quella che empatizza di più con i disegnatori e i giornalisti uccisi, considerati veri e propri simboli della libertà di espressione, della schiena dritta davanti al potere, dell’irriverenza. Lo spirito indipendente e umano ne è l’aspetto più sottolineato, sia tra le persone presenti nelle adunate spontanee nelle piazze, sia nelle redazioni dei giornali che si sentivano più vicini al modo di pensare di Charlie Hebdo.

L’appello all’unità nazionale è per ora condiviso anche dalle forze politiche di estrema sinistra ed estrema destra. Lo stesso accadde tre anni fa dopo le uccisioni perpetrate da Mohammed Merah in piena campagna elettorale. In quel caso, la concordia resistette solo per qualche giorno. Non è difficile credere che ben presto anche stavolta in molti tenteranno di differenziare il proprio messaggio all’opinione pubblica, dato il clima ancora più teso che caratterizza sia la politica che la società francese.

E così, anche Marine Le Pen ha messo in guardia da ogni confusione tra “i nostri compatrioti musulmani” e gli attentatori di Parigi, e ha evitato toni e slogan, come ad esempio quello della chiusura immediata delle frontiere, ascoltati invece da molti altri capi europei dell’estrema destra. Che l’umore dei francesi non coincida esattamente con quello delle dichiarazioni istituzionali è provato però dal successo – ben oltre l’area culturale del Front National – dell’idea di “guerra” all’islam radicale in cui la Francia si troverebbe. Un concetto ripetuto anche da diversi editorialisti del quotidiano moderato Le Figaro, e rafforzato da Marine Le Pen con la proposta di inserire anche la pena di morte nell'”arsenale” a disposizione dello Stato francese.

Le reazioni a caldo non permettono per il momento di comprendere in quale maniera verranno affrontate due delle questioni più scomode che l’attentato di Parigi porta alla luce. Due questioni solo apparentemente indipendenti tra loro. La prima riguarda la capacità della polizia e dei servizi segreti francesi di prevenire l’azione dei terroristi attivi sul proprio territorio, e forse una clamorosa sottovalutazione della portata delle loro attività. Oggi si stima che il numero di persone di nazionalità francese che hanno frequentato i campi di addestramento jihadisti del Medio Oriente sia di almeno un migliaio.

Lo stesso Merah, autore di sette omicidi in tre episodi differenti nel marzo 2012, si muoveva regolarmente tra Francia, Medio Oriente, Pakistan e Afghanistan – Paesi in cui riceveva addestramento ideologico e militare – senza mai essere bloccato alla frontiera, pur essendo invece stato inserito dalle autorità americane sulla lista delle persone cui non era consentito di volare negli Stati Uniti. E aveva ricevuto la sua iniziazione al terrorismo proprio in Francia, nelle banlieue della sua città, Tolosa. Percorso spaventosamente simile a quello di due sospetti autori della strage di Charlie Hebdo, i fratelli Chérif e Said Kouachi, già arrestati nel 2005 per un’inchiesta sul terrorismo nel 19° arrondissement di Parigi, ma incredibilmente capaci, nell’ultimo periodo, di andare e tornare dalla Siria.

L’altra questione scomoda riguarda appunto la necessità di una seria analisi sul modello di convivenza e integrazione francese. La solidarietà e la commozione espresse dai rappresentanti ufficiali della religione musulmana – e dai principali uomini di spettacolo e di sport di origine magrebina, un po’ più freddi per la verità – non possono nascondere la presenza crescente, nelle aree più socialmente disagiate ed emarginate del Paese, di un radicalismo islamista fuori da ogni controllo istituzionale. Si tratta di un problema che investe un delicatissimo aspetto della sfera pubblica francese, quello della separazione codificata tra Stato e religione, e che andrebbe affrontato senza il carico demagogico e l’intransigenza di cui il dibattito politico attuale al contrario lo appesantisce.

Paradossalmente, nei giorni precedenti all’attentato, i francesi si accapigliavano sui giornali e sui social network a proposito dell’ultimo libro del controverso scrittore-filosofo Michel Houellebecq. Nel suo romanzo fantapolitico Soumission (“sottomissione”) viene descritta l’affermazione del primo presidente musulmano nel 2022, che grazie a un’alleanza con i socialisti e la destra moderata batte al ballottaggio Marine Le Pen, e una volta all’Eliseo rende obbligatori nella vita pubblica i precetti dell’islam moderato. L’uscita di questo libro ha letteralmente infiammato gli animi di molti, creando schieramenti irriducibili di favorevoli e contrari. Non si fatica a prevedere che anche il dibattito politico, sulle stesse tematiche, rischia in Francia una deriva del genere.